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Intercettazioni: il loro uso, la disciplina, le domande aperte

Intercettazioni: il loro uso, la disciplina, le domande aperte
Intercettazioni: il loro uso, la disciplina, le domande aperte

Intervista a Vincenzo Giglio, esperto in materie penalistiche e autore del libro “Manuale delle intercettazioni - il nuovo regime normativo, i principi e la giurisprudenza”, Filodiritto Editore, 2018.

 

Più o meno tutti abbiamo sentito parlare di intercettazioni, ma esattamente cosa si intende con questa parola? E quali sono le questioni che il loro utilizzo solleva? Lo abbiamo chiesto al Dott. Vincenzo Giglio, autore del Manuale delle intercettazioni. Il nuovo regime normativo, i principi e la giurisprudenza

Il codice di procedura penale non ne ha definito il significato ma ci ha pensato la giurisprudenza.

Le sentenze dei giudici hanno chiarito che l’intercettazione è la “captazione occulta e contestuale del contenuto di una conversazione o comunicazione tra soggetti, mediante modalità idonee, con intromissioni operate da soggetti terzi rispetto ai conversanti, con apparecchiature in grado di fissarne l’evento e tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato dello scambio comunicativo”.

L’intercettazione riguarda quindi conversazioni o comunicazioni tra più persone che queste vogliono tenere riservate e deve avvenire mentre lo scambio è in corso. Chi intercetta deve essere estraneo allo scambio, non interferire e agire all’insaputa di chi parla, servendosi per questo di strumenti di ascolto e registrazione non rilevabili facilmente.

 

A giudicare dalle cronache giudiziarie, le intercettazioni sembrano essere tra gli strumenti più diffusi nelle indagini penali. È davvero così?

Decisamente sì. Le statistiche ufficiali del Ministero della Giustizia ci dicono che nell’anno 2017 le intercettazioni hanno riguardato circa 128.000 bersagli (utenze, ambienti, postazioni informatiche, caselle di posta elettronica, etc.) per una spesa complessiva di circa 169 milioni di euro.

La cosa è comprensibile: le intercettazioni hanno una formidabile capacità di acquisire conoscenze sulle condotte e relazioni dei soggetti sottoposti a indagini e offrono risultati di alto valore probatorio perché forniti dagli stessi attori dello scenario esplorato e, nella maggior parte dei casi, senza alcun filtro protettivo; consentono infine agli inquirenti di “entrare” in ambienti e contesti, come ad esempio quelli tipici della criminalità organizzata mafiosa, che altrimenti rimarrebbero di difficile penetrazione.

 

Le intercettazioni richiamano l’idea della tecnologia e del suo frenetico sviluppo. Ci sono novità al riguardo?

Il modo in cui si intercetta e gli strumenti di cui ci serve per intercettare cambiano e si aggiornano di pari passo all’evoluzione tecnologica. La ricerca scientifica rende disponibili dispositivi e tecniche di captazione sempre più sofisticati che offrono agli investigatori possibilità inimmaginabili solo pochi anni fa.

Di recente, il centro della scena è stato occupato dai cosiddetti captatori informatici. Sono nient’altro che software equiparabili a virus informatici del tipo Trojan horse. Gli operatori di polizia giudiziaria li installano da remoto, inviando una e-mail o un sms al bersaglio prescelto (solitamente pc, smartphone o tablet), ovviamente all’insaputa di chi ne fa uso. Una volta completata l’operazione, l’operatore dispone di molteplici opzioni: il controllo a distanza del dispositivo infettato (l’operatore può servirsene senza limiti, compiendovi ogni tipo di attività); la visualizzazione di tutte le operazioni compiute da chi lo usa; la visualizzazione e l’estrazione di tutti i dati contenuti nel dispositivo; la sua messa fuori uso; l’attivazione del microfono e della webcam del dispositivo e quindi la possibilità di ottenere riprese audio e video. In sostanza, l’operatore ha il completo controllo non solo delle attività informatiche compiute dall’utilizzatore del dispositivo, ma anche dei suoi movimenti e delle sue comunicazioni.

La legittimità di questi strumenti di intercettazione è stata avallata dalle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione ma solo per i procedimenti in materia di criminalità organizzata, di tipo mafioso o terroristico, e per i procedimenti che perseguano comunque associazioni a delinquere.

 

Intrusioni così invasive nella privacy degli individui sono conformi alle nostre leggi?

Il regime delle intercettazioni incrocia valori costituzionali di primissimo piano: l’inviolabilità del domicilio, l’inviolabilità e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione e il diritto alla riservatezza come componente essenziale dei diritti umani inviolabili sanciti dall’articolo 2.

Gli stessi diritti sono riconosciuti e protetti anche da fonti normative sovranazionali: il riferimento obbligato è all’articolo 8 della CEDU che attribuisce elevata importanza al diritto di ogni individuo al rispetto della sua vita privata e familiare e gli accorda protezione contro le ingerenze ingiustificate delle autorità pubbliche e agli artt. 7 e 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che tutelano rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni, e il diritto alla protezione dei dati personali.

Nessuna di queste norme vieta le intercettazioni che anzi sono considerate un modo adeguato, anche in società democratiche, per salvaguardare la sicurezza dei cittadini e prevenire e reprimere il compimento di gravi reati.

La vera questione non è quindi la legittimità, indiscutibile, delle norme di diritto interno che consentono le intercettazioni. È invece la capacità del nostro sistema di assicurare un accettabile equilibrio tra la difesa sociale e le libertà individuali.

 

Ritiene che questo equilibrio sia assicurato dalla giurisprudenza contemporanea?

Mi sono posto anch’io questa domanda e, per provare a rispondere, ho esaminato migliaia di sentenze di legittimità e di merito e proprio da questo studio è nato il mio manuale sulle intercettazioni.

Mi pare di poter dire che la prevalente risposta giudiziaria alle questioni ed agli interrogativi posti da ciò che succede nei giudizi penali abbia al momento due caratteristiche essenziali.  La prima è una palese tendenza di tipo conservativo: i giudici, messi di fronte a richieste e dubbi sulla correttezza delle procedure di intercettazione normalmente scelgono di conservare i risultati acquisiti dagli inquirenti. Questo equivale a dire che i principi di non dispersione delle prove acquisite e della finalizzazione del processo penale all’accertamento della verità sono considerati di maggior peso rispetto alla tutela delle libertà essenziali dei cittadini.

La seconda e altrettanto palese tendenza è strumentale alla prima: i giudici utilizzano criteri interpretativi che sembrano sminuire i vari limiti e obblighi che il legislatore ha codificato proprio per impedire che le intercettazioni mettano in crisi i valori e le libertà essenziali di cui parlavo prima.

Non mancano ovviamente e non sono neanche rare le decisioni più attente ai profili delle garanzie ma la mia impressione è che in questo periodo prevalga una sensibilità giudiziaria differente.

 

Che ruolo ha in questa situazione la riforma delle intercettazioni varata nella scorsa legislatura?

Nel mio manuale ho descritto questa riforma nel suo significato complessivo e nei suoi temi di dettaglio.

Nel frattempo, tuttavia, l’attuale maggioranza di governo ha in corso un ripensamento, a quanto pare piuttosto critico, di quella riforma e degli effetti che potrebbe generare. L’unica certezza, al momento, è che il Governo in carica, con l’articolo 2 comma 1 del DL 91/2018 (il cosiddetto Decreto mille proroghe) ha prorogato a dopo il 31 marzo 2019 l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal decreto attuativo, cioè il D. Lgs. 216/2017.

È legittimo pensare che le direttrici portanti della riforma saranno abbandonate. Cosa verrà al loro posto, ad oggi non è dato sapere.

 

Norme fluttuanti e indirizzi interpretativi non sempre condivisibili: non le pare che una situazione del genere coinvolga e interpelli i professionisti forensi che svolgono attività di difesa penale?

Mi pare eccome, ma non solo loro. Gli avvocati penalisti hanno un compito difficile: le parti private del giudizio penale, e tra queste in primo luogo l’indagato/imputato, devono compiere il loro ruolo e i loro atti in un contesto complicato e confuso che, quando l’accusa può contare sui risultati delle intercettazioni, rende difficile perfino la loro adeguata conoscenza. Tempi ristretti, difficoltà di accesso agli atti, dimensioni talvolta impressionanti del materiale raccolto, impossibilità di cogliere in tempo utile (se si deve presentare istanza di riesame) ognuno dei passaggi significativi delle comunicazioni e altro ancora.

Analoghe difficoltà si presentano per l’accusa pubblica cui spetta di gestire responsabilmente il flusso di informazioni acquisite e per il giudice cautelare, di merito e di legittimità.

Una situazione non facile, direi.

 

E quindi?

L’unico antidoto è la conoscenza. Chiunque abbia un ruolo e delle responsabilità nel processo penale ha il dovere di conoscere al meglio delle sue possibilità i fatti, le norme e la loro interpretazione. Così come gli spetta, secondo la funzione che gli è propria, interpretarla alla luce dei principi essenziali sui quali si regge la nostra società.