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L’ardua scelta tra trust e società semplice: il recente orientamento in tema di tassazione

L’ardua scelta tra trust e società semplice: il recente orientamento in tema di tassazione
L’ardua scelta tra trust e società semplice: il recente orientamento in tema di tassazione

Abstract

Premessi gli aspetti chiave riguardanti i due istituti in esame, verranno ora analizzati gli aspetti relativi alla tassazione, in particolare per quanto attiene agli atti istitutivi di trust, a seguito dei recentissimi interventi della Cassazione sul punto. Infine, si cercheranno di tirare le fila, passando brevemente in rassegna i "pro" e "contro" di trust e società semplice di mero godimento, sempre più utilizzati, in via alternativa, da imprenditori in crisi o che intendono semplicemente prevenire le conseguenze di possibili future fasi di  accentuata passività, cercando di fornire degli utili strumenti volti ad indirizzare la scelta nel caso concreto.

 

Indice

1La tassazione: Cassazione civile 975/2018 e 13626/2018

2. Un finale confronto

 

1. La tassazione: Cassazione civile 975/2018 e 13626/2018 

Merita ora analizzare il profilo fiscale relativo ai due atti istitutivi presi in esame. Per quanto riguarda la costituzione di una società semplice di mero godimento, non v’è dubbio che essa sconti l’imposta proporzionale di registro con aliquota del 9% da calcolarsi sul valore venale (e non catastale) dei beni conferiti; come già accennato, merita segnalare che spesso il legislatore ha inteso favorire - mediante agevolazioni di natura fiscale - la nascita di tali tipologie di società [si veda, da ultimo, articolo 1 comma 115, Legge 28 dicembre 2015, n. 208, agevolazione poi prorogata dall’articolo 1, comma 565, Legge 11 dicembre 2016 n. 232].

Di contro, ben nota è la problematica di natura fiscale che investe gli atti istitutivi di trust in Italia, specialmente alla luce della fiorente produzione giurisprudenziale cui si sta assistendo negli ultimi anni ed a cui hanno cercato di mettere un punto fermo le due recentissime sentenze della Corte di Cassazione in seguito analizzate.

Va in ogni caso premesso che l’articolo 2, comma 47, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 convertito con modificazioni in Legge 24 novembre 2006 n. 286, ha istituito l’imposta sulle successioni e donazioni, includendo nell’ambito applicativo della stessa anche la “costituzione di vincoli di destinazione”; si noti, altresì, che l’Agenzia delle Entrate, con Circolari n. 48/E del 6 agosto 2007 e n. 3/E del 22 gennaio 2008, da un lato ha interpretato detta norma nel senso che i vincoli di destinazione siano soggetti all’imposta citata solo laddove comportino un trasferimento ma, d’altro lato, ha rilevato che, per il trust, il solo effetto segregativo dà luogo al presupposto impositivo.

Partendo da queste premesse, si devono innanzitutto esaminare le ordinanze del 2015 [Cass. sez. VI (tributaria), 24 febbraio 2015, nn. 3735 e 3737 e 25 febbraio 2015, n. 3886], con le quali la Cassazione ha espresso un principio definito "fantasioso" da alcuni interpreti: in tali pronunce si legge che, ai fini dell’imposta sopra indicata, l’indice di capacità contributiva da tenere in considerazione sarebbe la sola utilità economica destinata a pervenire (in futuro) al beneficiario finale, a nulla importando la sussistenza o meno di un atto traslativo attuale.

Successivamente, con sentenza n. 4482 del 7 marzo 2016, la Cassazione è giunta alle medesime conclusioni appena richiamate, ma ha lasciato aperta la possibilità che per determinate tipologie di trust (tra cui, parrebbe, quelli volti a definire i rapporti delle imprese in crisi) sia applicabile l’imposta di registro in misura fissa.

Infine, con sentenza della sezione V in data 26 ottobre 2016, n. 21614, la Suprema Corte ha capovolto il proprio pensiero: la fattispecie analizzata aveva ad oggetto un trust auto-dichiarato e la Cassazione, innovando rispetto ai sopracitati orientamenti, ha concluso che «la costituzione del trust - come è normale che avvenga per "i vincoli di destinazione" - produce soltanto efficacia "segregante" i beni eventualmente in esso conferiti e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore e sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985, recepita in L. 16 ottobre 1989 n. 364)». Prosegue la Corte sostenendo che «l’imposta sulle donazioni e sulle successioni […] ha come presupposto l’arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità, tanto che la stessa non può applicarsi se il trust è stato costituito senza conferimento, scontando in questo caso soltanto l’imposta fissa di registro» e espressamente censurando «l’erroneo convincimento che il conferimento di beni nel trust dia luogo a un reale trasferimento imponibile».

I precedenti orientamenti sono stati posti nuovamente in discussione da due recentissime sentenze della Suprema Corte.

Con sentenza di Cassazione Civile Sez. 5, 17 gennaio 2018 n. 975, è stato vagliato un atto istitutivo di trust di data 12 febbraio 2003. La Suprema Corte, dopo aver convenuto con la corte territoriale che al caso in esame andasse applicato ratione temporis il D.P.R. 131/1986 - imposta di registro - e non il D.L. 262/2006, si è soffermata sulla tipologia di imposta - fissa o proporzionale - da applicare. Ponendo a base del proprio ragionamento il fatto che, poiché "l’atto istitutivo del Trust G., all’articolo 6, stabilisce chi sono i beneficiari, e le quote a ciascuno di essi spettanti, […] nonché, all’articolo 9, il momento di inizio della distribuzione dei beni, […] sarebbe una forzatura anticipare imposizione fiscale al trasferimento verso il trustee" ed affermando che "il trasferimento dei beni al trustee avviene a titolo gratuito … ed il disponente non intende arricchire il trustee ma vuole che quest’ultimo li gestisca in favore dei beneficiari, […] per cui l’intestazione dei beni al trustee deve ritenersi, fino allo scioglimento del trust, solo momentanea", la Cassazione riforma la decisione di grado precedente, ritenendo che al caso in esame vada applicato l’articolo 11 della Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986 (imposta fissa) e non l’imposta proporzionale di registro.

Molto più interessante ai fini di cui alla presente analisi risulta la Sentenza di Cassazione Civile Sezione 5, 30 maggio 2018 n. 13626, ove il trust sotto esame era stato costituito da un’impresa in crisi al fine di liquidare i propri creditori (e pertanto privo i veri e propri beneficiari finali).

La Suprema Corte passa in rassegna dapprima le precedenti pronunce in tema di tassazione del trust [vd. supra] riconoscendo che nel tempo si sono succeduti, nel proprio pensiero, due contrastanti orientamenti: alcune pronunce hanno sostenuto che, avendo l’articolo  2, comma 47, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 convertito con modificazioni in Legge 24 novembre 2006 n. 286, incluso nell’ambito applicativo dell’imposta di donazione anche la “costituzione di vincoli di destinazione”, la stessa va applicata a tutti gli atti aventi tale oggetto, a prescindere dalla presenza o meno di un trasferimento ("Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell’arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni"). La stessa Corte sostiene di aver recentemente aderito ad un diverso orientamento, secondo il quale "il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’articolo 1 d.lgs. n. 346/1990 del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento".Aderendo a tale secondo orientamento, la Corte però sostiene estensivamente che si applichi l’imposta de qua in tutti i casi in cui il trasferimento al trustee faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento: pertanto conclude per ritenere corretta l’applicazione al caso in esame dell’imposta con aliquota dell’8%.

Concludendo, analizzando il pensiero della Cassazione, ad oggi parrebbe che l’unico caso in cui si possa essere sufficientemente certi della non immediata applicazione dell’imposta prevista dal T.U. 346/1990 è quello di trust auto-dichiarato, ove non ci sia trasferimento di beni; negli altri casi, ove il trasferimento a favore del trustee (seppur non definitivo) realizzi un incremento effettivo del patrimonio di quest’ultimo (non producendo mera segregazione del bene, bensì dotato di un effetto traslativo volto al successivo ed eventuale trasferimento dei medesimi beni a terzi), dovrà essere applicata l’imposta proporzionale sopra esaminata.

 

2. Un finale confronto 

Vanno infine segnalati alcuni ulteriori profili, specialmente di natura fiscale e tributaria, che possono aiutare ad indirizzare la scelta tra i due istituti oggetto d’analisi.

Si è già visto che, per quanto riguarda l’atto costitutivo (o istitutivo), in special modo ove siano trasferiti beni immobili, non è ormai più certo che al trust possa essere applicata l’imposta di registro in misura fissa, anziché l’imposta di donazione e successione, alla luce delle recenti sentenze della Cassazione 975/2018 e 13626/2018; pertanto a tale riguardo, non vi è più assoluta convenienza nell’optare per il trust anziché per la società semplice, anche se l’aliquota dell’8% applicabile nelle "peggiori" ipotesi al trust rimane comunque inferiore a quelle della società semplice di mero godimento (imposta proporzionale di registro con aliquota del 9%). Inoltre risulta differente la base imponibile dei due atti: mentre per la società semplice dovrà farsi riferimento al valore venale dei beni conferiti, nel trust sarà possibile applicare l’imposta al - ben inferiore - valore catastale degli stessi.

In relazione alle imposte sui redditi, inoltre, si deve distinguere tra trust "trasparente" ed "opaco" [cfr. articolo 73, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; Agenzia delle Entrate, Circolare n.48/E del 6 agosto 2007], a seconda che i beneficiari siano individuati (primo caso) o non lo siano oppure, se individuati, non abbiano un diritto (espressamente previsto dal settlor nell’atto istitutivo) a percepire gli utili del trust (secondo caso). Nel trust trasparente la determinazione e l’imputazione dei redditi avviene in capo ai soci (con tassazione IRPEF), come nel caso della società semplice; mentre nel secondo l’imputazione è posta vantaggiosamente in capo al trust opaco stesso (con tassazione IRES).

Scendendo poi nel dettaglio delle singole categorie di redditi, mentre per quanto attiene a quelli fondiari, alle plusvalenze immobiliari ed ai redditi da obbligazioni non v’è nessuna differenza tra trust e società semplice, vi è invece una tassazione minore per il trust in relazione alle plusvalenze finanziarie: le stesse, se qualificate, nel trust, vengono tassate IRES con aliquota del 24% sul 49,72% del totale, mentre in caso di società semplice vengono tassate IRPEF sul 40% del totale.

Infine, per quanto attiene all’atto di scioglimento, mentre in caso di società semplice vi è lo svantaggio fiscale che tutto il patrimonio assegnato ai soci costituisce utili in capo a questi ultimi, nel caso di trust la soluzione pare dipendere dall’orientamento adottato in sede di atto istitutivo: qualora sia stata originariamente applicata l’imposta fissa di registro, l’atto di scioglimento del trust - che comporta il trasferimento dei beni in capo ai beneficiari finali - va assimilato ad una donazione e sconta l’imposta ad esse applicata; ove, invece, si sia aderito al differente orientamento sopra esposto, il trasferimento è già stato tassato quale "donazione" in origine e pertanto lo scioglimento del vincolo verrà tassato in misura fissa.

Dalla disamina fin qui svolta emerge, pertanto, che, pur risultando consentito utilizzare la società semplice quale mezzo per vincolare determinati beni, mobili ed immobili, riservandoli ad un numero ridotto di creditori, l’istituto del trust risulta nella maggior parte dei casi preferibile, per la varietà di tipologie che allo stesso afferiscono e per la capacità di sapersi adattare al meglio a ciascuna situazione concreta. Come si è visto, però, si deve fare assoluta attenzione nella redazione dell’atto istitutivo, al fine di evitare problemi in sede di iscrizione, trascrizione, annotazione presso i Pubblici Registri immobiliari e delle imprese nonché in sede di un eventuale giudizio di meritevolezza dell’interesse tutelato [per una maggiore disamina, cfr. A. Di Gennaro, M. Ghione, L. Iovino, Segregazione patrimoniale ed impresa in crisi: vincolo ex articolo 2645 ter c.c., fondo patrimoniale, trust, società semplice di mero godimento, azioni correlate, in Rivista Notarile, 3/2017, 4/2017 e 1/2018].

 

Parte I