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Il diritto morale d’autore e il patto di ghostwriting: una convivenza difficile

Il diritto morale d’autore e il patto di ghostwriting: una convivenza difficile
Il diritto morale d’autore e il patto di ghostwriting: una convivenza difficile

Il presente elaborato mira a brevemente analizzare alcune delle problematiche connesse con il diritto d’autore, avendo particolare riguardo ai suoi aspetti c.d. morali.

Il diritto d’autore, come sappiamo, costituisce lo strumento di tutela dell’attività umana creativa, avendo quale finalità preminente quella di garantire a colui che ha dato vita ad un’opera dell’ingegno avente carattere creativo tutta una serie di prerogative, tanto di tipo patrimoniale quanto di tipo personale, tali da assicurargli una possibilità effettiva di controllo in ordine all’utilizzazione dell’opera medesima.

Titolo originario d’acquisto del diritto d’autore è, ai sensi dell’articolo 6 Legge 633/1941, la semplice creazione dell’opera, senza che si rendano necessari adempimenti o formalità ulteriori.

La linearità di questi principi, tuttavia, non sembra a chi scrive essere sempre riscontrabile; infatti, allorquando la nascita dell’opera trovi la sua fonte in un preesistente rapporto contrattuale avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività creativa, emergono alcune questioni di non agevole soluzione.

Tale fattispecie si concretizza fondamentalmente in due casi: il rapporto di lavoro subordinato, ove l’autore si obbliga alla realizzazione di opere destinate allo sfruttamento esclusivo del datore di lavoro, e quello d’opera, per mezzo del quale, invece, l’autore si impegna a realizzare un’opera creativa a beneficio esclusivo del committente.

In relazione a queste figure si pone il problema di individuare quali diritti di utilizzazione vengano acquistati dal datore di lavoro o dal committente; di stabilire se l’acquisto di detti diritti avvenga in via diretta, essendo sufficiente la sola creazione, ovvero subordinatamente a determinati adempimenti, quali ad esempio la consegna; di qualificare la natura giuridica di tale acquisizione e, nei casi più complessi, di determinare addirittura quale soggetto debba essere considerato autore dell’opera.

Non potendo, in questa sede, dare esauriente risposta a tutti gli interrogativi che precedono, si è scelto di approfondire una figura di cui in Italia non si sente parlare spesso, quella del c.d. ghostwriter.

Il ghostwriter è quell’autore professionista che si impegna, dietro corrispettivo, a scrivere libri, articoli, pubblicazioni scientifiche o composizioni musicali che verranno ufficialmente attribuite ad altra persona; è evidente, allora, il perché si parli di “scrittore fantasma” o “scrittore ombra”.

Trattasi di figure cui spesso ricorrono celebrità o personaggi pubblici. Diversi i motivi possibili: assenza di tempo, incapacità di strutturare un libro commercialmente valido, necessità delle case editrici di aumentare il numero di pubblicazioni di un dato autore già noto sul mercato.

Chiarito, dunque, cosa si intende per ghostwriting, risulta immediatamente palese la complessità del rapporto con il diritto d’autore e le forti difficoltà di far convivere il primo con il secondo; difficoltà che, peraltro, vengono accentuate dall’assenza in Italia di una regolamentazione giuridica del fenomeno, a differenza di quanto accade, invece, in Paesi quali Canada, Stati Uniti o Germania[1].

La tensione emerge, come facilmente può immaginarsi, rispetto ai diritti morali d’autore, avendoli la legge italiana assoggettati ad un regime di assoluta indisponibilità.

Non è un caso, infatti, che il mondo anglosassone abbia incontrato meno difficoltà rispetto a quello continentale nel disciplinare l’istituto in questione, costituendo la tutela del diritto morale d’autore un tratto distintivo del secondo sistema giuridico e non del primo. Si precisa, tuttavia, che la distanza tra i due sistemi risulta comunque attenuata dalla circostanza che il titolare del diritto patrimoniale d’autore può, in ogni caso, esercitare un penetrante controllo in ordine alle modalità di impiego dell’opera da parte di terzi, anche con riferimento ai relativi aspetti morali; e questo vale persino per quegli ordinamenti che non conoscono una specifica tecnica di tutela delle suddette prerogative morali dell’autore.

Va, allora, segnalato il tentativo di una recente dottrina individualistica[2] di affermare la liceità del c.d. patto di ghostwriting, attraverso il ripensamento dell’indisponibilità del diritto morale d’autore e, più in particolare, del diritto alla paternità.

Il ghostwriting, infatti, potrebbe essere definito quale forma di “plagio autorizzato”, in cui il committente si appropria della paternità dell’opera senza esserne l’autore originale, in virtù di un accordo contrattuale. Conseguenza della qualificazione del suddetto patto quale contratto valido ad effetti obbligatori, è inevitabilmente che l’eventuale esercizio, da parte dell’autore originario, del potere di rivendicare l’opera costituirebbe un inadempimento contrattuale[3].

Di recente, inoltre, è stata ravvisata un’ulteriore argomentazione a sostegno della liceità del patto di ghostwriting: la facoltà che il legislatore riconosce all’autore di avvalersi di uno pseudonimo. Non sarebbe chiaro, infatti, il perché all’autore dovrebbe esser consentito di impiegare uno pseudonimo ex articoli 20 e 21 Legge 633/1941, ma non di attribuire la paternità della propria opera ad un soggetto che porta un nome diverso[4].

A questa argomentazione, tuttavia, si potrebbe facilmente obiettare che le due fattispecie non sono equiparabili, stante la diversa e particolare ratio che ha spinto il legislatore a consentire l’uso di uno pseudonimo. La legge, infatti, considera lo pseudonimo che abbia acquistato l’importanza del nome quale equivalente, a fini civilistici e del diritto d’autore, al nome medesimo. Per tale ragione lo pseudonimo è sovrapponibile al nome dell’autore ma non al nome altrui: lo pseudonimo è, in altre parole, il nome dell’autore, rappresentando il “mezzo” tramite cui quest’ultimo intende essere identificato. Il nome altrui, invece, per definizione tale non è; ecco il motivo per cui non è possibile ricavare dal c.d. diritto allo pseudonimo quello di attribuire la paternità di una propria opera ad un soggetto che porta un nome diverso[5].

In conclusione, dunque, possiamo affermare che la questione si presenta come piuttosto complessa e, ad oggi, non ancora risolta; la dottrina prevalente, in ogni caso, risulta nettamente propendere per la nullità dei patti di ghostwriting, stante il regime di assoluta inalienabilità ed irrinunciabilità dei diritti morali d’autore, che, attualmente, trova applicazione nel nostro Paese[6].

[1] M.E. Pisu, Professione Ghostwriter, Come costruirsi una redditizia attività da freelance trasformando in un lavoro la passione per la scrittura, Bruno, Roma, 2014, pagina 53.

[2]  Si veda M. BERTANI, Arbitrabilità delle controversie di diritto d’autore, in Ann. it. dir. aut., 2006, pagina 23 ss. L’autore, in particolare, non riconosce nell’ipotesi considerata una vicenda di alienazione. L’atto in questione, infatti, dovrebbe qualificarsi come meramente autorizzativo: in altri termini, la conclusione di un patto di ghostwriting non costituirebbe un atto di disposizione del diritto morale d’autore, bensì una forma d’esercizio dello ius excludendi alios. Ecco, allora, che il contenuto del diritto morale d’autore assume contenuti esclusivamente negativi, venendo ricostruito in chiave di potere negativo di interdizione. Conseguenza di questa impostazione è, dunque, che il patto di ghostwriting non andrebbe a comprimere il contenuto del diritto ma semplicemente «una generica libertà dell’autore di agire per valorizzare la propria personalità creativa».

[3] A. Plaia, Rivendicazione della paternità, tutela della reputazione e ritiro dal commercio nel diritto d’autore, in Dir. ind., 2012, pagina 61, rileva il «paradosso implicito» di questa ricostruzione: enfatizzare il diritto che il vero autore conserverebbe di rivendicare pubblicamente la paternità dell’opera, salvo poi considerare l’esercizio di questo diritto in termini di illecito contrattuale.

[4] Per approfondimenti, PAGINA Galli, sub articolo 20 leggea., in Legge C. Ubertazzi (a cura di), Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Cedam, Padova, 2007, pagina 1588.

[5] In questo caso, infatti, non si avrebbe soltanto una divergenza di nomi, pseudonimo e nome reale, comunque riconducibili ad un unico individuo, ma anche di soggetti, andando il nome altrui ad identificare un soggetto terzo rispetto all’autore dell’opera. Sul punto, A. Plaia, op cit.

[6] Si vedano, fra gli altri, M. Ricolfi, Diritto industriale, volegge II, in G. Cottino (a cura di), Trattato di diritto commerciale, volegge II, Cedam, Padova, 2001, pagina 475, ove si afferma che «anche il ghostwriter che presti la propria attività per dare vita ad una creazione che sarà attribuita ad altri ha diritto a rivelarsi ad onta di qualunque diverso impegno egli abbia assunto» e G. Santini, I diritti della personalità nel diritto industriale, Cedam, Padova, 1959, pagina 29 ss.