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Art. 160 - Interruzione del corso della prescrizione

[Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna [c.p.p. 533] o dal decreto di condanna [c.p.p. 565] (1).]
Interrompono la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio, il decreto di citazione a giudizio e il decreto di condanna (2).
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale [disp. att. c.p. 41] (3) (4) (5).

(1) Comma abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. f), n. 1), L. 9 gennaio 2019, n. 3, a decorrere dal 1° gennaio 2020, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, comma 2, della medesima legge n. 3/2019.
(2) Comma sostituito dall'art. 239, D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, di attuazione e coordinamento del c.p.p., e modificato dall'art. 1, comma 12, L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, comma 95 della medesima Legge n. 103/2017; per l'applicabilità di tale ultima disposizione vedi il comma 15 del citato art. 1, Legge n. 103/2017. Successivamente, il presente comma è stato così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. f), n. 2), L. 9 gennaio 2019, n. 3, a decorrere dal 1° gennaio 2020, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, comma 2, della medesima legge n. 3/2019, e dall'art. 2, comma 1, lett. b), L. 27 settembre 2021, n. 134, a decorrere dal 19 ottobre 2021. Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 134/2021 era il seguente: «Interrompono la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.». Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 3/2019 era il seguente: «Interrompono pure la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.». Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla suddetta
legge n. 103/2017 era il seguente: «Interrompono pure la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.».
(3) Comma così modificato dal comma 4 dell'art. 6, L. 5 dicembre 2005, n. 251. L'art. 10 della stessa legge così dispone: «Art. 10. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 2. Ferme restando le disposizioni dell'articolo 2 del codice penale quanto alle altre norme della presente legge, le disposizioni dell'articolo 6 non si applicano ai procedimenti e ai processi in corso se i nuovi termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli previgenti. 3. Se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché dei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione.». La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 324 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità dell'art. 6, comma 2, della legge n. 251 del 2005, in riferimento all'art. 3 Cost.; b) inammissibile la questione di legittimità dell'art. 6, comma 5, della legge n. 251 del 2005, in riferimento all'art. 3 Cost.; c) inammissibile la questione di legittimità dell'art. 6, commi 1 e 4, della legge n. 251 del 2005, in riferimento agli artt. 3, 13, 25, secondo comma, e 27, Cost.; d) inammissibile la questione di legittimità dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost. e in riferimento all'art. 3 Cost.; e) non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 6, commi 1 e 4, e 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005, in riferimento all'art. 79 Cost.; f) non fondata la questione di legittimità dell'art. 157, secondo comma, del codice penale, come novellato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 251 del 2005, in riferimento all'art. 3 Cost.; g) non fondata la questione di legittimità dell'art. 6, comma 1, della legge n. 251 del 2005, in riferimento agli art. 3 e 111, secondo comma, Cost. La stessa Corte, con sentenza 18 aprile -5 luglio 2018, n. 143 (Gazz. Uff. 11 luglio 2018, n. 28 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, commi 1, 4 e 5, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge 1 ottobre 2012, n. 172, in riferimento agli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8, punto 6, della decisione quadro del Consiglio 2004/68/GAI, del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. Il testo del presente comma in vigore prima della modifica disposta dalla suddetta legge n. 251 del 2005 era il seguente: «La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'art. 157 possono essere prolungati oltre la metà.».
(4) Vedi l'art. 16, L. 22 maggio 1975, n. 152, sulla tutela dell'ordine pubblico e l'art. 61, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
(5) La Corte costituzionale, con sentenza 9-21 novembre 1973, n. 155 (Gazz. Uff. 28 novembre 1973, n. 307), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 3 Cost.

Rassegna di giurisprudenza

Come è noto la CGUE (Grande Sezione), con sentenza resa in data 8 settembre 2015 (in causa C-105/14), ha affermato che il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, come modificato dalla L. 251/2005, e dell’articolo 161 e, nella parte in cui prevedono che un atto interruttivo della prescrizione verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA, comporti il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale, è idoneo a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, nell’ipotesi in cui tali disposizioni nazionali impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’UE, o in cui prevedano, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’UE.

In questa prospettiva, il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dalle menzionate disposizioni normative. Investita della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 della L. 130/2008, sulla ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona, nella parte in cui, imponendo di applicare l’articolo 325 TFUE, come interpretato dalla sentenza "Taricco", determina la disapplicazione, in alcuni casi, del disposto degli articoli 160, terzo comma, e 161, secondo comma, c.p., in relazione ai reati in materia di IVA, che costituiscono frode in danno degli interessi finanziari dell’UE, la Corte costituzionale, con ordinanza 24/2017, disponeva un rinvio pregiudiziale alla CGUE per l’interpretazione relativa al significato da attribuire all’art. 325 TFUE ed ai principi affermati nella sentenza "Taricco".

Secondo la Corte costituzionale, l’eventuale applicazione della "regola Taricco" nel nostro ordinamento potrebbe condurre alla violazione del contenuto degli articoli 25, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, non consentita neppure alla luce del primato del diritto UE. In particolare, il giudice delle leggi si soffermava sul profilo di un’eventuale violazione del principio di legalità dei reati e delle pene che potrebbe derivare dall’obbligo, enunciato dalla "sentenza Taricco", di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, in considerazione, da un lato, della natura sostanziale delle norme sulla prescrizione stabilite nell’ordinamento giuridico italiano, la quale implica che dette norme siano ragionevolmente prevedibili per i soggetti dell’ordinamento al momento della commissione dei reati contestati senza poter essere modificate retroattivamente in peius; dall’altro, della necessità che qualunque normativa nazionale relativa al regime di punibilità si fondi su una base giuridica sufficientemente determinata, al fine di poter delimitare e orientare la valutazione del giudice nazionale.

Nell’affrontare le questioni poste dalla Corte costituzionale, la Grande Sezione della CGUE, con sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, ha, innanzitutto, riconosciuto che i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività inerenti al principio di legalità dei reati e delle pene si applicano, nell’ordinamento giuridico italiano, anche al regime di prescrizione relativo ai reati in materia di IVA.

Ne discende, da un lato, l’affermazione secondo cui spetta al giudice nazionale verificare se la condizione richiesta dalla "sentenza Taricco", secondo cui le disposizioni del codice penale in questione impediscono di infliggere sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’UE, conduca a una situazione di incertezza nell’ordinamento giuridico italiano, quanto alla determinazione del regime di prescrizione applicabile, incertezza che contrasterebbe con il principio della determinatezza della legge applicabile, per cui, se così effettivamente fosse, il giudice nazionale non sarebbe tenuto a disapplicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161.

Dall’altro, il principio che i menzionati requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività, ostano a che, nei procedimenti relativi a persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA prima della  pronuncia della "sentenza Taricco", ovvero anteriormente all’8 settembre 2015, il giudice nazionale possa disapplicare le disposizioni del codice penale in precedenza indicate, in quanto tali persone verrebbero ad essere retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.

Alla luce di tali considerazioni, il giudice europeo ha risolto la questione pregiudiziale posta dalla Corte Costituzionale dichiarando che «l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato».

Alla luce del chiarimento interpretativo offerto dalla sentenza cd. "Taricco-bis"  che, nella sostanza, ha ribadito i contorni della "regola Taricco", ma ha confermato che essa può trovare applicazione solo se è rispettosa del principio di legalità in materia penale, nella duplice componente della determinatezza e del divieto di retroattività  la Corte costituzionale, con sentenza 115/2018 del 31 maggio 2018, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale (sollevate dalla Corte di cassazione e dalla Corte d’appello di Milano) dell’articolo 2 della legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato di Lisbona (L. 130/2008), là dove dà esecuzione all’articolo 325 del TFUE, come interpretato dalla Corte di Giustizia con la "sentenza Taricco", ritenendo che i giudici non siano tenuti ad applicare la "regola Taricco" sul calcolo della prescrizione, stabilita dalla CGUE con la sentenza dell’8 settembre 2015 per i reati in materia di IVA.

Ad avviso della Consulta, in particolare, indipendentemente dalla collocazione del momento di consumazione dei reati, prima o dopo l’8 settembre 2015, il giudice comune non può applicare la "regola Taricco", perché essa è in contrasto con il principio di determinatezza in materia penale, consacrato dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Un istituto, infatti, che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza, sicché appare evidente il deficit di determinatezza che caratterizza, sia l’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE (per la parte da cui si evince la "regola Taricco"), sia la "regola Taricco" in sé.

Quest’ultima, per la porzione che discende dal paragrafo 1 dell’art. 325 TFUE, risulta irrimediabilmente indeterminata nella definizione del «numero considerevole di casi» in presenza dei quali può operare, perché il giudice penale non dispone di alcun criterio applicativo della legge che gli consenta di trarre da questo enunciato una regola sufficientemente definita.

Né a tale giudice può essere attribuito il compito di perseguire un obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al quale è invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.). Nella prospettiva fatta propria dalla Corte costituzionale, peraltro, indeterminato appare il contenuto normativo dell’art. l’art. 325 TFUE, in punto di prevedibilità, non consentendo ai consociati di prospettarsi la vigenza della "regola Taricco".

Sotto tale profilo il giudice delle leggi ribadisce che il principio di determinatezza ha una duplice direzione, non limitandosi a garantire, nei riguardi del giudice, la conformità alla legge dell’attività giurisdizionale, mediante la produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate, ma (e verrebbe da dire soprattutto) anche assicurando a chiunque «una percezione sufficientemente chiara ed immediata» dei possibili profili di illiceità penale della propria condotta (sentenze 327/2008 e 5/2004; nello stesso senso, sentenza 185/1992).

Pertanto, quand’anche la "regola Taricco" potesse assumere, grazie al progressivo affinamento della giurisprudenza europea e nazionale, un contorno meno sfocato, ciò non varrebbe a «colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale» (sentenza 327/2008). Infatti, se è vero che anche «la più certa delle leggi ha bisogno di "letture" ed interpretazioni sistematiche» (sentenza 364/1988), resta fermo che esse non possono surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta, con cui si intende garantire alle persone «la sicurezza giuridica delle consentite, libere scelte d’azione» (sentenza 364/1988).

Fermo restando, dunque, che compete alla sola CGUE interpretare con uniformità il diritto UE, e specificare se esso abbia effetto diretto, è anche indiscutibile che, come ha riconosciuto la "sentenza Taricco-bis", un esito interpretativo non conforme al principio di determinatezza in campo penale non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento.

L’inapplicabilità della "regola Taricco", peraltro, ha la propria fonte non solo nella Costituzione repubblicana, ma nello stesso diritto UE, sicché non vi è, ad avviso del giudice delle leggi, alcuna ragione di contrasto. Ciò comporta la non fondatezza di tutte le questioni sollevate, perché, a prescindere dagli ulteriori profili di illegittimità costituzionale dedotti, la violazione del principio di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni all’ingresso della "regola Taricco" nel nostro ordinamento.

Nel solco interpretativo sinteticamente riassunto, si colloca un recente e condivisibile arresto di legittimità, in cui, partendo proprio dai principi affermati nella sentenza della CGUE "Taricco-bis" e nella ordinanza 24/2017 della Corte costituzionale, si afferma che in tema di reati tributari commessi antecedentemente alla sentenza della Grande Sezione della CGUE, pronunciata l’8/09/2015 in causa C105/14, Taricco, continua ad applicarsi integralmente la normativa sulla prescrizione, non potendo il giudice nazionale disapplicarla stante il divieto di irretroattività, ai sensi dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, così come interpretato dalla CGUE (Grande Sezione) con sentenza del 05/12/2017, in causa C- 42/17 (Sez. 2, 9494/2018) (la ricostruzione sistematica si deve a Sez. 5, 41419/2018).

Gli atti interruttivi della prescrizione del reato sono idonei a conseguire lo scopo anche se nulli, in quanto rilevano per il loro valore oggettivo di espressione della persistenza dell’interesse punitivo da parte dello Stato (Sez. 3, 29081/2015).

Le dichiarazioni rese in sede di presentazione spontanea all’AG, equivalendo "ad ogni effetto" all’interrogatorio, sono idonee ad interrompere la prescrizione, purché l’indagato abbia ricevuto una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato, in quanto gli atti interruttivi indicati nell’art. 160 si connotano per essere l’esplicitazione, da parte degli organi dello Stato, della volontà di esercitare il diritto punitivo in relazione ad un fatto-reato ben individuato e volto a consentirne la conoscenza all’incolpato (SU, 5838/2014).

L’invito a presentarsi al PM per rendere interrogatorio, contenente gli avvisi di cui all’art. 375 CPP costituisce atto idoneo ad interrompere il decorso della prescrizione anche qualora venga notificato contestualmente all’avviso di conclusione delle indagini preliminari (Sez. 3, 7007/2012).

Ha efficacia di atto interruttivo della prescrizione, rientrando nella categoria del "decreto di giudizio immediato" il decreto disposto a seguito di opposizione a decreto penale (Sez. 3, 38207/2011).

Il decreto di citazione a giudizio conserva efficacia interruttiva della prescrizione anche a seguito della regressione del procedimento per la contestazione di un reato diverso (Sez. 2, 14239/1011).

Allorché l’azione civile per il risarcimento del danno sia esercitata nel processo penale, ha luogo l’interruzione della prescrizione del relativo diritto per tutta la durata del processo e il termine riprende a decorrere dalla data in cui diviene irrevocabile la sentenza penale che dichiari la prescrizione del reato, non potendosi ritenere che il riferimento contenuto nell’art. 2947, comma terzo, CC, alla durata, eventualmente più lunga, della prescrizione penale operi solo con riguardo al termine base e non anche a tutti gli istituti propri di essa (Sez. 1, 3601/2008).

Il riferimento generico al decreto di citazione a giudizio, contenuto nell’art. 160 consente di ricomprendere tra gli atti interruttivi del corso della prescrizione anche il decreto di citazione per il giudizio d’appello (Sez. 5, 3420/2008).

L’atto di fissazione della data di udienza dibattimentale da parte del giudice non ha efficacia interruttiva della prescrizione, poiché esso non è compreso nell’elenco degli atti espressamente previsti dall’art. 160, comma secondo, da ritenersi tassativo e pertanto insuscettibile di ampliamento in via interpretativa, stante il divieto di analogia in malam partem in materia penale (Sez. 3, 2867/2008).

L’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis CPP non ha efficacia interruttiva della prescrizione, poiché esso non è compreso nell’elenco degli atti espressamente previsti dall’art. 160, comma secondo, c.p., i quali costituiscono un numerus clausus e sono insuscettibili di ampliamento per via interpretativa, stante il divieto di analogia in malam partem in materia penale (SU, 21833/2007).

L’invito del PM a presentarsi per rendere interrogatorio davanti all’ufficiale di PG, a tal fine delegato, non è atto interruttivo della prescrizione, perché l’elenco degli atti interruttivi ha natura tassativa e non è ammissibile l’estensione analogica, preclusa in sede penale quando sia in malam partem (Sez. 2, 39903/2005).

In senso contrario: L’invito di presentarsi rivolto dal P.M. all’indagato per rendere l’interrogatorio ha efficacia interruttiva della prescrizione del reato, anche se all’interrogatorio abbia poi proceduto un ufficiale di PG all’uopo delegato dal PM (Sez. 4, 34450/2003).

Le dichiarazioni spontanee rese all’AG equivalgono «ad ogni effetto» all’interrogatorio - dunque anche ai fini dell’interruzione della prescrizione - ex art. 374, comma 2 CPP solo quando vi sia stata una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato (Sez. 1, 39352/2002).