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Tassazione della digital economy: la posizione dell’Unione Europea in riferimento alle iniziative di OCSE e UK

Tassazione della digital economy: la posizione dell’Unione Europea in riferimento alle iniziative di OCSE e UK
Tassazione della digital economy: la posizione dell’Unione Europea in riferimento alle iniziative di OCSE e UK

Indice

1. Premessa

2. Le proposte dell’Unione Europea

2.1. La soluzione ad interim

2.2. Soluzione di lungo periodo

3. Conclusioni

 

1. Premessa

L’avvento dirompente di modelli di business digitali sulla scena economica mondiale ha aperto interrogativi importanti sulla tenuta complessiva dei tradizionali principi fondanti il diritto tributario internazionale. In particolare, la dematerializzazione di intere funzioni aziendali in un numero crescente di operatori economici, ha rivelato l’inadeguatezza del criterio di collegamento oggettivo-territoriale della stabile organizzazione, ovvero delle condizioni di presenza minima di un’impresa non residente in un mercato di riferimento, affinché la stessa sia considerata tassabile nello Stato della fonte [1].

Il modello tradizionale della stabile organizzazione, disciplinato dall’articolo 162 del D.P.R. 917/186 e – sul fronte internazionale – dall’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, rivela infatti vulnerabilità invalicabili nel nuovo contesto di riferimento, basandosi fortemente sulla fisicità del contribuente estero nel mercato in cui espleta attivamente il proprio business.

Un paradigma, evidentemente, inconciliabile con l’estendersi della digitalizzazione dell’economia e che ha spinto organismi internazionali come l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), Unione Europea e singoli governi nazionali a trovare risposte nuove ed efficaci al dilemma della tassazione di entità “non visibili”.

 

2. Le proposte dell’Unione Europea

Per fronteggiare la sfida posta dallo scenario or ora tratteggiato, la Commissione Europea lo scorso 21 marzo ha approvato due proposte di Direttiva (le nn.rr. 147 e 148/2018), con le quali anche l’Unione Europea ha preso ufficialmente posizione sul tema dilagante della fiscalità internazionale nel mondo della digital economy. In particolare, ad una prima analisi dei documenti richiamati, è possibile evincere un duplice approccio delle istituzioni di Bruxelles sul tema della tassazione del digitale, ovvero:

  • un approccio di breve periodo (cd. ad interim solution), che prevede l’instaurazione di un’imposta indiretta sui ricavi conseguiti dalle imprese della digital economy nel territorio di uno Stato membro. Preme evidenziare come tale soluzione, analoga a quella proposta dal Regno Unito nel suo ultimo position paper [2], non sia coincidente con quella individuata in ambito OCSE, dove invece è stata avanzata la proposta di un’imposta specifica (cd. excise tax) sui pagamenti effettuati verso imprese tech;
  • un approccio di lungo periodo, focalizzato sull’individuazione di precisi criteri in base ai quali delineare una digital economic presence dell’impresa estera nel mercato di insediamento, rilevante ai fini della tassazione sui redditi. In chiave comparativa, non può non rilevarsi come l’enucleazione di una presenza economica significativa sia stata tentata già in sede OCSE all’interno dell’Action 1 del noto progetto BEPS[3], imperniato sulla fiscalità nel mondo della digital economy, mentre è ancora in discussione un’analoga proposta nel Regno Unito.

2.1 La soluzione ad interim

Iniziando con la soluzione di più rapida implementazione (almeno nelle prospettive degli organismi europei), l’approccio di breve periodo elaborato dalla Commissione europea, contenuto nella proposta di Direttiva COM (2018) nr. 147 final, consiste – come detto – nell’introduzione di una nuova imposta indiretta, cd. Digital Services Tax (“DST”) gravante sull’erogazione di una delle seguenti due tipologie di servizi:

  •  servizi basati sull’uso delle informazioni degli utenti (user information): si tratta, in particolare, dell’offerta di spazi pubblicitari su una determinata un’interfaccia digitale (cd. attività di online advertising) e la raccolta e trasmissione di dati afferenti le profilatura degli utenti della stessa (g. gli ads presenti su motori di ricerca come Google);
  • servizi di intermediazione basati sul cd. effetto network (ovvero l’abilità di una piattaforma virtuale di connettere tra loro più utenti, ad es. i social network come Facebook) o che facilitano l’offerta di beni e servizi tra due o più utenti della rete (g. i marketplace di eBay o Amazon).

Nelle sue linee essenziali, la DST sarà commisurata al 3% dei ricavi generati complessivamente dall’impresa digitale e ripartiti fra i vari Stati membri in relazione alla tipologia di servizio offerto ed al numero di utenti dello stesso (i.e. advertising services, online marketplace, social network o monetization data).

L’imposta, esigibile nello Stato in cui sono ubicati gli utenti, sarà tuttavia applicabile solo nei confronti di imprese che, congiuntamente, abbiano un reddito mondiale annuale superiore a 750 milioni di euro (cd. worldwide revenues) e che abbiano ottenuto dalla controllata stabilita nel territorio dell’Unione oltre 50 milioni di euro (cd. local digital revenues).

Sul punto, è interessante evidenziare una stretta analogia con la proposta inglese che, seppur basata sul diverso presupposto della user partecipation (ovvero la tassazione delle attività digitale deve essere incentrata su quelle tipologie di business che ricevano un maggior beneficio dall’interrelazione con gli utenti di un servizio [4]), prevede l’imposizione sui flussi di ricavi che sono intrinsecamente generati dalla partecipazione degli utenti alla rete: i servizi di online advertising e di intermediazione.

In materia, infine, si rileva come l’OCSE abbia mantenuto un approccio più trasversale, anche tenuto conto della diversità ordinamentale sussistente tra i vari Stati contraenti, auspicando l’introduzione di un’imposta digitale che sia coerente con le altre obbligazioni internazionali (in primis quelle scaturenti dalla UE e dal WTO) e, soprattutto, che sia circoscritta a (pre)determinate categorie di attività economiche, escludendo in particolare le attività di e-tailing (ovvero la vendita online di beni materiali tramite un sito internet) e non generalizzando la tassazione a tutte le tipologia di e-service presenti in rete.

2.2 Soluzione di lungo periodo

Passando all’approccio di lungo periodo delineato dall’Unione Europea e presentato nella proposta di Direttiva COM (2018) nr. 148 final, occorre da subito rilevare come lo stesso sia volto a superare i limiti intrinseci all’attuale definizione di permanent establishment summenzionati, radicati nella pregiudiziale fisicità del criterio di collegamento in parola. Tale soluzione, pertanto, è orientata all’individuazione di una chiara ed univoca “Significant Digital Presence” (SDP) dell’impresa non residente nel market Country, ovvero di un nesso imponibile dell’impresa digitale con lo Stato della fonte, integrativo rispetto all’attuale nozione di stabile organizzazione.

Come evidente, le questioni maggiormente rilevanti a tal proposito attengono a:

  • le condizioni di configurazione della SDP, definiti come l’“impronta digitale” di un’impresa in una giurisdizione sulla base di determinati indicatori di attività economica che, alternativamente, possono essere:
      • Ricavi superiori a 7 milioni di euro;
      • Un numero di utenti superiori a 100.000;
      • Numero di contratti commerciali conclusi (business contract) superiori a 3.000.

Sul punto si evidenzia come gli ultimi due parametri citati sembrino essere abbastanza rudimentali: in concreto la capacità di generazione di profitto di un’impresa digitale pare, infatti, svincolata dall’ampiezza di utenti che la stessa è in grado di raggiungere (un mercato di nicchia, se ad alto valore aggiunto, ha una maggiore potenzialità di value creation rispetto ad un’ampia platea di utenti di un servizio ma a basso valore aggiunto).

  • I criteri di determinazione del reddito della SDP in cui, oltre a confermare le indicazioni OCSE in materia (il valore di reddito di una stabile organizzazione è determinato in base a quanto la stessa avrebbe prodotto in analoghe condizioni ed in medesime attività, avuto riguardo ad asset impiegati, funzioni eseguite e rischi assunti), la Commissione include ulteriori due fattori rilevanti per l’attribuzione di profitti:
      • Le attività eseguite mediante una interfaccia digitale (cd. digital interface), avuto riguardo a dati processati ed utenti raggiunti;
      • Le attività di D.E.M.P.E. (Development, Enhancement, Maintanence, Protection and Exploitation) inerenti le attività immateriali dell’azienda.

La creazione di un nuovo nexus tassabile accomuna la proposta europea con quella avanzata sia in ambito OCSE, sia UK. Al riguardo, tuttavia, preme sottolineare come la proposta della Commissione paia essere la più completa, dal momento che né l’organizzazione parigina né il governo londinese hanno al momento fornito precisi valori-soglia della presenza economica di un’impresa digitale, limitandosi a fornire indicazioni di massima incentrate, ad esempio, sul rapporto tra la capacità di creazione del valore e la user partecipation di cui beneficerebbe l’azienda online.

3. Conclusioni

L’evidente convergenza dell’approccio dell’Unione Europea con gli indirizzi espressi in sede OCSE nel progetto BEPS e dal governo inglese nel citato position paper, denotano un’uniformità dei termini del confronto (rectius: dibattito) internazionale sul tema della fiscalità della digital economy. L’integrazione di politiche univoche, sia nel lungo che nel breve periodo, non può che essere accolta favorevolmente, seppur richieda il non facile raccordo temporale e giuridico dei diversi sistemi implementazione proposti dai tre policy maker.

Se, infatti, lo strumento OCSE prescelto per la trasposizione nei singoli accordi di convenzione tra i vari Contrancting States è il Multilateral Instrument (MLI)[5], a livello europeo il meccanismo di integrazione prescelto riduce notevolmente la portata delle soluzioni in argomento, trattandosi di Direttive da recepirsi nei vari Stati membri, mentre sarebbero addirittura unilaterali le misure prospettare dal governo di Downing Street.

La conclusione disincantata è che la divergenza fra politiche e strategie di implementazione normativa, a fronte della medesima piattaforma concettuale di riferimento – incardinata, come visto, sulla creazione di un nuovo nexus immateriale e di una digital taxation sui ricavi delle multinazionali del web – potrebbe vanificare gli sforzi profusi finora dai principali regolatori del settore.

[1] Notevole la produzione scientifica sul punto. Con particolare riguardo ai principi di tassazione internazionale in generale ed alla configurazione dei criteri di collegamento in particolare, si citano inter alia: C. GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, Milano, 2008, p. 299, G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario – parte speciale, Padova, 2011; N. POLLARI, Principi, istituti ed elementi giuridici di sistema, in AA. VV. (coord. da POLLARI N.), Lezioni di diritto tributario internazionale, Roma, 2005; C. GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, Milano, 2008; R. GAREGNANI, Metodi interni per l’eliminazione della doppia imposizione, in AA. VV. (coord. da A. DRAGONETTI, V. PIACENTINI, A. SFONDRINI), Manuale di fiscalità internazionale, Milano, 2012; 379 – 393; KUIPER W. G., Forme giuridiche di svolgimento dell’attività economica a livello internazionale e relative implicazioni fiscali, in AA. VV. (coord. da A. DRAGONETTI, V. PIACENTINI, A. SFONDRINI), Manuale di fiscalità internazionale, Milano, 2012, pagg. 25 – 40; LANGELLOTTI A., LA SCALA A.E., NOTA S., PERLINI L., Profili di diritto positivo: aspetti di fisiologia, in AA. VV. (coord. da POLLARI N.), Lezioni di diritto tributario internazionale, Roma, 2005, 175; LUPI R., Diritto tributario, Varese, 2009; BAKER P., Double taxation Convention, Sweet & Maxwell, 2002; E. DELLA VALLE, Residenza e stabile organizzazione, in Rassegna Tributaria n. 4/2016, pagina 871 e seguenti.

[2] Vedasi il documento denominato “Corporate Tax and the Digital Economy: position paper update (mar. 2018)” dell’HM Treasury – United Kingdom.

[3] Base Erosion and Profit Shifting (OECD, 2013), consultabile al sito internet www.oecd.org. Si tratta del piano d’azione che l’OCSE ha presentato nel luglio del 2013, il quale identifica 15 azioni volte al contrasto dei fenomeni di erosione della base imponibile ed allocazione di comodo dei profitti da parte delle imprese multinazionali.

[4] “The government understands user participation to be the process by which users can create value for certain types of digital businesses through their engagement and active contribution” (HM Treasury, op. cit., p. 2.4, pagina 7).

[5] Id est: Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti.