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Art. 28 - Trasformazione dell’ente

1. Nel caso di trasformazione dell’ente, resta ferma la responsabilità per i reati commessi anteriormente alla data in cui la trasformazione ha avuto effetto.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Si veda sub art. 27.

 

Rassegna di giurisprudenza

La cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell'art. 25-septies, comma 3, del d. lgs. 231/2001, in relazione al reato di cui all'art. 590 c.p., che si assume commesso nell'interesse ed a vantaggio dell'ente, non determina l'estinzione dell'illecito alla stessa addebitato (Sez. 4, 9006/2022).

Il silenzio del legislatore delegato nella sezione II del Capo II del D. Lgs. 231/2001, dedicato alle vicende modificative, lungi dal dimostrare la volontà di sottrarre il fallimento alle cause che non estinguono la responsabilità amministrativa, si giustifica piuttosto col fatto che il fallimento non comporta una modifica soggettiva dell’ente e non è assimilabile in alcun modo alle fattispecie contemplatePuò anche aggiungersi che proprio tale diversità, giuridica ed economica, giustifica la soluzione normativa. La responsabilità amministrativa degli enti, infatti, mira a sollecitare l’adozione e la vigilanza sul rispetto di standard doverosi di condotta idonei a prevenire i reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, con un’evidente distorsione dei meccanismi ordinari di concorrenza, che devono svolgersi nel rispetto del principio di legalità. Non casualmente tra i casi di riduzione della sanzione pecuniaria previsti dall’art. 12 del Decreto 231 si colloca anche il fatto che l’autore abbia commesso il reato nel proprio preminente interesse e l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o abbia ricavato un vantaggio minimo. Nella stessa prospettiva rientrano l’art. 17, che prevede una causa di non applicazione delle sanzioni interdittive, quando l’ente, tra l’altro, abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca (comma 1, lett. c), e l’art. 19, che disciplina la confisca obbligatoria del profitto del reato (comma 1) o di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. In definitiva, la finalità preventiva e sanzionatoria perseguita dal legislatore si traduce in meccanismi che colpiscono anche l’utilità ritratta dal patrimonio dell’ente, con l’obiettivo di scoraggiare soluzioni di calcolo preventivo del costo dell’illecito nella valutazione economica delle conseguenze delle condotte da adottare. In questa prospettiva, si comprende anche la ragione del privilegio attribuito dall’art. 27 ai crediti dello Stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell’ente. Ma soprattutto si giustifica il fatto che la sanzione continui a gravare sul patrimonio dell’ente anche quando, per l’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, venga dichiarato il fallimento di quest’ultimo.  (Sez. 5, 4335/2013).

In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della società non determina l’estinzione dell’illecito previsto dal D. Lgs. 231/2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamentoQuesta Corte anche di recente ha disatteso la tesi secondo cui la dichiarazione di fallimento determina l’estinzione dell’illecito amministrativo dipendente da reato (Sez. 5, 44824/2012). Occorre muovere dal dato normativo che non contempla siffatta causa di estinzione. La soluzione è coerente con la premessa concettuale per cui il fallimento degli enti collettivi non è equiparabile, per ragioni strutturali e funzionali, alla morte, traducendosi piuttosto in una procedura concorsuale, che non determina giuridicamente l’estinzione del soggetto fallito e che è finalizzata al soddisfacimento dei creditori, cui può in astratto conseguire il ritorno in bonis. Ne discende che il silenzio del legislatore delegato nella sezione II del Capo II del Decreto 231, dedicato alle vicende modificative, lungi dal dimostrare la volontà di sottrarre il fallimento alle cause che non estinguono la responsabilità amministrativa, si giustifica piuttosto col fatto che il fallimento non comporta una modifica soggettiva dell’ente e non è assimilabile in alcun modo alle fattispecie contemplate. Può anche aggiungersi che proprio tale diversità, giuridica ed economica, giustifica la soluzione normativa. La responsabilità amministrativa degli enti, infatti, mira a sollecitare l’adozione e la vigilanza sul rispetto di standard doverosi di condotta idonei a prevenire i reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, con un’evidente distorsione dei meccanismi ordinari di concorrenza, che devono svolgersi nel rispetto del principio di legalità. Non casualmente tra i casi di riduzione della sanzione pecuniaria previsti dall’art. 12 si colloca anche il fatto che l’autore abbia commesso il reato nel proprio preminente interesse e l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o abbia ricavato un vantaggio minimo. Nella stessa prospettiva rientrano l’art. 17, che prevede una causa di non applicazione delle sanzioni interdittive, quando l’ente, tra l’altro, abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca (comma 1, lett. c), e l’art. 19, che disciplina la confisca obbligatoria del profitto del reato (comma 1) o di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. In definitiva, la finalità preventiva e sanzionatoria perseguita dal legislatore si traduce in meccanismi che colpiscono anche l’utilità ritratta dal patrimonio dell’ente, con l’obiettivo di scoraggiare soluzioni di calcolo preventivo del costo dell’illecito nella valutazione economica delle conseguenze delle condotte da adottare. In questa prospettiva, si comprende anche la ragione del privilegio attribuito dall’art. 27 al credito dello Stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell’ente (Sez. 5, 4335/2013).

La responsabilità patrimoniale della società in relazione al profitto dei reati consumati dai suoi amministratori è del tutto autonoma ed è insensibile alle vicende societarie successive alla consumazione dei reati (Sez. 2, 29397/2012).

Per un fatto costituente reato commesso da un soggetto in rapporto d’immedesimazione organica risponde l’organismo dallo stesso rappresentato. Quest’ultimo risponderà trasferendo gli eventuali debiti al soggetto che lo succede in caso di trasformazione. Gli effetti del reato si estinguono solo con la cancellazione della persona giuridica dal registro delle imprese. Diversamente il procedimento penale prosegue con eventuale insinuazione al passivo da parte dello Stato, in ragione dei crediti derivanti dagli illeciti amministrativi dipendenti dai reati accertati. In assenza di eventuali elementi che facciano ritenere possibile un ritorno in bonis della società, anzi rilevando come verosimile e prossima la chiusura del fallimento con conseguente cancellazione dal registro delle imprese, un rinvio a giudizio della società appare superfluo, con conseguente pronuncia di non luogo a procedere (GIP Tribunale di Roma, 7 febbraio 2012).

L’estinzione della società a seguito della sua liquidazione e della sua cancellazione dal registro delle imprese comporta, ai fini penali, l’estinzione dell’illecito e la conseguente improcedibilità dell’azione penale, analogamente a quanto avviene nel caso di morte della persona fisica a cui sia imputato un reato (Tribunale di Milano, Sez. 10, 20 ottobre 2011).