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Appello cautelare e preclusione processuale. Nessun limite al deducibile

Nota a margine della sentenza n. 46201/18 Sezioni Unite Penali
Appello cautelare e preclusione processuale. Nessun limite al deducibile
Appello cautelare e preclusione processuale. Nessun limite al deducibile

Sommario:

1. La giurisprudenza in tema giudicato cautelare e preclusione processuale

2. La revoca ed il riesame. Due istituti non sovrapponibili

3. Considerazioni conclusive

 

Massima - La mancata tempestiva proposizione, da parte dell’interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, neanche in assenza di fatti sopravvenuti.

Istanza di revoca (Articolo 299 Codice di procedura penale) - Appello cautelare reale (Articolo 322-bis Codice di procedura penale) - Nessuna preclusione processuale - Ammissibilità

Con la Sentenza n. 46201 depositata in data 11 ottobre 2018, le Sezioni Unite Penali sono state nuovamente investite del compito di pronunciarsi – in tema di misure cautelari reali – con riferimento al dibattuto tema della preclusione processuale cautelare e, nello specifico, sulla possibilità di proporre appello cautelare non fondato su elementi nuovi, allorquando non sia stata originariamente proposta istanza di riesame.

Appare utile ricordare che, nonostante fosse già presente in giurisprudenza un dirimente arresto del 2004 a Sezioni Unite [1], che aveva risolto diffusamente la quaestio iuris componendo il precedente contrasto giurisprudenziale, di recente è stato riproposto al vaglio della Suprema Corte nel componimento più autorevole il medesimo quesito, in considerazione delle oscillazioni interpretative che, nel tempo, si sono discostate dal citato arresto guida.

Per meglio comprendere la questione risulta utile ripercorrere la vicenda processuale.

Nell’ambito di un procedimento penale instaurato nei confronti degli amministratori di una società di capitali per i delitti di cui agli articoli 4, 10-ter e 10-quater, comma 2, Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74 e, nello specifico, con riferimento all’applicazione del sequestro preventivo dell’importo costituente il profitto dei reati, gli interessati non impugnavano il suddetto provvedimento ablativo, ma si limitavano successivamente a richiedere la revoca al giudice dell’ordinanza, la quale veniva respinta per non aver valorizzato elementi di novità rispetto alla originaria imposizione del vincolo. All’esito del giudizio di appello proposto ex articolo 322-bis Codice di procedura penale da parte della difesa, il tribunale del riesame dichiarava inammissibile l’istanza di inefficacia del provvedimento, sul presupposto che nel giudizio di appello de libertate devono dedursi circostanze nuove rispetto a quelle riguardanti la legittimità dell’ordinanza della cautela, eccezioni attinenti esclusivamente l’impugnazione del riesame. Veniva, dunque, specificato che in tale contesto procedimentale si verificherebbe una preclusione processuale originatasi dalla mancata attivazione del mezzo specifico ad introdurre tali doglianze.

Tale assunto, quindi, disattendeva integralmente quanto stabilito dall’arresto a Sezioni Unite del 2004 e, per tale ragione, la sezione assegnataria del procedimento, preso atto del contrato interpretativo - non isolato - rimetteva la questione alle Sezioni Unite della Corte.

In particolare, con ordinanza n. 11935 emessa in data 13 marzo 2018 dalla III Sezione della Suprema Corte di Cassazione, veniva adito il massimo consesso della Corte di legittimità per risolvere il quesito giuridico secondo il quale: “la mancata tempestiva proposizione, da parte dell’interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale, legittimi il tribunale del riesame a dichiarare inammissibile il successivo appello cautelare non fondato su elementi nuovi, ma su argomenti tendenti a dimostrare, sulla base di elementi già esistenti, la mancanza delle condizioni di applicabilità della misura”.

1. Giudicato cautelare e preclusione processuale

La sentenza in commento costituisce un nuovo pronunciamento delle Sezioni Unite con riferimento ai noti istituti di matrice giurisprudenziale del giudicato cautelare e della preclusione processuale, ad ulteriore conforto di una giurisprudenza che è intervenuta nutritamente sul punto, definendo l’istituto, delineando il perimetro interpretativo e fissando le differenze rispetto al concetto di “giudicato” esecutivo, anche in relazione alle implicazioni processuali relative all’istituto della revoca [2].

Nonostante, quindi, la questione fosse esaurita sotto il profilo ermeneutico, alcune pronunce contrastanti sul tema della preclusione processuale cautelare ed inammissibilità a proporre il conseguente appello contro provvedimenti reiettivi in relazione all’inattivazione del tribunale del riesame, hanno necessitato l’intervento delle Sezioni Unite che, con l’intento di normalizzare l’accertamento dell’incidente cautelare nei limiti, ovviamente, dei diversi principi compenetranti misure cautelari in generale hanno rimarcato quanto affermato in precedenza.

In particolare, è stato riproposto all’attenzione delle Sezioni Unite la questione giuridica delle implicazioni - connessioni tra l’appello cautelare e il procedimento di revoca delle misure cautelari, per fatti non sopravvenuti, laddove non si sia investito precedentemente il Tribunale della libertà con puntuale richiesta di riesame.

In entrambi i casi, ovvero in tema di misure cautelari personali e, successivamente, anche in tema di sequestri, l’orientamento interpretativo della Suprema Corte ha evidenziato che l’eventuale omessa attivazione del procedimento de libertate non comporta alcuna preclusione per il giudice competente a pronunciarsi sulla revoca della misura con riferimento alla verifica, sia della carenza originaria, che persistente degli indizi o delle esigenze cautelari.

Si osservi come i Giudici di Legittimità, nell’ambito della citata sentenza, principino osservando come della questione fossero già stati investi in epoca più risalente e, dettagliatamente, come si fossero già pronunciati con la sentenza n. 29952 del 24.5.2004 [3], secondo la quale si era affermato il principio di diritto in forza del quale la mancata tempestiva proposizione, da parte dell’interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne precluda la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, anche in assenza di fatti sopravvenuti.

Al riguardo, non mancavano di ricordare che, se si dovesse parlare di effetto preclusivo, lo si dovrebbe fare con riferimento all’impossibilità di riproporre motivi già dedotti in sede di riesame, quando il quadro processuale risulti invariato.

Tali conclusioni muovono da un duplice ragionamento sia di carattere letterale che sistemico dell’istituto giurisprudenziale del giudicato cautelare e della preclusione.

Quanto ad un profilo meramente lessicale, infatti, ci dice il consesso nomofilattico, che nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 321, comma 3, Codice di procedura penale secondo cui: “il sequestro è immediatamente revocato, a richiesta del P.M. o dell’interessato, quando risultino mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal 1 comma”, occorre osservare come la congiunzione coordinante “anche” includa certamente fatti o circostanze che fossero già presenti al momento dell’emissione del provvedimento e, ciò, prescindendo dall’eventuale attivazione del meccanismo cautelare del riesame.

In proposito si sostiene autorevolmente che: “se il legislatore avesse inteso attribuire la forza giustificativa del provvedimento di revoca ai soli elementi di fatto sopravvenuti avrebbe limitato ad essi il parametro di riferimento del giudice nella decisione sulla richiesta di revoca, elidendo la locuzione “anche” dal testo della disposizione in esame e sostituendo l’espressione “risultino venute meno” all’espressione “risultino mancanti” [4].

A conforto, le Sezioni Unite, per uniformità di principio, rammentavano che a medesime conclusioni erano pervenuti in tema di applicazione delle misure cautelari personali ricordando la nota pronuncia a Sezioni Unite n. 11 dell’8.7.1994, Buffa [5].

Sul punto infatti, veniva rammentato che l’unica preclusione processuale suscettibile di evidenza nell’ambito del giudizio cautelare fosse quella che copriva le questioni già dedotte, non quelle deducibili, laddove per dedotte si intendesse quei rilievi critici che, implicitamente o esplicitamente, fossero stati non enunciati in modo specifico, ma risultassero il presupposto logico di quelle espressamente dedotte.

Tenuto conto, quindi, dell’espresso concetto della preclusione processuale, viene ribadito come nel caso di specie tale preclusione debba considerarsi di tipo debole perché operante rebus sic stantibus, e, quindi, tipica del procedimento cautelare [6].

La minore efficacia della suddetta preclusione risiederebbe nella diversa natura tipica del procedimento cautelare rispetto a quella del giudizio di cognizione, tenuto conto che in materia de libertate i provvedimenti giurisdizionali vengono assunti allo stato degli atti e, ovviamente, tale dinamismo procedimentale consente loro di essere sempre rivisti a seguito di un mutamento del quadro probatorio o giurisprudenziale.

Per contro il concetto di giudicato in senso lato sarebbe riferibile esclusivamente a quello esecutivo di cui all’articolo 648 Codice di procedura penale con le evidenti conseguenze sull’immutabilità della situazione giuridica.

Su tale circostanza, il Supremo Consesso evidenziava altro e difforme orientamento, seppur minoritario, che fondandosi su arresti giurisprudenziali precedenti alla citata sentenza Romagnoli negava la possibilità di impugnare il provvedimento di rigetto dell’istanza di rivalutazione della legittimità del provvedimento ablativo, allorquando non si era proposto riesame [7].

Tali pronunce, però, come espressamente richiamato dagli stessi Giudici, sono antecedenti alla nota sentenza Romagnoli e, pertanto, prescindono dalle argomentazioni di quest’ultima, ravvisando che le deduzioni attinenti al fumus commisssi delicti sono materia riservata alla fase del riesame, laddove l’esperimento dell’appello ex art. 322-bis Codice di procedura penale permetterebbe di eccepire tutte le altre questioni, fuorché quelle attinenti a vizi genetici del provvedimento.

In contrasto al citato orientamento minoritario, le Sezioni Unite, sulla scorta dell’interpretazione letterale della norma, affermano che un siffatto ragionamento non tiene in considerazione della questione dell’indubbia proponibilità dell’istanza di revoca della misura fondata sulla scorta degli stessi elementi di fatto, già noti o preesistenti all’emissione della misura, di talchè, deve escludersi – conseguentemente – l’inammissibilità dell’appello avverso i provvedimenti di rigetto.

Il Collegio nella massima composizione conferma, dunque, che si debba escludere l’inammissibilità dell’appello cautelare quando l’istanza di revoca sia fondata su elementi di fatto non sopravvenuti, astrattamente proponibili, ma non proposti in sede di riesame, evidenziando che le argomentazioni a sostegno di tale interpretazione sono le medesime già sviluppate nelle sentenze Buffa e Romagnoli:

1) la definizione della revoca delle misure cautelari personali contenuta nella relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale;

2)  l’analoga e simmetrica formulazione dell’art. 321, comma 3, Codice di procedura penale;

3) l’identità di ratio dei due istituti (esigenza di una verifica costante in ordine alla correlazione della misura cautelare ai principi generali di adeguatezza e proporzionalità.

Viene quindi confermata la precedente interpretazione secondo la quale la sussistenza delle condizioni di applicabilità può essere verificata anche successivamente alla decadenza del termine del riesame purchè le questioni dedotte non siano mai state esaminate in quella sede.

2. La revoca ed il riesame. Due istituti non sovrapponibili

La sentenza citata, con grande chiarezza espositiva, precisa come, nell’ambito della evidenziata preclusione processuale, l’istituto della revoca e quello del riesame non possano configurarsi come due cerchi concentrici a fronte di una differenza genetica che non permette alcuna sovrapposizione concettuale.

Incidenter tantum viene chiarito che l’istituto del riesame ha la funzione di consentire al giudice dell’impugnazione – nei termini perentori – di verificare il provvedimento quanto agli aspetti formali e sostanziali.

Per contro, la revoca si sostanzia nel riscontro “senza limiti temporali”, dei soli profili sostanziali della restrizione, ed ha la funzione di adeguare la situazione cautelare sia alla verifica di eventuali carenze di valutazione sulla sussistenza originaria dei presupposti, che dell’oggettivo accadimento di fatti storici successivi all’emissione della misura cautelare.

Pertanto, in considerazione della differenza ontologica dei due istituti, la Corte evidenzia come una pronuncia di inammissibilità dell’appello, non essendo espressamente prevista tra gli esiti dell’impugnazione di cui all’articolo 322 bis Codice di procedura penale dovrebbe necessariamente rifarsi nelle previsioni normative di cui all’articolo 591 del Codice di procedura penale ove viene indicata appunto una causa di inammissibilità.

Invero, l’unica causa di inammissibilità prevista dall’articolo 591 del Codice di procedura penale è quella di cui alla rinuncia alla impugnazione ex articolo 591, comma 1, lett. d) del codice di procedura penale che, per evidenza, non può certo rapportarsi ad una rinuncia espressa all’impugnazione.

Sul punto affermano i Supremi Giudici che: “La diversità strutturale delle due impugnazioni non consente quindi di attribuire valenza sostanziale alla mancata proposizione del riesame, non permettendo l’equiparazione di fatto, sottesa alle richiamate decisioni in termini di inammissibilità, tra tale condotta e la rinuncia all’impugnazione che sola potrebbe logicamente sorreggere la valutazione di inammissibilità dell’appello, alla luce delle tassative previsioni di cui all’art. 591 C.p.p.”.

Da ciò ne consegue agevolmente la conferma secondo cui nel processo penale non esista l’istituto della acquiescenza e che, per tale ragione, il giudicato cautelare non può e non deve rapportarsi al concetto di deducibile posto che l’interpretazione restrittiva fornita dalla giurisprudenza che prevede l’inammissibilità non è, dunque, confortata da nessuna previsione normativa.

 

3. Considerazioni conclusive

La sentenza in commento permette, in definitiva, di formulare alcune considerazioni conclusive sullo stato della giurisprudenza in tema di giudicato cautelare.

L’arresto giurisprudenziale, infatti, si assesta sul solco interpretativo già ampiamente tracciato dai precedenti citati sinora, ripercorrendo compiutamente le tappe normative che evidenziano la sostanziale differenza tra giudicato cautelare e preclusione processuale, laddove il limite ermeneutico che viene evidenziato ad un eventuale accoglimento dell’istanza di revoca e, quindi, di un appello cautelare, si incontra soltanto nella circostanza dell’impossibilità di proporre quanto già dedotto al tribunale delle libertà.

Contrariamente, dunque, a quanto ipotizzato dalla giurisprudenza minoritaria, la perdita di possibilità di proporre riesame per decorrenza termini deve essere ricondotta esclusivamente alla “natura decadenziale del termine per proporre il riesame previsto dall’art. 99 disp. Att. Cod. proc. Pen., che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite richiamata, non può che essere rigorosamente delimitata nei suoi effetti alla proposizione di quel mezzo di impugnazione” e, quindi, non potendo formulare nessun tipo di giudicato cautelare – anche nella forma dell’esaurimento delle impugnazioni – su eventuali successive richieste di perdita di efficacia della misura restrittiva.

Nell’ottica del principio del favor libertatis, quindi, per quanto attiene alle misure cautelari reali, concetto mutuabile da quanto sostenuto nell’ambito delle misure cautelari personali, l’effetto preclusivo deve essere riferito soltanto alle questioni già dedotte – anche implicitamente – ma, mai, a quelle deducibili.

È possibile affermare, dunque, che la decisione in commento, confermando quanto già espresso in precedenza, ha il pregio di definire ampiamente il concetto di preclusione processuale da un lato, e dall’altro, di limitare quello di giudicato cautelare ridimensionando un istituto di matrice giurisprudenziale che, con l’intento di delimitare le numerose e defatiganti impugnazioni difensive aventi il medesimo petitum, non può certamente superare il limite processuale di comprimere principi costituzionali sottesi alla vigenza della misura cautelare, in tutte le fasi del processo.

[1] Cfr. Cass. Pen. Sez. Un. n. 29952 del 24.5.2004, Romagnoli, Rv. 228117

[2] Cfr. Cass. Pen. Sez. Un. 1 luglio 1992, n. 11, Grazioso, in C.E.D. Cass., n. 191183; Cass. Pen. Sez. Un., 18 giugno 1993, n. 14, Dell’Omo, ivi, n. 194312; Cass. Pen., Sez. Un., 12 ottobre 1993, n. 20, Durante, ivi, n. 195354; Cass.pen., Sez.Un.,12 novembre 1993, n. 26, Galluccio, ivi, n. 195806; Cass.pen. Sez.Un., 8 luglio 1994, n. 11, Buffa, ivi, nn. 198211-213; Cass.pen., Sez.Un.,15 gennaio 1999, n. 2, Liddi,ivi, n. 212807; Cass.pen.,Sez.Un.,31 maggio 2000, n. 14, Piscopo, ivi, n. 216261;Cass. Pen., Sez.Un. 31 marzo 2004, n.18339, Donelli, ivi, nn. 227357 – 227359; Cass. Pen., Sez.Un., 24 maggio 2004, n. 29952, Romagnoli, ivi, n. 228117; Cass. Pen.Sez.Un.19 dicembre 2006, n. 14535, Librato, ivi, n. 235908.

[3] Cfr. Cass. Pen. Sez. Un. Cit.

[4] Cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 9.7.2004, Buffa, op. cit. pag. 6.

[5] Nell’ambito della suddetta sentenza, le Sezioni Unite avevano affermato che con riferimento al giudicato cautelare relativo alle misure cautelari personali, che la revoca della misura cautelare personale non incontra alcuna preclusione quanto all’accertamento della carenza originaria degli indizi o delle esigenze cautelari – nella mancata impugnazione dell’ordinanza cautelare, poiché la revoca rappresenta un potere esercitabile senza limitazioni temporali di sorta nell’intero corso delle indagini preliminari e del processo, mentre una preclusione può formarsi solo a seguito delle pronunzie emesse all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze applicative delle misure cautelari personali e riguarda le questioni trattate in forma sia esplicita che implicita, ma non anche le questioni deducibili.

[6] Cfr. Rocco Criscuolo, “il giudicato e il giudicando cautelare”.

[7] Cfr. Cass. Pen. Sez. III n. 29234 dell’11.6.2003, Cass. Pen. Sez. III, n.  17364 dell’8.3.2007 ; Cass. Pen. Sez. VI, n. 5016 del 26.10.201.