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La giustizia costituzionale rafforza la tutela delle vittime di violenza domestica

Nota alla sentenza 236/2018 della Corte costituzionale
La giustizia costituzionale rafforza la tutela delle vittime di violenza domestica
La giustizia costituzionale rafforza la tutela delle vittime di violenza domestica

Indice:

Abstract

1. Il fatto

2. Il ragionamento della Corte Costituzionale

3. La decisione

 

Abstract

La decisione che la Corte costituzionale ha assunto al termine del giudizio di legittimità costituzionale in  via incidentale dell’articolo 4, comma 1, lettera a, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, come modificato dall’articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito, con modificazioni, nella legge 15 ottobre 2013, n. 119) permette da ora ai Tribunali ordinari di ordinare l’allontanamento dalla casa familiare anche di chi è indagato o imputato per lesioni volontarie lievissime nei confronti di chi è vittima di violenza domestica, che siano figli naturali, discendenti, ascendenti, coniuge (anche separato o divorziato) nonché altra parte dell’unione civile. È questa la modifica introdotta dalla Corte costituzionale, mediante lo strumento della dichiarazione dell’illegittimità costituzionale.

 

1. Il fatto

Alla base del presente giudizio di legittimità si trova quale atto di promovimento l’ordinanza di rimessione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Teramo, il quale ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 1, lettera a, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, come modificato dall’articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito, con modificazioni, nella legge 15 ottobre 2013, n. 119 - d’ora in poi solo articolo 4.1 del decreto legislativo 274/2000) nella parte in cui per il delitto previsto dall’articolo 582 del codice penale  non prevede l’esclusione della competenza del giudice di pace anche per i fatti aggravati ai sensi dell’articolo 577, primo comma, numero 1), codice penale, commessi contro il discendente non adottivo, quindi nei confronti di quello che il legislatore pre riforma indicava come “figlio naturale”.

Il giudice rimettente, sottolineando la rilevanza (per cui il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità) e la non manifesta infondatezza   dei dubbi di costituzionalità, afferma che la disposizione censurata, non prevedendo l’esclusione della competenza per materia del giudice di pace anche in relazione al reato di lesioni perseguibile a querela, commesso in danno del figlio naturale, e contemplandola invece per lo stesso reato in danno del figlio adottivo, confliggerebbe con l’articolo 3 Costituzione per violazione del principio di eguaglianza e per irragionevolezza intrinseca, senza giustificazione alcuna.

La motivazione della non manifesta infondatezza, in riferimento ai singoli parametri costituzionali che vengono lesionati della norma censurata, è infatti necessaria al fine di definire la questione di legittimità sottoposta all’esame della Corte, che altro non è se non il thema decidendum del giudizio costituzionale.
Il giudice a quo, nel sollevare la questione, sottolinea come il legislatore abbia stabilito, per il medesimo reato, un diverso criterio di riparto della competenza per materia, tra giudice di pace e tribunale ordinario. Infatti, come si legge dalla sentenza, soltanto le condotte consumate dal genitore nei confronti del figlio adottivo, già di competenza del giudice di pace, sono divenute di competenza del tribunale ordinario e non anche quelle consumate in danno del figlio naturale,  distinzioni queste tra figli naturali, figli legittimi e figli adottivi che sarebbero dovute venire meno definitivamente con la riforma sulla filiazione del 2012 (Eliminare qualsiasi forma di discriminazione tra figli legittimi e figli naturali, ossia nati fuori dal matrimonio. È infatti l'obiettivo al quale mirano le norme in materia di riconoscimento dei figli naturali contenute nella Legge 10 dicembre 2012 n. 219)

La disposizione censurata prevede quindi una differenziazione di trattamento tra figli: nell’ipotesi che il reato di lesioni personali «lievi» sia commesso in danno al figlio adottivo è consentita l’applicazione «della misura dell’allontanamento dalla casa familiare» disposta dal Tribunale ordinario; mentre, laddove il reato sia in danno di un discendente, qual è il figlio naturale, sussistendo la competenza del giudice di pace, deve escludersi l’allontanamento. Questa dicotomia è facilmente comprensibile se si considera che il giudice di pace non può̀ disporre misure cautelari personali, neppure nei casi di urgenza, e l’allontanamento dalla casa familiare consiste in una di queste. Un incongruo trattamento tra quello che spetta al figlio adottivo e quello rispetto al figlio naturale, vittime allo stesso modo di condotte poste in essere in ambito familiare, ma sanzionate e tutelate con forme diverse. Una disparità di trattamento lesiva dell’articolo 3 della Costituzione, che impedisce di fatto un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione.
Eppure la motivazione che spinge il GIP di Teramo a sospendere il procedimento e a rimettere la questione alla Corte costituzionale non si ferma alla sola sfera dell’irragionevolezza della norma impugnata, ma evidenzia anche una violazione dell’articolo 24 Cost., esistendo un pregiudizio per l’indagato nella parte in cui il giudice è impossibilitato ad adottare un provvedimento di archiviazione ai sensi degli articoli 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale e 131-bis codice penale per difetto di punibilità in ragione della particolare tenuità del fatto.

2. Il ragionamento della Corte costituzionale

Da subito il Giudice delle Leggi ha considerato non fondata l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, non essendo la questione carente di rilevanza. Infatti, come si legge dalla sentenza, il dubbio non manifestamente infondato di legittimità costituzionale, espresso dal giudice rimettente, riguarda, dunque, una disposizione di cui egli dovrebbe fare applicazione e che censura proprio nella parte in cui non prevede, all’opposto, la competenza del tribunale ordinario; ciò assicura la rilevanza e, dunque, l’ammissibilità delle questioni di costituzionalità e all’opposto ha ritenuto la questione fondata in riferimento all’articolo 3, primo comma, Costituzione, con conseguente assorbimento dell’ulteriore censura di violazione dell’articolo 24 Costituzione.

Nell’analisi della disposizione sottoposta al vaglio della Corte si intuisce come il giudice di pace è competente: «a) per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli 581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma perseguibili a querela di parte, ad esclusione dei fatti commessi contro uno dei soggetti elencati dall’articolo 577, secondo comma, ovvero contro il convivente […]» rappresentando la norma un catalogo dei reati attribuiti alla competenza del giudice di pace in deroga alla competenza del tribunale ordinario. Prima allora della modifica della regola di competenza contestata dal giudice rimettente, le lesioni lievissime in danno del figlio naturale e quelle in danno del figlio adottivo avevano lo stesso trattamento sostanziale: punite a querela e di competenza sempre del giudice di pace.

Eppure la legge di conversione 119 del 2013 è intervenuta a modificare questa previsione, riconoscendo in un caso competente il tribunale ordinario e nell’altro lasciando la competenza al giudice di pace. L’intervento normativo del 2013 era, come noto, diretto a elevare il livello di repressione della violenza domestica. Una ratio tutto sommata condivisibile se non si prendono in considerazione le disparità pratiche che l’applicazione della norma avrebbero comportato, riconoscendosi ictu oculi violazione dell’articolo 3, primo comma, Costituzione quale principio di eguaglianza e di ragionevolezza. Trattamento differenziato tra figlio naturale e figlio adottivo che la Corte costituzionale ritrova anche in un’altra disposizione: l’articolo 577 codice penale che compie la  medesima   differenziazione al primo e secondo comma nel disciplinare le circostanze aggravanti dell’omicidio volontario (è più grave l’omicidio del figlio naturale rispetto a quello del figlio adottivo, fondata sul presupposto della “consanguineità”). Ma nonostante quest’altra differenziazione la Corte non si sente di escludere l’irragionevolezza della disposizione impugnata.

Per il Giudice delle Leggi allora la violazione del parametro costituzionale (dato dall’articolo 3, primo comma, Costituzione) è la mancata inclusione del reato di lesioni volontarie lievissime in danno del figlio naturale nell’elenco dei reati che eccettuano la competenza del giudice di pace e la affidano al tribunale ordinario.

Non rilevando poi alcuna lesione del principio della riserva di legge in materia penale che «rimette al legislatore la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare» non potendo la decisione sprigionare effetti ex tunc ai sensi dell’articolo 136 Cost. e dell’articolo 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la Corte si convince per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

 

3. La decisione

La Corte costituzionale, al termine del ragionamento sopra sintetizzato, con la sentenza 236 del 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 1, lettera a), che – come già ricordato – include nella eccezione alla competenza del giudice di pace il delitto di lesioni volontarie di cui all’articolo 582, secondo comma, codice penale, per fatti commessi in danno dei soggetti elencati nel secondo comma dell’articolo 577 codice penale, comporta la necessaria estensione, nel richiamo operato dalla disposizione censurata, anche ai fatti in danno dei soggetti di cui al numero 1) dell’articolo 577, nella formulazione vigente al momento dell’ordinanza di rimessione, ossia ai fatti in danno, in generale, degli ascendenti e dei discendenti, non potendo isolarsi la sola ipotesi del genitore naturale e del figlio naturale, atteso che le lesioni, ancorché lievissime, sono sempre aggravate (ex articolo 585 codice penale che richiama l’articolo 577 codice penale), allo stesso modo e nella stessa misura, in ragione del rapporto di ascendenza e discendenza e non già soltanto di genitorialità e filiazione per violazione dell’articolo 3, primo comma, Costituzione.

Estendendo la declaratoria di illegittimità costituzionale nella parte in cui non esclude dai delitti, consumati o tentati, di competenza del giudice di pace anche quello di lesioni volontarie, previsto dall’articolo 582, secondo comma, codice penale, per fatti commessi contro gli altri soggetti elencati al numero 1) del primo comma dell’articolo 577 codice penale, come modificato dall’articolo 2 della legge 11 gennaio 2018, n. 4 (Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici).

Ristabilendo quell’uguaglianza ab ovo tra la filiazione naturale e la filiazione adottiva, uguaglianza che si estrinseca allora non solamente nella titolarità dei diritti (come già ha predisposto il legislatore con la nota riforma del 2012), ma aumentando altresì le tutele azionabili in giudizio.