x

x

UberPop: società dell’informazione o operatore dei trasporti?

Il punto di vista della Corte di Giustizia UE e le implicazioni sulla disciplina delle piattaforme

Di Maria Vittoria La Rosa

 

Nel contesto della regolamentazione dell’economia digitale, ancora in fase embrionale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta di recente con due pronunce destinata ad avere un impatto rilevante. In particolare, il principio ribadito dalla Corte nel caso Uber France, relativo alla qualificazione dei servizi forniti da UberPop, influirà sicuramente sulla futura regolamentazione non solo dei servizi forniti da Uber in tutta Europa, ma più in generale sul quadro normativo da applicare a tutti i gestori di piattaforme informatiche per la condivisione di beni e servizi. Sottolineando come l’elemento principale dei servizi prestati da Uber France sia il servizio di trasporto, infatti, la Corte ha ribadito la necessità di porre l’accento sul servizio offerto in concreto al consumatore finale, piuttosto che sulle modalità utilizzate per mettere in contatto utenti e prestatori di servizi, al fine di individuare il complesso di regole applicabili al gestore della piattaforma. Questo principio non potrà essere privo di conseguenze in molti ambiti, compreso quella della regolamentazione della app economy, ancora in embrione ma già sottoposto a tendenze contraddittorie. Il caso, infine, non potrà non essere di ispirazione per il legislatore italiano anche nel contesto della futura riforma dei trasporti non di linea, attesa da molto tempo.

 

Introduzione

Nel panorama in continua evoluzione dell’offerta di nuovi servizi attraverso le piattaforme di condivisione, a partire dal 2008 una nuova possibilità ha iniziato a essere offerta ai consumatori: quella di cercare e trovare una corsa per spostarsi in città utilizzando il proprio smartphone. L’app di Uber, inizialmente concepita per richiedere auto di lusso in alcune zone metropolitane, nasce con l’idea di intercettare la crescente fetta di domanda di mobilità cittadina che i servizi di trasporto tradizionali – di linea e non di linea – non riescono più a soddisfare. Per raggiungere il proprio scopo, Uber si propone di mettere in contatto direttamente, attraverso la propria piattaforma, passeggeri e autisti, per permettere a domanda e offerta di incontrarsi efficacemente. Nel tempo, il servizio è stato strutturato in maniera tale da essere accessibile ad autisti professionali e no[1].

Come era prevedibile, tuttavia, l’ingresso sul mercato di Uber si è scontrato immediatamente con le resistenze degli operatori del settore dei trasporti non di linea, le cui reazioni hanno assunto connotazioni anche piuttosto violente in alcuni Paesi (il caso più eclatante è forse quello della Francia[2] ma anche in Italia si è assistito a momenti di forte tensione[3]). Questo genere di reazioni ha ovviamente stimolato delle conseguenze anche in termini regolatori, variamente declinate a seconda dei Paesi.

In Francia, il Legislatore ha risposto in maniera decisa. Con la legge n. 2014‑1104 del 1° ottobre 2014, relativa ai taxi e alle vetture da trasporto con conducente (JORF del 2 ottobre 2014, pag. 15938), è stato infatti inserito nel codice dei trasporti un articolo che punisce con due anni di reclusione e una multa di 300.000 euro chiunque organizzi un sistema di messa in contatto di clienti con soggetti che offrono prestazioni di trasporto di persone su strada effettuate a titolo oneroso mediante veicoli aventi meno di dieci posti, in difetto delle necessarie autorizzazioni.

In Spagna e Italia, Uber è stata costretta a interrompere in tutto o in parte la fornitura del servizio di trasporto di persone su ordine delle autorità giudiziarie[4]. Incidentalmente, è interessante notare come in questi due Paesi il compito di pronunciarsi sul fenomeno sia stato lasciato alla Magistratura (come accade di frequente), mentre la Francia ha preso posizione nettamente per il tramite del potere legislativo.

Oltre alle istituzioni nazionali, anche le istituzioni comunitarie sono state chiamate a intervenire sulla questione: in questo contesto sono maturate le recenti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione, che avranno verosimilmente un impatto non solo nel contesto della regolamentazione dei nuovi servizi di trasporto urbano non di linea, ma anche, più in generale, nell’ambito del nascente quadro regolatorio in materia di piattaforme informati che per la condivisione di beni e servizi.

 

Il caso Uber France ed il precedente Uber Systems Spain

L’ultima pronuncia della Corte di Giustizia Europea sulla natura dei servizi prestati sulla piattaforma UberPop risale al 10 aprile 2018[5] e si pone in sostanziale continuità con la decisione già resa dalla stessa Corte il 20 dicembre 2017.

 

Il caso Uber France

Nel caso di specie, la controversia è stata riferita ai Giudici del Lussemburgo dal Tribunal de grande instance de Lille, il quale aveva formulato il presente quesito:

Se l’articolo L. 3124-13 del codice dei trasporti, nella versione risultante dalla legge n. 2014‑1104 del 1o ottobre 2014 relativa ai taxi e alle autovetture con conducente, costituisca una nuova regola tecnica, non implicita, relativa a uno o più servizi della società dell’informazione ai sensi della direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998, che imponeva di comunicare previamente tale testo alla Commissione europea in forza dell’articolo 8 della direttiva medesima, o se detto articolo rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi (2), il cui articolo 2, paragrafo 2, lettera d), ne esclude il settore dei trasporti.

La domanda pregiudiziale nasceva nell’ambito di un contenzioso in sede penale instaurato da un soggetto singolo che aveva citato in giudizio direttamente la società Uber France SAS.

La società era stata accusata, tra l’altro, dell’illecita organizzazione di un sistema di messa in contatto di conducenti non professionisti – UberPop – con persone che desideravano effettuare spostamenti in area urbana.

In questo contesto, Uber France aveva obiettato che l’articolo L. 3124‑13 – che commina la pena della reclusione nei confronti di chi organizzi servizi di trasporto passeggeri in assenza delle necessarie autorizzazioni – del codice dei trasporti non le fosse opponibile, essendo quest’ultimo una regola tecnica (regola relativa ai servizi) che non è stata notificata dalla Francia alla Commissione, in violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 98/34. Il Giudice remittente si era pertanto interrogato sulla configurabilità dei servizi offerti dalla società alla stregua di servizi dell’informazione, la cui disciplina di riferimento avrebbe dovuto essere notificata dalla Francia alla Commissione UE prima della sua approvazione.

Nelle proprie considerazioni conclusive, presentate il 4 luglio 2017, l’Avvocato Generale Maciej Szpunar ha richiamato le considerazioni già svolte nel caso Uber Spain (su cui torneremo tra poco), svolgendo due ulteriori considerazioni di un certo rilievo.

La prima è che, ad avviso dell’Avvocato Generale, quello di Uber non può essere considerato un servizio meramente informativo, essendo destinato a soggetti che sono già clienti della piattaforma e dunque non hanno interesse ad acquisire informazioni sul suo funzionamento, ma piuttosto a beneficiare del servizio di trasporto.

La seconda è che Uber, sempre secondo Szpunar, è direttamente coinvolta nell’erogazione agli utenti del servizio finale, cosicché deve essere considerata la prestatrice di detto servizio e non un semplice intermediario.

Quanto alla configurabilità del servizio erogato da UberPop alla stregua di un servizio dell’informazione, l’Avvocato Generale ha osservato, riprendendo quanto già illustrato nel caso Uber Spain, che lo stesso è un servizio complesso, formato da una prestazione di messa in contatto di passeggeri e conducenti con l’ausilio di un programma per smartphone da una prestazione di trasporto. In presenza di un servizio del genere, nel parere dell’Avvocato Generale, la componente erogata per via elettronica avrebbe potuto essere considerata come un servizio della società dell’informazione, ai fini dell’applicazione della direttiva 98/34 modificata, solo a condizione che la stessa sia economicamente indipendente dalla componente che non è erogata per tale via o che la stessa rappresenti la prestazione principale del servizio misto. Invero, l’applicazione dalla normativa dell’Unione in materia di servizi della società dell’informazione (vale a dire sia la direttiva 98/34 modificata, sia la direttiva 2000/31) a prestazioni che non sono né indipendenti né principali rispetto a quelle che non rientrano nell’ambito di tale normativa sarebbe contraria al tenore delle disposizioni in questione, eluderebbe il loro obiettivo e genererebbe una situazione di incertezza giuridica, in quanto tali altre prestazioni possono essere disciplinate in modo differente nel diritto nazionale, come avviene specialmente in un settore specifico come il trasporto.

Nel caso di specie, invece, la prestazione di messa in contatto non sarebbe né indipendente né principale rispetto a quella di trasporto, che anzi sarebbe la “vera ragion d’essere economica del servizio UberPop nel suo complesso”.

Alla luce di tali considerazioni, l’Avvocato Generale ha concluso per la configurabilità del servizio offerto da UberPop alla stregua di un servizio di trasporto, piuttosto che di un servizio di informazione. Questa tesi, come si è detto, è stata accolta e fatta propria dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia.

Il caso Uber Spain

Come si è detto, la pronuncia sul caso francese si pone sulla stessa linea già tracciata dalla Corte con la sentenza della Grande Sezione del 20 dicembre 2017, resa sulla causa C-434/15 Asociación Profesional Elite Taxi/Uber Systems Spain, SL.

In quel caso, l’Asociación Profesional Elite Taxi, organizzazione professionale che raggruppa i conducenti di taxi della città di Barcellona, aveva presentato ricorso dinanzi allo Juzgado de lo Mercantil n. 3 de Barcelona (tribunale commerciale n. 3 di Barcellona, Spagna) chiedendo, tra l’altro, di intimare a Uber Systems Spain SL di cessare la sua condotta sleale, consistente nel fornire assistenza alle altre società del gruppo attraverso servizi di prenotazione su richiesta mediante apparecchi mobili e internet a condizione che ciò sia direttamente o indirettamente collegato all’utilizzo della piattaforma numerica Uber in Spagna, e di inibire, pro futuro, l’esercizio dell’attività di cui trattasi.

A questo proposito, era stato osservato che né Uber Spain, né i proprietari o i conducenti dei veicoli interessati dispongono delle licenze e delle autorizzazioni previste dal regolamento sui servizi di taxi dell’agglomerato urbano di Barcellona.

Anche in questo caso, il Giudice del rinvio aveva chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi circa la configurabilità dei servizi prestati da Uber Spain alla stregua di “servizi della società dell’informazione” e anche in questo caso l’Avvocato Generale Maciej Szpunar si era espresso in senso negativo.

Per quanto qui interessa, un passaggio delle conclusioni dell’Avvocato Generale merita di essere sottolineato. Si dice infatti che

"Nel caso dei servizi misti, vale a dire dei servizi composti di componenti elettroniche e di componenti non elettroniche, un servizio può essere considerato come interamente trasmesso per via elettronica, in primis, quando la prestazione che non è erogata per via elettronica è economicamente indipendente dal servizio fornito secondo tali modalità.

Tale ipotesi ricorre, in particolare, nel caso di un intermediario che agevola le transazioni commerciali tra un utente e un prestatore di servizi (o un venditore) indipendente. Le piattaforme di acquisto di biglietti aerei o di prenotazione di alberghi ne sono un esempio. In un tal caso, la prestazione dell’intermediario rappresenta un valore aggiunto reale sia per l’utente che per l’imprenditore interessato, ma resta economicamente autonoma dal momento che l’imprenditore svolge la sua attività in modo indipendente.

Per contro, quando il prestatore del servizio erogato per via elettronica è anche il prestatore del servizio fornito con modalità diverse o quando egli esercita un’influenza decisiva sulle condizioni di erogazione del servizio di cui trattasi, con la conseguenza che i due servizi rappresentano un insieme inscindibile, occorre, a mio avviso, individuare l’elemento principale della prestazione considerata, vale a dire quello che le attribuisce il suo significato economico. La qualificazione come servizio della società dell’informazione implica che detto elemento principale sia erogato per via elettronica".

Ciò accade, ad esempio, nel caso della vendita di beni online. Nell’ambito di tale vendita, gli elementi essenziali della transazione, vale a dire la presentazione dell’offerta e la sua accettazione da parte dell’acquirente, la conclusione del contratto e, molto di frequente, il pagamento, sono compiuti per via elettronica e rientrano nella nozione di servizio della società dell’informazione. La Corte si è espressa in tal senso nella sua sentenza Ker-Optika. La fornitura del bene acquistato costituisce soltanto l’esecuzione di un’obbligazione contrattuale cosicché la disciplina cui essa è assoggettata non influenza, in linea di principio, la fornitura del servizio principale.

Non ritengo tuttavia che la direttiva 2000/31 debba essere interpretata nel senso che qualsiasi attività online collegata ad operazioni commerciali, seppur soltanto accessoria, secondaria o preparatoria ed economicamente non indipendente, costituisca un servizio della società dell’informazione.

E ancora “Cos’è Uber? È un’impresa di trasporti o, per essere più chiari, di taxi? O si tratta soltanto di una piattaforma elettronica che permette di trovare, prenotare e pagare un servizio di trasporto erogato da altri?

"Si tende comunemente a classificare Uber come impresa (o piattaforma) dell’economia detta «collaborativa». Mi sembra inutile discutere in tale sede dell’esatto significato del suddetto termine. Quel che rileva in relazione a Uber è che essa non può essere considerata una piattaforma di car‑pooling. Nell’ambito della piattaforma in esame, infatti, i conducenti offrono ai passeggeri un servizio di trasporto verso una destinazione scelta dall’utente e percepiscono, per tale ragione, a titolo di corrispettivo, un importo che supera ampiamente il semplice rimborso delle spese sostenute. Si tratta quindi di un classico servizio di trasporto. Ai fini della sua qualificazione in base al diritto vigente è irrilevante che esso rientri o meno in un’«economia collaborativa».

Nelle sue osservazioni scritte Uber afferma di collegare unicamente l’offerta (di trasporto urbano) alla domanda. Ritengo però si tratti di una visione riduttiva del suo ruolo. Uber non si limita infatti a mettere in relazione offerta e domanda, ma crea, essa stessa, l’offerta, oltre a disciplinarne le caratteristiche essenziali e organizzarne il funzionamento.

Sulla base di queste e altre considerazioni, l’Avvocato Generale ha escluso che Uber funga da semplice intermediario tra i conducenti disponibili a erogare i servizi di trasporto e i passeggeri e ha ritenuto che i servizi dalla stessa erogati non siano riconducibili ai servizi della società dell’informazione, ma piuttosto ai servizi di trasporto".

La Corte ha aderito all’interpretazione dell’Avvocato Generale. 

Le implicazioni della posizione della Corte sulla futura

regolamentazione delle piattaforme di condivisione: verso

un criterio di prevalenza dei servizi resi?

Nella decisione di entrambi i casi sopra riportati, come si è visto, è stato sottolineato il carattere complesso dei servizi resi da Uber e, per capire se gli stessi fossero riconducibili o meno al novero dei servizi dell’informazione, si è fatto ricorso al criterio della prevalenza.

Vista la configurabilità di Uber come piattaforma della app economy, questo criterio interpretativo sembra destinato ad avere un impatto sul futuro quadro normativo applicabile alla materia.

Come è noto, le istituzioni comunitarie sono da tempo al lavoro su un’“agenda per l’economia collaborativa”[6]. Il rapido sviluppo del settore e le sue potenzialità economiche, infatti, sono oramai sotto gli occhi di tutti e si rende pertanto sempre più urgente una regolamentazione del fenomeno. Nell’individuare i principi che dovranno ispirare la futura regolamentazione, è più volte stato posto l’accento “sull’importanza di regolamentare l’economia collaborativa in modo da agevolare e promuovere le attività piuttosto che limitarle”[7] e sulla opportunità che i requisiti per l’accesso al mercato delle piattaforme collaborative siano proporzionati, semplici e chiari, nonché sulla necessità di gestire le c.d. “zone grigie normative”, cioè di regolamentare quegli ambiti a cui non è chiaro quali norme debbano essere applicate.

Allo stesso tempo, però, il Parlamento ha rimarcato la necessità di offrire certezze “sul fatto se una piattaforma offra un servizio sottostante o si limiti a offrire un servizio della società dell’informazione, in conformità della direttiva sul commercio elettronico”[8]: si tratta di un principio cruciale, rispetto al quale i casi Uber France e Uber Spain sono destinati a fornire un apporto interpretativo di rilievo.

In altre parole: in quali casi la futura regolamentazione delle piattaforme di condivisione dovrà agevolare l’ingresso di queste ultime sul mercato, consentendo loro di beneficiare di regimi autorizzativi semplificati, e in quali altri casi l’accesso al mercato dovrà invece essere soggetto a una regolamentazione più “rigida”? Quale dovrà essere il criterio discretivo per capire se un soggetto sia semplicemente il gestore di una piattaforma – in quanto tale da assoggettare a una regolamentazione “light” – o sia piuttosto un operatore del mercato tradizionale (e di quale mercato), in quanto tale soggetto ad un quadro regolatorio più articolato? Sulla base delle decisioni sui casi Uber France e Uber Spain, il criterio discretivo sembrerebbe essere quello della prevalenza del servizio reso. Con specifico riferimento a Uber, la prevalenza del servizio di trasporto rispetto ai servizi informativi resi fa sì che la società, almeno ad avviso della Corte, sia inquadrabile come un operatore dei trasporti vero e proprio, con tutto quello che ne consegue in termini, tra gli altri, di necessità da parte dei drivers di ottenere la licenza per lo svolgimento del servizio. Al di là della condivisibilità di queste affermazioni da un punto di vista tecnico, trattandosi di un terreno ancora in larga misura vergine sarà interessante vedere in quale direzione evolverà la giurisprudenza nazionale ed europea. Almeno in questa fase, comunque, di questa posizione bisognerà prendere atto perché rimuove un margine di ambiguità con riferimento alle norme comunitarie applicabili; difficilmente dunque gli Stati membri e le istituzioni comunitarie potranno ignorarla nel processo di regolamentazione che dovrà essere intrapreso nel prossimo futuro.

Del resto, il Parlamento UE ha richiamato l’attenzione sulle specificità del settore della mobilità, sottolineando l’importanza di operare una netta distinzione tra i) il car pooling e la condivisione dei costi nel quadro di un viaggio in corso che il conducente ha pianificato per fini propri, da un alto, e ii) i servizi regolamentati per il trasporto passeggeri, dall’altro[9].

Sotto questo profilo, UberPop si colloca in una zona grigia, nel senso che ha alcune caratteristiche del car pooling (ma non rientra perfettamente in tale categoria) e altre del trasporto passeggeri (senza però andare a competere direttamente con il servizio taxi, in quanto la tipologia di clienti a cui si rivolge e le aspettative in relazione al servizio reso sono parzialmente differenti).

Per chiarire ulteriormente la portata del principio, si prenda per esempio il tentativo di regolamentazione portato avanti in Italia nel corso della Legislatura 2013-2018.

Con il DDL depositato presso la Camera dei Deputati il 27 gennaio 2016, recante Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione, è stato fatto un primo tentativo di promuovere l’economia della condivisione, eliminando gli ostacoli normativi al suo sviluppo[10]. A prescindere dalla serietà degli intenti del Legislatore in materia[11], uno dei punti centrali del DDL era rappresentato dall’istituzione di un regime autorizzativo “snello” per l’ingresso nel mercato dei gestori delle piattaforme di condivisione, che si riduceva sostanzialmente nell’istituzione di un sistema di controllo preventivo da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. In virtù di tale sistema, ai gestori delle piattaforme sarebbe bastato 1) iscriversi ad un registro elettronico tenuto dall’Autorità e 2) dotarsi di un documento di politica aziendale in linea con le prescrizioni imposte dalla legge, per poter operare. Considerando l’onerosità degli adempimenti burocratici e autorizzativi solitamente posti a carico delle aziende in Italia, lo si può senz’altro definire un regime autorizzativo agevolato.

Il tema è: se il DDL sopra illustrato fosse stato approvato, UberPop avrebbe potuto operare in Italia avvalendosi esclusivamente di questo regime autorizzativo agevolato, per il solo fatto di essere qualificabile come un operatore gestore di una piattaforma di condivisione, restando dunque esonerato dall’obbligo di ottenere tutte le altre autorizzazioni e/o licenze necessarie per operare come società nel settore dei trasporti? La domanda non sembra oziosa, anche se il DDL non ha concluso il suo iter di approvazione, perché è probabile che le future iniziative del legislatore in materia si muovano su questo solco e perché, in ogni caso, il tema dovrà essere affrontato. A questa domanda si deve dare una risposta negativa, viste le recenti decisioni della Corte di Giustizia.

Visto l’orientamento dei Giudici del Lussemburgo, ad avviso dei quali Uber fornisce un servizio di trasporto anche quando opera tramite la piattaforma UberPop e in virtù del criterio di prevalenza dei servizi resi, la società dovrebbe comunque tenere conto della disciplina vigente per i servizi di trasporto. Di conseguenza, l’effetto politico della decisione è quello di spostare l’enfasi sulla normativa di riferimento per il trasporto pubblico non di linea, risalente nel nostro paese al periodo tra il 1992 e il 2008 e pertanto incapace di catturare fenomeni come quelli dell’economia digitale.

Il possibile impatto delle recenti pronunce della Corte di

Giustizia sulla regolamentazione del trasporto pubblico non

di linea in Italia

Sul tema, è necessaria una breve panoramica relativa allo stato dell’arte.

La legge quadro attualmente in vigore in Italia in materia di trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea risale al 1992[12]. Parte delle disposizioni in materia di servizi non di linea diversi dal servizio taxi (gli NCC, per intenderci), tuttavia, è oggetto di eterne proroghe e rinvii. Da ultimo, l’art. 1, comma 1136, lettera b) della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (c.d. legge di stabilità per il 2018) ha prorogato al 31 dicembre 2018[13] (i) il termine

per l’emanazione del decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti finalizzato ad impedire le pratiche di esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio di noleggio con conducente; nonché (ii) la sospensione dell’efficacia delle disposizioni in materia di trasporto di persone mediante autoservizi non di linea introdotte dal decreto legge 30 dicembre 2008 n. 207 finalizzate, tra l’altro, a restringere l’operatività dei conducenti al di fuori del comune in cui è stata rilasciata l’autorizzazione.

In questo contesto, con la recente legge 4 agosto 2017, n. 124, recante misure per l’apertura del mercato e della concorrenza, il Governo è stato delegato ad adottare un decreto legislativo per la revisione della disciplina in materia di autoservizi pubblici non di linea. Tra i principi direttivi ai quali il Governo è chiamato ad attenersi, vi è quello di “adeguare l’offerta di servizi alle nuove forme di mobilità che si svolgono grazie ad applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti” nonché di “promuovere la concorrenza e stimolare più elevati standard qualitativi” (art. 1, comma 179, lettere b) e c) della legge sulla concorrenza). Se si vorrà promuovere le piattaforme di intermediazione e il coinvolgimento di operatori non professionisti anche in materia di trasporto non di linea, alla luce delle pronunce della Corte su Uber non sarà possibile farlo intervenendo semplicemente sul versante dei servizi digitali, ma si dovrà necessariamente mettere mano alle norme trasportistiche.

 

Conclusioni

La recente giurisprudenza della Corte di Giustizia sui casi Uber France e Uber Spain chiarisce alcuni principi importanti, che il legislatore – tanto europeo quanto italiano – dovrà tenere in considerazione nella futura regolamentazione dell’economia digitale.

In generale e senza volersi limitare agli aspetti giuridici, è il concetto stesso di intermediazione online ad avere bisogno di riflessioni approfondite e di un lavoro di sistematizzazione, almeno nello specifico contesto dell’economia c.d. “collaborativa”.

Volendo semplificare, la Corte del Lussemburgo è dell’avviso che perché si possa parlare di mera intermediazione online, non è sufficiente realizzare e gestire una app che favorisca l’incontro tra domanda e offerta: ciò cui bisogna far riferimento è il servizio finale concretamente reso agli utenti. Il contributo al dibattito è di estrema importanza: quali saranno i suoi risvolti pratici, è tema che impegnerà le autorità di regolazione sicuramente a lungo.

 

[1] UberPop è appunto la piattaforma sulla quale è possibile prenotare corse offerte da autisti non professionisti.

[2] Per avere un’idea di quanto accaduto in Francia: http://www.newsweek.com/taxi-drivers-stage-violent-protests-against-uber-france-346843

[3] Si veda per esempio:

https://video.repubblica.it/edizione/roma/tassisti‑tre‑bombe‑carta‑manda‑no‑in‑frantumi‑le‑finestre‑di‑un‑palazzo‑storico/268446/268867

[4] Per la Spagna, cfr. Juzgado de lo Mercantil n. 2 de Madrid, ordinanza del 9 dicembre 2014 (n. ric. 707/2014). In Italia, il servizio UberPop è attualmente inibito per effetto dell’ordinanza del Tribunale di Milano del 25 maggio 2015, R.G. n. 16612/2015, confermata in sede di reclamo in forza di ordinanza del 2 luglio 2015, R.G. nn. 35445/2015 e 36491/2015.

[5] Sentenza resa dalla Grande Sezione nella causa C‑320/16.

[6] Molto importanti gli spunti offerti in proposito, da ultimo, dalla comunicazione della Commissione del 2 giugno 2016 dal titolo “Un’agenda europea per l’economia collaborativa” (COM(2016)0356) e dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 15 giugno 2017 su un’agenda europea per l’economia collaborativa (2017/2003(INI)) P8_TA(2017)0271.

[7] Cfr. la Risoluzione del Parlamento P8_TA(2017)0271, punto n. 4.

[8] Cfr. Risoluzione cit.

[9] Cfr. Risoluzione cit.

[10] Atto C. 3564, Primo Firmatario On. Veronica Tentori

[11] Sul tema, sia consentito un rimando al mio contributo App economy e barriere all’ingresso nel mercato: tre casi esemplificativi, pubblicato su http://www.brunoleoni.it/i-lacci-burocratici-all-economia-digitale.

[12] Legge 15 gennaio 1992, n 21.

[13] È appena il caso di notare che la proroga in esame è solo l’ultima di una lunga serie, iniziata nel 2009 ad opera del decreto legge del 10 febbraio (n. 5) e che di fatto impedisce la piena operatività di norme licenziate dal Governo il 30 dicembre 2008 (cfr. d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14), vale a dire 10 anni fa.