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Foto hard a mezzo posta? Non è molestia

Foto hard a mezzo posta? Non è molestia
Foto hard a mezzo posta? Non è molestia

Con la sentenza n. 40716/2018 la Corte di Cassazione penale interviene sul ricorso proposto da un imputato ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 660 del Codice Penale, per aver inviato alla persona offesa numerose missive con accluse foto a contenuto erotico oltre a messaggi sconvenienti e sgraditi.

Ai sensi dell’articolo 660 del Codice Penale "Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a cinquecento sedici euro".

Alla luce del dettato normativo, ai fini della configurazione dell’elemento oggettivo, è richiesto il requisito della "pubblicità del luogo" il quale, per giurisprudenza consolidata, sussiste "tanto nel caso in cui l’agente si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in un luogo privato, tanto nell'ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei riguardi di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico". Tale condotta, poi, può essere perpetrata a mezzo del telefono, ovvero attraverso l'invio di "short messages system" (Sms) trasmessi tramite sistemi telefonici mobili o fissi.

Ed è proprio sui requisiti fondanti la fattispecie contravvenzionale che si snoda la questione.

Invero, in punto di diritto, il giudice di merito aveva rilevato che il caso di specie corrispondeva appieno al paradigma normativo, in quanto l'imputato inviando le foto per il tramite del servizio postale aveva agito in luogo pubblico e l'evento molestia o disturbo si era realizzato in luogo privato presso la residenza della persona offesa. Nulla osservando circa il mezzo utilizzato.

Difatti, con il ricorso per Cassazione, il ricorrente lamentava proprio l’erronea applicazione della legge penale, in quanto il giudicante avrebbe dovuto fare riferimento non al luogo dal quale l'imputato aveva inviato le missive, irrilevante nel caso di specie in quanto non riconducibile alla prima ipotesi di cui all'articolo 660 del Codice Penale, bensì, vertendosi nella seconda ipotesi di detta norma, al mezzo utilizzato per arrecare molestia o disturbo, ossia alle missive, e stabilirne l'eventuale equiparabilità al mezzo del telefono; giungendo alla conclusione, peraltro sostenuta dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, di affermare che al di fuori delle due ipotesi tassativamente previste dall'articolo 660 del Codice Penale il reato non sussiste e la corrispondenza epistolare non è equiparabile al mezzo del telefono.

Sul punto, la Suprema Corte ha richiamato i già affermati principi di diritto secondo i quali, in primo luogo, si intende "aperto al pubblico" il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti ed, in secondo luogo, il principio secondo il quale per integrare il requisito della "pubblicità" del luogo di commissione del reato è sufficiente che, almeno uno dei due soggetti attivo o passivo, si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Secondo la Corte, poi, è evidente che tale principio implica la contestualità della presenza degli attori, soggetto attivo e persona offesa, perché, altrimenti, mancherebbe in radice la potenzialità lesiva dell'azione molesta o di disturbo. Di conseguenza erra, il Tribunale di Locri, sul piano giuridico, quando afferma di ravvisare il requisito della pubblicità del luogo nell'ufficio postale dal quale il ricorrente risulterebbe aver spedito le lettere causa di molestia, trattandosi di antefatto, all'evidenza, insufficiente - per la contestuale assenza da quel luogo della persona offesa - ad integrare un requisito dell'elemento oggettivo del reato.

Ma vi è più da considerare che nella fattispecie in esame la questione da risolvere non è quella della pubblicità del luogo di commissione del reato, che in concreto non rileva, bensì l'altra relativa all'assimilabilità o meno al mezzo del telefono delle lettere cartacee inviate a mezzo posta tradizionale.

Invero, per integrare la contravvenzione prevista e punita dall'articolo 660 del Codice Penale, devono concorrere, alternativamente, gli ulteriori elementi circostanziali della condotta del soggetto attivo, contemplati dalla norma incriminatrice, ossia, la pubblicità (o l'apertura al pubblico) del teatro dell'azione, di cui si è già detto, ovvero l'utilizzazione del telefono come mezzo del reato.

E il mezzo telefonico assume rilievo - ai fini dell'ampliamento della tutela penale altrimenti limitata alle molestie arrecate in luogo pubblico o aperto al pubblico - proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l'apparecchio telefonico, con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita (articolo 15 Costituzione, comma 1).

Sul tema, la Corte richiamando il "principio di stretta legalità" e di tipizzazione delle condotte illecite, sanciti dall'articolo 25 Costituzione, comma 2, e dall'articolo 1 del Codice Penale, che esclude la possibilità della interpretazione estensiva della legge, ha ritenuto che al termine ”telefono” debba essere equiparato qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lui di sottrarsi alla immediata interazione con il mittente, escludendo l'ipotizzabilità del reato in esame nel caso di molestie recate con il mezzo della posta elettronica o della corrispondenza epistolare (in forma cartacea), perché in tal caso non si verifica nessuna immediata interazione tra il mittente ed il destinatario, in quanto essa, recapitata e depositata nella cassetta (o casella) della posta del destinatario ed alla quale quest'ultimo accede per sua volontà, senza peraltro essere stato condizionato da segni o rumori premonitori, non determina alcuna intrusione del primo nella sfera soggettiva del secondo.

Alla luce di siffatti rilievi la Corte non ha potuto che ritenere fondato il ricorso ed annullare senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto.