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Chi sono i fattorini del food delivery?

Chi sono i fattorini del food delivery?
Chi sono i fattorini del food delivery?

Di Francesco Del Prato e Carlo Stagnaro

 

1. Introduzione

Chi sono e cosa vogliono i lavoratori della gig economy? In un precedente lavoro[1], abbiamo spiegato come i bassi costi di transazione resi possibili dall’innovazione digitale abbiano effetti sull’organizzazione industriale. L’idea di fondo è che, ormai, è possibile trovare soluzioni decentrate a problemi che nel passato richiedevano forme di integrazione orizzontale o verticale.

Un caso tipico è quello del food delivery: prima dell’avvento della connettività diffusa, i fattorini erano tipicamente dipendenti (sovente in nero) della pizzeria o del ristorante di cui consegnavano i prodotti. La consegna a domicilio era un servizio introdotto dall’esercizio commerciale con l’obiettivo di raggiungere un mercato che, altrimenti, non avrebbe potuto rifornire. L’ingresso delle piattaforme online ha radicalmente cambiato la struttura del mercato: la piattaforma, infatti, non agisce in una logica di integrazione verticale, ma offre servizi di intermediazione, sostanzialmente connettendo i tre versanti del mercato: il consumatore, il ristorante e il rider. Quest’ultimo si è “emancipato” dall’esercizio commerciale senza però diventare dipendente della piattaforma. Infatti – nonostante il vasto dibattito in materia[2] – non è soggetto ai vincoli di subordinazione tipici del lavoro dipendente, ma presenta caratteristiche tipiche del lavoro autonomo, tra cui la libertà di scegliere se e quando offrire i propri servizi.

In questo Focus presentiamo alcuni dati di un sondaggio sui rider italiani, condotto tra i collaboratori della piattaforma Deliveroo. I dati confermano non solo – come vedremo – che i fattorini tendono ad apprezzare le proprie condizioni di lavoro, ma anche che essi si comportano e si percepiscono come lavoratori autonomi.

Gran parte della discussione sul tema dei rider – assurti in qualche modo a simbolo di una nuova generazione di lavoratori apparentemente privi di tutele – ruota attorno a uno stridente fraintendimento sul tipo di relazione tra di loro e la piattaforma. Se visto con la logica dell’economia industriale, il rapporto “leggero” tra fattorino e piattaforma è la conseguenza proprio dei bassi costi di transazione che internet e gli smartphone determinano, abbattendo i costi di search (per mezzo della geolocalizzazione) e quelli reputazionali (attraverso i meccanismi di feedback o altri analoghi, che consentono ai tre attori – cliente, esercente e rider – di fidarsi gli uni degli altri pur senza intrattenere un rapporto personale e diretto all’atto della finalizzazione dell’ordine).

A dispetto di questo dato imprescindibile del modello di business delle piattaforme – senza il quale l’intermediazione stessa diventa priva di contenuto, perché la piattaforma sarebbe non più un intermediario ma essa stessa si porrebbe su un versante del mercato, cioè quello della consegna – rimangono forti le pressioni, se non per imporre un rapporto di subordinazione, quanto meno per mimare dinamiche contrattuali tipiche del lavoro dipendente. Vanno in questa direzione sia l’inclusione della figura del fattorino all’interno del contratto nazionale della logistica[3], sia le proposte di tutela dei lavoratori delle piattaforme attualmente in discussione presso il Parlamento Europeo[4]. Altri hanno suggerito l’introduzione di una terza figura, di fianco a quelle del lavoro autonomo e subordinato, per tenere conto delle peculiarità di queste attività senza metterne a repentaglio la sopravvivenza[5].

Quelle citate, e altre ancora, sono tutte riflessioni rilevanti, che tuttavia spesso trascurano un elemento a nostro giudizio cruciale: l’identità e le caratteristiche dei rider stessi.

 

2. Chi sono i rider?

2.1. Alcune statistiche descrittive

Un primo elemento di approfondimento su tale aspetto è emerso da un’indagine della Fondazione Rodolfo Debenedetti[6], che ha condotto una survey su 15.000 lavoratori. Estrapolandone i risultati, la Fondazione stima che i “lavoretti” coinvolgano circa 700 mila persone (il 2,5 per cento della popolazione attiva). Di questi, circa 150 mila hanno nella collaborazione con le piattaforme la loro principale fonte di reddito. I fattorini sono circa 10 mila. Il tipico rider fotografato dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti è un individuo tra i 30 e i 45 anni, in possesso di un diploma di scuola superiore. La maggior parte ottiene dalla gig economy una fonte di reddito non primaria (anche se il 20 per cento vi deve il suo stipendio principale), che si caratterizza per un impegno frammentario durante la settimana e presumibilmente temporaneo. Inoltre, la maggioranza dei fattorini si dichiara soddisfatta del proprio lavoro, che anzi vorrebbe poter praticare per più ore, e ne apprezza in particolare la flessibilità. Queste caratteristiche sono molto simili a quelle dei driver Uber, studiati da Jonathan Hall e Alan Krueger negli Stati Uniti: anch’essi sostengono di assegnare un grande valore alla flessibilità, e dichiarano di svolgere la propria attività con l’obiettivo principale di compensare le fluttuazioni nel loro reddito principale[7].

In questo Focus offriamo ulteriori informazioni relative all’identità, le caratteristiche e le percezioni dei fattorini. Anticipiamo infatti i risultati di una survey condotta tra i collaboratori della piattaforma Deliveroo tra il 30 agosto e il 6 settembre 2018. Inoltre, dove possibile, confrontiamo tali risultati con le risposte fornite in un round precedente di indagine, svolto nel mese di giugno 2018. Alla survey hanno risposto oltre 1.000 fattorini. Il tempo medio di compilazione del sondaggio è stato pari a 17 minuti.

Con Deliveroo lavorano oltre 4.000 rider, in larga maggioranza (91 per cento) uomini, la maggioranza giovani ma non giovanissimi (il 62 per cento ha tra i 20 e i 30 anni, il 23 per cento oltre 30 anni). Per la maggioranza (72 per cento) si tratta di italiani, ma la presenza di stranieri resta significativa. Tenendo conto del numero di consegne effettuate, in media il salario orario di un fattorino è pari a 12 euro/ora (contro i 7 euro previsti come minimo orario dal contratto della logistica). Naturalmente, questa stima implica che alcuni riusciranno a spuntare un reddito superiore, altri inferiore in funzione dell’attività effettivamente svolta a bordo del proprio mezzo (la bicicletta nel 72 per cento dei casi)[8].

I temi che ci interessa indagare riguardano in particolare i) la natura del rapporto di collaborazione tra il rider e la piattaforma e ii) la percezione di tale rapporto da parte del rider. Nel valutare i risultati dell’indagine, e nel confrontarli col round precedente dove possibile, occorre tenere presente che il periodo in cui si è svolta (fine agosto e inizio settembre) coincide tipicamente con un momento dell’anno nel quale una delle principali popolazioni di fattorini (gli studenti) è assente dalla città.

Figura 1

Da quanto tempo collabori con Deliveroo?

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2.2. Indagine Deliveroo: che tipo di rapporto c’è tra il fattorino e la piattaforma?

La prima evidenza importante è relativa alla durata del rapporto di lavoro tra i rider e la piattaforma che, nella maggioranza dei casi, si presenta piuttosto ridotta (Figura 1): circa la metà svolgono attività per un periodo inferiore ai sei mesi (oltre il 60 per cento nel round precedente).

Inoltre, sappiamo che i fattorini lavorano in media 11 ore a settimana, durante le quali ricavano in media 130 euro. La Figura 2 illustra cosa fanno essi nella vita, oltre a consegnare cibo a domicilio per qualche ora alla settimana. Quattro fattorini su cinque sono studenti[9] oppure lavoratori autonomi o dipendenti. Entrambe queste occupazioni, come vedremo, si sposano alle motivazioni fornite dai rider per spiegare come mai abbiano scelto di dedicare parte del loro tempo a questa attività. Gli altri, tolta una piccola percentuale di giovani ricercatori o stagisti, sono disoccupati, alcuni dei quali alla ricerca di un nuovo impiego, altri evidentemente scoraggiati. Questi ultimi, verosimilmente, sono gli unici a considerare la collaborazione con la piattaforma come un elemento pivotale della propria vita professionale.

Figura 2

Quale delle seguenti categorie rappresenta meglio la tua occupazione principale?

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La Figura 3 illustra le loro motivazioni. La maggioranza assoluta dei fattorini cita l’esigenza di guadagnare somme aggiuntive come principale ragione del proprio impegno: il 56 per cento desidera un reddito aggiuntivo, il 26 per cento ha bisogno di una somma per soddisfare un bisogno contingente e il 9 per cento sta cercando un altro lavoro, affidandosi ai lavoretti nel frattempo. Questa descrizione è perfettamente coerente col background che abbiamo visto, secondo cui l’ampia maggioranza dei fattorini è costituita da studenti o lavoratori che intendono aggiungere una fonte di reddito alla loro vita, laddove una non comunque non trascurabile minoranza è rappresentata dai disoccupati.

Figura 3

Per quale motivo collabori con Deliveroo?

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In breve, la maggior parte dei rider svolge quest’attività a margine di un’altra principale (studente o lavoratore) e lo fa principalmente per “arrotondare”. A tal fine, impegna un numero limitato di ore (in media 11 la settimana) da cui tuttavia deriva un salario orario (12 euro) superiore ai minimi contrattuali del settore più vicino, cioè la logistica (7 euro). Le scelte concrete dei fattorini ci restituiscono un’immagine di individui che non vedono nel rapporto con la piattaforma “il” proprio impiego, ma un’occupazione addizionale e prevalentemente temporanea, grazie alla quale possono meglio soddisfare i propri bisogni, compatibilmente con le proprie esigenze e nelle fasce orarie e nei giorni preferiti. In sostanza, si comportano da lavoratori autonomi.

 

2.3. Indagine Deliveroo: che percezione ha il rider del suo rapporto con la piattaforma?

L’indagine condotta da Deliveroo ha posto ai fattorini una serie di domande relative alla loro percezione del rapporto con la piattaforma di food delivery. Questo ci consente di affrontare un secondo tema: i lavoratori si comportano come autonomi, ma ragionano da autonomi o da dipendenti?

In primo luogo – anche alla luce di quanto visto nel paragrafo precedente – è importante sottolineare che essi si ritengono in maggioranza assoluta soddisfatti (65 per cento), mentre solo una minoranza, il 9 per cento, si dichiara insoddisfatta (Figura 4).

Figura 4

Quanto siete soddisfatti?

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Il livello complessivo di soddisfazione nel secondo round di indagine è leggermente inferiore al primo (65 per cento contro 74 per cento), mentre cresce la percentuale di non soddisfatti (9 contro 4 per cento). Verosimilmente questa variazione è spiegabile con la diversa composizione del campione, che riflette il periodo dell’anno in cui la survey è stata condotta. La Figura 6 fornisce a tal proposito un indizio, come vedremo. In ogni caso, non possiamo negare che questo leggero spostamento rappresenti un elemento importante cui prestare attenzione, che dovrà essere monitorato con particolare cura durante le prossime indagini.

Le Figure 5 e 6 riportano le principali ragioni di soddisfazione e insoddisfazione dei fattorini. Le domande sono state poste in maniera divisa, rispettivamente, a quanti si dichiaravano soddisfatti e insoddisfatti.

I due grafici vanno analizzati in parallelo, ma commentati separatamente. Anzitutto, per quanto riguarda i motivi di soddisfazione non vi sono scostamenti significativi tra i due round dell’indagine. La principale ragione citata dai rider ha a che fare con la flessibilità del lavoro, per quanto venga proposta con declinazioni diversi. I fattorini sembrano oltretutto ritenere congruo il compenso ricevuto (occorre comunque ribadire che questa domanda è stata rivolta ai soli rider soddisfatti, pari a circa i due terzi del campione). 

Figura 5

Motivi di soddisfazione

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Figura 6

Motivi di insoddisfazione

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Al contrario, le ragioni di insoddisfazione a settembre sono dominate dal fatto che non c’è abbastanza lavoro: questo fattore può naturalmente dipendere dal momento in cui la rilevazione è stata compiuta, caratterizzato da una bassa domanda (la piattaforma è operativa soprattutto nelle città, che tra la fine di agosto e l’inizio di settembre generalmente vedono ancora un livello di attività inferiore al resto dell’anno, legato anche alla chiusura di scuole e università). A parte questo, i fattorini lamentano l’eccessiva impersonalità del rapporto con Deliveroo, i disservizi sulla app e il livello delle remunerazioni. Purtroppo, non è possibile conoscere, da questi dati, se il reddito medio dei rider insoddisfatti sia allineato, o inferiore, alla media.

Altri quesiti rivolti ai rider riguardano le tutele che vorrebbero avere: la maggioranza chiede assicurazioni, contributi previdenziali e copertura in caso di malattia. A differenza delle risposte relative all’effettivo svolgimento delle proprie mansioni, rispetto alle quali i fattorini ragionano perlopiù come lavoratori autonomi, se posti di fronte alla possibilità di ottenere maggiori tutele sembrano adottare una logica da lavoratore dipendente. Tuttavia, dovendo fronteggiare l’inevitabile trade off tra lavoro autonomo e dipendente – ossia tra maggiori tutele e minore flessibilità, o maggiori tutele e minore remunerazione netta – la Figura 7 mostra come tornino a “pensare” da autonomi.

Figura 7

Considereresti la possibilità di lavorare con Deliveroo tramite un contratto di lavoro subordinato?

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In sostanza, i fattorini sarebbero disposti a rinunciare ad alcuni gradi di libertà che oggi vengono loro garantiti, ma in larga maggioranza (attorno o sopra il 60 per cento) non sono disposti a mettere in discussione la propria facoltà di decidere se e quando rendersi disponibili, di organizzare autonomamente il lavoro, e di rinunciare a una parte del compenso a fronte di maggiori tutele.

 

3. Conclusioni

In conclusione, i dati emersi dall’indagine condotta tra i fattorini Deliveroo offrono un quadro di coerenza tra la struttura economica e l’organizzazione industriale sottostanti il modello di business delle piattaforme, il comportamento dei rider e le loro opinioni.

Le piattaforme online si configurano normalmente come mercati a due o più versanti: nel caso del food delivery, per esempio, i versanti che vengono connessi sono tre (i clienti, i ristoranti e i fattorini). Tale soluzione organizzativa è resa possibile dai bassi costi di transazione legati alla connettività diffusa e alla geolocalizzazione degli smartphone: una delle conseguenze della digitalizzazione è chiaramente quella di aver esteso la dimensione fisica e l’appetibilità economica del mercato. Un’altra, su cui ci siamo concentrati in questo Focus, riguarda invece il processo di disintegrazione verticale che le piattaforme hanno innescato: i fattorini non sono più dipendenti di un’organizzazione centralizzata (generalmente il fornitore del cibo) ma sono liberi di partecipare oppure no, nel rispetto delle loro esigenze, attraverso l’intermediazione della piattaforma.

 

Due aspetti emergono con forza dall’analisi della struttura economica del mercato: i) la piattaforma svolge appunto una funzione di intermediazione, il cui scopo è connettere i diversi attori del mercato; ii) i fattorini godono della piena autonomia relativamente a quando e come lavorare, e pertanto non possono essere qualificati come lavoratori dipendenti venendo meno il requisito dell’eterodirezione – ossia della subordinazione gerarchica. La tesi che quest’ultima sia oggi rappresentata dall’algoritmo di matching è di estrema fragilità, in quanto è in ultima analisi il rider a decidere non solo se rendersi disponibile in una certa fascia oraria, ma anche se accettare la singola corsa.

In questo Focus, grazie alla possibilità di ottenere e utilizzare i risultati di un’indagine svolta tra i fattorini della piattaforma Deliveroo, abbiamo avuto accesso a informazioni relative a come i rider si comportano, e a cosa pensano delle loro relazioni lavorative. Abbiamo trovato tre risultati principali, che emergono in modo coerente dalle informazioni in nostro possesso:

  • i fattorini svolgono la propria attività per periodi limitati (in maggioranza meno di sei mesi), allocando una quota relativamente modesta del proprio tempo (in media 11 ore la settimana) e derivandone una remunerazione oraria media significativamente superiore ai minimi settoriali (12 euro in media);
  • il comportamento dei rider presenta caratteristiche tipiche dei lavoratori autonomi: la maggioranza ha un’altra occupazione principale, tipicamente da studente o lavoratore, e devolve parte del suo tempo alla consegna di cibo a domicilio soprattutto per ricavare le somme necessarie ad affrontare specifiche spese o comunque per arrotondare lo stipendio;
  • anche l’opinione che i fattorini hanno di sé pare più prossima alla figura dell’autonomo che del lavoratore dipendente: in media, i lavoratori assegnano una grande importanza alla propria autonomia e al diritto di auto-organizzarsi, scegliendo se e quando rendersi disponibili e se accettare una consegna. In astratto, chiedono più “diritti” tipici del lavoro subordinato (ferie, malattia) ma, se concretamente posti di fronte alla scelta tra la libertà dell’autonomo e le protezioni del dipendente, in maggioranza dicono di prediligere la prima.

Alla luce di tutto questo, i tentativi di inquadrare i rider nelle maglie del lavoro dipendente appaiono tre volte controproducenti: la regolamentazione sarebbe incoerente con la natura stessa dell’attività delle piattaforme, priverebbe i lavoratori di quella che identificano come la principale fonte di attrattività del food delivery, e si tradurrebbe in una perdita di benessere sociale dovuta alla minore offerta di servizi di consegna del pranzo a domicilio. Occorre piuttosto ragionare su quali protezioni siano concretamente necessarie viste le caratteristiche del lavoro dei rider, e prevedere forme di intervento pubblico solo se esse non vengono fornite dal mercato. La principale rivendicazione dei fattorini – la tutela contro gli infortuni sul lavoro – per esempio viene coperta da molte piattaforme (inclusa Deliveroo) attraverso schemi assicurativi privati.

Nel complesso, non rileviamo ragioni cogenti – anzi, emergono numerose controindicazioni – per assoggettare la professione del rider a una disciplina specifica.

[1] Francesco Del Prato e Carlo Stagnaro, “Take it easy, rider! Perché la flessibilità dei lavoretti è un valore e non un limite”, Istituto Bruno Leoni, Briefing Paper, no.167, 13 luglio 2018.

[2] Si veda per esempio Economia & Lavoro, vol.52, no.2, Maggio 2018, “Gig Economy and Market Design. Why to Regulate the Market of Jobs Carried Out Through Digital Platforms”, a cura di Michele Faioli.

[3] Federica Meta, “Gig economy, arriva il contratto per i riders: ecco cosa prevede”, CorCom, 19 luglio 2018.

[4] Federica Meta, “La Commissione Occupazione del Parlamento europeo vota le norme per garantire maggiori tutele agli addetti delle piattaforme. Contratti trasparenti, orario di lavoro e formazione i punti chiave”, CorCom, 16 ottobre 2018.

[5] Pietro Ichino, “I diritti dei lavoratori nella gig economy”, Lavoce.info, 13 aprile 2018; Pietro Ichino, “Gig economy: un diritto per il lavoro nella terra di mezzo”, Lavoce.info, 1° giugno 2018.

[6] Tito Boeri, Giulia Giupponi, Alan B. Krueger e Stephen J. Machin, “Social Protection for Independent Workers in the Digital Age”, XX European Conference, Fondazione Rodolfo Debenedetti, Pavia, 26 maggio 2018. Si veda anche “Alla frontiera del lavoro autonomo: la gig economy”, in Inps, XVII Rapporto Annuale, luglio 2018, pp.81-134.

[7] Jonathan V. Hall e Alan B. Krueger, “An Analysis of the Labor Market for Uber’s Driver-Partners in the United States”, NBER Working Paper, no.22843, novembre 2016.

[8] Carlo Stagnaro, “Il salario (dei rider) come variabile indipendente?”, Leoniblog, 13 giugno 1978; Andrea Garnero, “Salario minimo per i rider?”, Lavoce.info, 22 giugno 2018.

[9] La percentuale cala leggermente tra la prima e la seconda rilevazione, presumibilmente a causa del periodo dell’anno.