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Art. 39 - Rappresentanza dell’ente

1. L’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo.

2. L’ente che intende partecipare al procedimento si costituisce depositando nella cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità:

a) la denominazione dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante;

b) il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura;

c) la sottoscrizione del difensore;

d) la dichiarazione o l’elezione di domicilio.

3. La procura, conferita nelle forme previste dall’articolo 100, comma 1, del codice di procedura penale, è depositata nella segreteria del pubblico ministero o nella cancelleria del giudice ovvero è presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di cui al comma 2.

4. Quando non compare il legale rappresentante, l’ente costituito è rappresentato dal difensore.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

15.2. La rappresentanza dell’ente nel processo.

L’ente non può partecipare al processo se non attraverso una persona fisica che la rappresenti: il problema è quello della natura della partecipazione.

In altre esperienze giuridiche il ruolo del rappresentante viene accostato a quello del testimone, prevedendosi, ad esempio nella legislazione francese, che non possa essere sottoposto ad alcuna misura coercitiva diversa da quelle applicabili al testimone.

Tale accostamento presuppone che il rappresentante può essere costretto a comparire in giudizio con la forza pubblica e può essere condannato al pagamento di una multa in caso di mancata comparizione.

Si tratta di una soluzione che ha provocato alcuni “imbarazzi” nella giurisprudenza francese che, in un caso, ha ritenuto che il rappresentante legale di una società inquisita non dovesse prestare giuramento come testimone, disponendo che fosse sentito solo come persona informata dei fatti.

Tali esperienze sono sintomatiche di una obiettiva difficoltà a considerare il rappresentante della persona giuridica come testimone, dal momento che la sua posizione è più vicina a quella di un imputato, sebbene sui generis, in quanto ad esso spetta il compito di assicurare le prerogative difensive alla persona giuridica, che è il vero imputato del processo.

In realtà, la parificazione all’imputato viene effettuata con riferimento all’ente in quanto tale, non al rappresentante legale, per il quale è previsto un regime peculiare che non lo esclude dalle garanzie riservate all’imputato, ma in taluni casi lo considera anche un testimone (v. art. 44).

Ed è proprio la peculiarità della relazione che, con riferimento all’ambito processuale, lega il rappresentante all’ente che ha portato a delineare una speciale forma di partecipazione nel processo da parte dell’ente.

L’art. 39 pone il principio base, secondo cui l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, prevedendo inoltre una formalizzazione della partecipazione che richiama i modi di partecipazione al processo delle altre parti private, piuttosto che dell’imputato.

Infatti, l’ente che intenda partecipare al procedimento deve costituirsi depositando una dichiarazione contenente la denominazione dell’ente, le generalità del rappresentante legale e del difensore, la dichiarazione o l’elezione di domicilio; è inoltre previsto che alla dichiarazione sia allegata la procura conferita nelle forme di cui all’art. 100 c.p.p.

La partecipazione al procedimento è in ogni caso inibita al rappresentante legale che sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. In tale ipotesi, l’ente che voglia partecipare ugualmente al procedimento dovrà nominare un rappresentante per il processo e indicarlo nella dichiarazione di cui all’art. 39 comma 2.

Peraltro, anche il modo in cui l’ente è presente nel processo si differenzia dalla analoga situazione prevista per l’imputato: infatti, qualora il rappresentante legale dell’ente regolarmente costituito non sia presente non si verifica né una ipotesi di contumacia, né di assenza, ma l’art. 39 comma 4 prevede che l’ente sia rappresentato dal difensore.

Viene quindi proposta una forma di partecipazione non eccessivamente onerosa per l’ente, che potrà scegliere le modalità e i tempi di partecipazione, senza rinunciare ad alcuna delle garanzie che gli derivano dalla sua parificazione all’imputato. La contumacia si avrà per l’ente solo in mancanza della costituzione (art. 41).

Inoltre, si prevede che all’ente privo di difensore ne venga nominato uno di ufficio e che l’ente che non si costituisce è dichiarato nella fase processuale contumace (artt. 40 e 41).

Per quanto attiene le vicende modificative dell’ente, è chiarito che il processo comunque prosegue nei confronti dell’ente o degli enti risultanti dalle stesse che intervengono nella fase in cui processo si trova (art. 42).

 

Rassegna di giurisprudenza

In caso di fraudolenta cessione di azienda nella cui attività sia stato commesso uno dei reati di cui al d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, non costituisce causa di nullità la nomina del difensore di fiducia dell’ente cessionario effettuata dal legale rappresentante, non trovando applicazione il divieto di rappresentanza di cui all’art. 39, atteso che l’ente cessionario non è responsabile del fatto costituente reato, ma è soggetto solidalmente responsabile per il pagamento della sanzione pecuniaria (Sez. 5, 25492/2021).

In tema di responsabilità da reato degli enti, la mancata nomina di un difensore d'ufficio in sostituzione del difensore di fiducia dell'ente, nominato dal rappresentante legale incompatibile in violazione del divieto ex art. 39  comporta la nullità degli atti successivi ai sensi dell'art. 178 comma1, lett. c), c.p.p. (Sez. 4, 22257/2021).

L’onere di formale costituzione ai sensi dell’art. 39, previsto come condizione per la partecipazione attiva dell’ente collettivo al procedimento che lo riguarda, opera sin dalla fase delle indagini preliminariLa partecipazione attiva dell’ente al procedimento che lo riguarda è infatti subordinata alla sua previa costituzione, quale formalità individuata dalla succitata disposizione di cui all’art. 39 come mezzo di esternazione della volontà diverso e più articolato di quelli dell’imputato persona fisica, in quanto corrispondente alla struttura complessa di tale figura soggettiva ed idoneo a rendere quanto prima ostensibile l’eventuale conflitto di interessi derivante dall’essere il legale rappresentante indagato o imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. Il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dal su citato art. 39 (SU, 33041/2015). Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 è, dunque, assoluto e, come già osservato, (Sez. 6, 41398/2009), non ammette deroghe in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo, diritto che risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l’esistenza del “conflitto” è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l’ulteriore conseguenza che il divieto scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto (Sez. 2, 52470/2018).

L’inosservanza del divieto di cui all’art. 39 produce necessariamente conseguenze sul piano processuale, in quanto tutte le attività svolte dal rappresentante “incompatibile” all’interno del procedimento penale che riguarda l’ente devono essere considerate inefficaci (Sez. 6, 41398/2009).

Il D. Lgs. 231/2001 ha dedicato una disciplina speciale alle modalità di partecipazione dell’ente al procedimento nell’esigenza di coniugare l’esercizio del diritto di difesa con la necessità che tale partecipazione avvenga per il tramite di una persona fisica in grado di rappresentare l’ente medesimo. In tal senso i primi due commi dell’art. 39 stabiliscono che “l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo” e che “l’ente che intende partecipare al procedimento si costituisce depositando nella cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità: a) la denominazione dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante; b) il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura; c) la sottoscrizione del difensore; d) la dichiarazione o l’elezione di domicilio”. L’ultimo comma dello stesso articolo prevede invece che “quando non compare il legale rappresentante, l’ente costituito è rappresentato dal difensore”. Questa disciplina è poi integrata da quanto disposto dal successivo art. 40, il quale assicura all’ente privo di un difensore di fiducia l’assistenza di quello d’ufficio, e soprattutto dall’art. 41, che riserva nella fase processuale la condizione del contumace esclusivamente all’ente non formalmente costituitosi e non anche a quello il cui rappresentante legale non sia comparso in udienza nonostante l’avvenuta costituzione ai sensi del citato art. 39. Il richiamato primo comma dell’art. 39 prevede dunque l’incompatibilità del legale rappresentante dell’ente a rappresentarlo nel procedimento a suo carico qualora egli sia contestualmente anche imputato per il reato presupposto della responsabilità addebitata alla persona giuridicaIncompatibilità che discende dalla presunzione iuris et de iure della sussistenza di un conflitto di interessi tra ente e suo rappresentante, destinata a rivelarsi già nel primo atto di competenza di quest’ultimo e cioè la scelta del difensore di fiducia e procuratore speciale senza la cui nomina il soggetto collettivo non può validamente costituirsi. Come chiarito dalle Sezioni unite, in sostanza, anche la semplice nomina del difensore di fiducia della persona giuridica da parte del rappresentante legale in situazione di conflitto di interessi (perché indagato come persona fisica) deve considerarsi ricompresa nel divieto posto dall’art. 39, in quanto realizzata da un soggetto che non è legittimato a rappresentare l’ente, ossia ad esprimere la volontà del soggetto collettivo nel procedimento che lo riguarda (SU, 33041/2015). Si è in passato dubitato della stessa legittimità costituzionale di tale disposizione, questione che questa Corte ha già avuto modo di dichiarare manifestamente infondata, sottolineando come l’incompatibilità menzionata, così come prevista dall’art. 39, non determina né la compromissione del diritto di difesa dell’ente, né costituisce violazione del principio di uguaglianza, ovvero del giusto processo (Sez. 6, 41398/2009). Difatti, a differenza di altre esperienze giuridiche in cui simili casi di conflitto tra ente e rappresentante sono risolti con la nomina di un terzo da parte del giudice, il legislatore italiano ha compiuto una scelta diretta ad evitare forme di invadenza giudiziaria all’interno dell’organizzazione della persona giuridica, rimettendo a quest’ultima ogni decisione al riguardo, nel rispetto della stessa struttura e degli organi del soggetto collettivo. In sostanza, dal complesso della disciplina prevista in materia di rappresentanza emerge come da parte del legislatore si sia voluto evitare di imporre all’ente un rappresentante di nomina esterna, sia pure solo per la partecipazione al procedimento penale, e si sia preferita una soluzione che attribuisca all’ente la scelta di chi debba rappresentarlo nel processo, anche in caso di conflitto di interessi, utilizzando i normali strumenti previsti all’interno della sua compagine organizzativa, quali lo statuto o il proprio atto costitutivo. In tale ottica non può allora sostenersi che la disciplina dell’art. 39 pregiudichi il diritto di difesa dell’ente, atteso che questi può comunque costituirsi nel procedimento sostituendo il rappresentante divenuto incompatibile ovvero nominandone uno ad hoc per il processo (soluzione quest’ultima già prospettata invero nella Relazione al D. Lgs. 231/2001) ed anche qualora decida invece di rimanere inerte – cioè di non provvedere ad alcun tipo di sostituzione del rappresentante legale (non importa per quale ragione) – comunque rimane tutelato dalla previsione dell’art. 40 che impone gli venga nominato un difensore d’ufficio che ne garantisce l’assistenza in ogni fase del procedimento. Esclusa dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 39, si pone il problema dell’effettiva portata dell’incompatibilità ivi prevista e della sorte degli atti compiuti per conto dell’ente dal legale rappresentante incompatibile. In tal senso, secondo l’orientamento oramai consolidato, l’incompatibilità prevista dall’art. 39 ha carattere assoluto, come dimostrerebbe a contrariis l’espressa deroga contenuta nell’art. 43 comma 2 in tema di notificazioni all’ente, il quale fa espressamente salve quelle eseguite mediante consegna al legale rappresentante incompatibile. Ne consegue che il rappresentante incompatibile non può compiere alcun atto difensivo nell’interesse dell’ente e che quest’ultimo, se materialmente posto in essere, dovrebbe considerarsi inefficace. In particolare sarebbe privo di efficacia non solo l’atto di costituzione, ma altresì anche l’eventuale nomina di un difensore di fiducia effettuata indipendentemente dalla formale costituzione, con l’ulteriore conseguenza che tale nomina sarebbe tamquam non esset e gli atti compiuti dal difensore in esecuzione di un mandato privo di efficacia inammissibili (Sez. 2, 52748/2014). Principi autorevolmente avallati dalla citata decisione delle Sezioni unite, le quali hanno stabilito che il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore di fiducia dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 e che è inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile dì ufficio ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a) CPP, l’impugnazione eventualmente presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante il quale versi nella menzionata situazione di incompatibilità. Se dunque l’atto di costituzione e la nomina del difensore e procuratore speciale effettuati dal rappresentante incompatibile sono privi di efficacia, ne consegue che nel processo l’ente, privo di formale rappresentanza e di fatto non costituitosi, deve essere dichiarato contumace ai sensi dell’art. 41 e il giudice deve procedere a nominargli un difensore d’ufficio. Soprattutto, nella fase della costituzione delle parti, deve ritenersi che al giudice spetti l’obbligo di verificare la regolarità dell’atto di costituzione e della nomina del difensore che, ai sensi dell’art. 39 comma 2 lett. c), lo deve sottoscrivere, e, rilevata l’incompatibilità, di dichiarare l’inammissibilità della costituzione con la conseguente pronunzia dei provvedimenti sopra descritti (Sez. 5, 50102/2015).

Per partecipare al processo gli enti debbano costituirsi attraverso l’atto di formale di costituzione previsto dall’art. 39 e la contestuale nomina del difensore di fiducia; la costituzione non è necessaria solo nella fase delle indagini preliminari in relazione alle attività processuali connotate da urgenza e non precedute dalla notifica della informazione di garanzia; tali essenziali “atti di “ingresso” dell’ente nel procedimento devono provenire da un rappresentante legale non incompatibile, ovvero non indagato od imputato;  quando la costituzione e la nomina provengano da rappresentante incompatibile tali atti sono tamquam non essent, ovvero processualmente inefficaci, con la conseguenza che le attività processuali che postulano la presenza del difensore sono affette da nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. Va riconosciuto infatti un particolare rilievo all’atto di costituzione, formalità individuata dall’art. 39 quale mezzo di esternazione della volontà diverso e più articolato di quello dell’imputato che sia persona fisica, in quanto corrispondente alla struttura complessa di tale figura soggettiva ed idoneo a rendere quanto prima ostensibile l’eventuale conflitto di interessi derivante dall’essere il legale rappresentante indagato o imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. La nomina del difensore non può essere considerata un atto neutro, ma anzi è strettamente connessa alla partecipazione nel processo, anche in considerazione dei maggiori poteri rappresentativi che il difensore ha nel processo a carico dell’ente (art. 39, comma 4), sicché è evidente come una tale decisione possa apparire quanto meno “sospetta” qualora provenga da un soggetto che la legge considera “incompetente” a rappresentare l’ente. Tra l’altro si tratta di una scelta che determina l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra le parti, garantito anche dal segreto professionale, sicché l’atto di nomina deve avere i caratteri di una libera determinazione dell’ente (SU, 33041/2015, richiamata da Sez. 2, 41012/2018).

L’atto di costituzione e la correlata nomina fiduciaria del difensore rappresentano l’esternazione della volontà della persona giuridica di partecipare in modo attivo e consapevole al processo instaurato a carico dell’ente. Ne segue che la revoca illegittima di tali atti si risolve, di fatto, nella esclusione dell’ente dal processo, ovvero nella violazione della disciplina prevista dall’art. 39 che regola in modo tassativo le modalità (costituzione e nomina del difensore di fiducia) attraverso le quali l’ente manifesta la volontà di partecipazione attiva al procedimento ed al processoAnche in questo caso, come in quello analizzato nel paragrafo che precede, gli enti ricorrenti a causa della dichiarazione di contumacia, effettuata nonostante la regolarità e costituzione della correlata, ed altrettanto illegittima, nomina di un difensore di ufficio sostitutivo di quello regolarmente nominato non hanno partecipato al procedimento nelle forme tassative previste dal citato art. 39. La nullità assoluta conseguente alla “sostanziale assenza” dell’ente e del difensore legittimamente nominato impone la regressione del procedimento alla fase in cui la nullità si è verificata, ovvero a quella della apertura del dibattimento (quando cioè era stata illegittimamente dichiarata la contumacia con rimozione del difensore di fiducia legittimamente nominato ed illegittima sostituzione con difensore di ufficio) (Sez. 2, 41012/2018).

Secondo un risalente orientamento, in tema di responsabilità da reato, l’esercizio dei diritti di difesa da parte dell’ente non è subordinato all’atto formale di costituzione nel procedimento a norma dell’art. 39 (Sez. 6, 43642/2007).

Un più recente orientamento afferma invece che l’esercizio dei diritti di difesa da parte dell’ente in qualsiasi fase del procedimento a suo carico è subordinato all’atto formale di costituzione a norma dell’art. 39 (Sez. 6, 15689/2008).

Una deroga a tale ultima regola è prevista solo nel caso in cui l’esercizio del diritto di difesa avvenga ad opera del difensore nominato d’ufficio, anche qualora la persona giuridica non si sia costituita ovvero quando la sua costituzione debba considerarsi inefficace a causa dell’incompatibilità del rappresentante legale perché indagato o imputato del reato presupposto (Sez. 6, 41398/2009) ma quest’ultima situazione in questa sede non interessa perché le due società interessate al decreto di sequestro sopra indicato erano presenti nel giudizio di riesame a mezzo del difensore di fiducia. Deve essere accordata preferenza all’indirizzo espresso nella sentenza 15689/2008. Infatti il testo dell’art. 39 è assolutamente chiaro nel momento in cui commina la sanzione processuale dell’inammissibilità (come tale rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento) in assenza del predetto atto di costituzione la cui presenza formale è richiesta nella fase nella quale si opera, in quanto l’art. 39, comma 2 fa riferimento all’intero procedimento disciplinato nel capo III, del D. Lgs. 231/2001 il quale ricomprende anche le questioni relative ai sequestri ed alle loro impugnazioni ai sensi dell’art. 53. Naturalmente sarà sempre possibile per l’ente decidere di non costituirsi nel giudizio e di non nominare un difensore di fiducia: in questo caso dovrà essere nominato un difensore d’ufficio che avrà le stesse prerogative e gli stessi poteri di iniziativa previsti dal codice di rito penale per il difensore delle persone fisiche prive di un difensore di fiducia. Tuttavia qualora l’ente decida invece di “partecipare attivamente” lo stesso non avrà altra possibilità se non quella previamente di costituirsi secondo le modalità del citato art. 39 nominando un difensore di fiducia che poi potrà esercitare i poteri allo stesso conferiti con la procura de quaL’importanza di tale atto di costituzione che determina il momento iniziale dell’ingresso dell’ente nel procedimento (la sua partecipazione “materiale” attraverso un atto formale) realizzata mediante un espressa manifestazione della volontà di “essere presente” è stata chiaramente evidenziata dal Legislatore attraverso la previsione di una sanzione particolarmente cogente quale dell’inammissibilità della possibilità per l’ente di partecipare direttamente ed attivamente al procedimento stesso in assenza dell’atto de quo il che non consente di affermare che ci si trova di fronte ad una mera irregolarità formale sanabile attraverso atti equipollenti  (Sez. 2, 52748/2014).

In tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39Non è infatti applicabile alla fattispecie l’istituto dell’art. 106 CPP giacché in materia si verte sulla nomina del difensore di fiducia dell’ente da parte del suo rappresentante, (ed in assenza di contemporanee difese di altri imputati) e dunque la incompatibilità per conflitto di interesse non riguarda il difensore nominato ma il soggetto che effettua la nomina. In altri termini, non si pone il problema dell’intervento (e delle sue modalità) del giudice su una scelta fiduciaria legittimamente effettuata dall’interessato, ma della ratifica, da parte del giudice, di una qualificazione di incompatibilità del rappresentante dell’ente che il legislatore stesso ha effettuato e quindi di rilevazione di un difetto di legittimazione alla nomina (SU, 33041/2015, richiamata da Sez. 6, 33044/2018).

In tema di responsabilità da reato degli enti, è ammissibile la richiesta di riesame presentata, ai sensi dell’art. 324 CPP, avverso il decreto di sequestro preventivo dal difensore di fiducia nominato dal rappresentante dell’ente secondo il disposto dell’art. 96 CPP, ed in assenza di un previo atto formale di costituzione a norma dell’art. 39, sempre che, precedentemente o contestualmente alla esecuzione del sequestro, non sia stata comunicata la informazione di garanzia prevista dall’art. 57 (SU, 33041/2015).

Il D. Lgs. 231/2001 ha previsto alcune forme di procedura speciali per l’accertamento della responsabilità delle imprese per illeciti amministrativi dipendenti da reato, regolate dagli artt. 34-82 del testo normativo. Risulta, altresì, evocato il principio di sussidiarietà laddove l’art. 34 aggiunge che il rito è regolato anche «secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271», in quanto compatibili e l’art. 35 prevede che all’impresa si applichino anche, con il solito limite della compatibilità in concreto, «le disposizioni processuali relative all’imputato». La normativa coniuga, dunque, esigenze di effettività dell’accertamento ad esigenze di garanzia del diritto di difesa dell’ente strettamente correlate alla vicinanza dell’illecito amministrativo al fatto-reato, cosicché le norme del codice di procedura devono essere applicate sulla base del duplice presupposto che non vi sia una norma speciale che disciplini l’atto e che vi sia compatibilità tra le norme speciali e le norme del codice di procedura penale. Con specifico riguardo ai requisiti di validità dell’atto con il quale viene contestato all’ente l’illecito amministrativo, individuato dall’art. 59 in uno degli atti elencati nell’art. 405, comma 1, CPP risulta assente una disciplina speciale. In presenza del primo dei presupposti, ossia l’assenza di una disciplina speciale, occorre dunque verificare se vi sia compatibilità tra il rito tipico della responsabilità degli enti e le norme del codice di procedura penale, con specifico riguardo, per quanto qui d’interesse, alla contestazione formulata mediante richiesta di rinvio a giudizio. L’ente ricorrente invoca, infatti, l’applicazione in suo favore della regola, stabilita dall’art. 416, comma 1, CPP secondo la quale la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non sia preceduta dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, CPP qualora la persona sottoposta alle indagini abbia tempestivamente formulato la relativa istanza. Si chiede, in sostanza, che la previsione dell’art. 59 venga integrata da una norma prevista dal codice di rito a garanzia dell’esercizio di difesa della persona indagata. Va considerato che il limite descritto in termini di «compatibilità» attiene alla struttura del procedimento, dovendosi ritenere espunti dal rito speciale quegli istituti incompatibili con l’assenza di misure cautelari personali coercitive e di controllo giurisdizionale in fase di archiviazione che connota la struttura di tale rito. Conseguentemente, superano il vaglio di compatibilità quelle norme del codice di rito che regolino scansioni procedimentali ed attività processuali non estranee al rito speciale nella struttura delineata dal legislatore. Sulla base di tale premessa, risulta evidente la compatibilità tra i presupposti di validità della richiesta di rinvio a giudizio disciplinati dall’art. 416, comma 1, CPP ed il rito speciale nei confronti dell’ente, trattandosi di regole che s’inseriscono in una scansione procedimentale espressamente richiamata dall’art. 59 e che riguardano la garanzia del diritto di difesa, ossia di un principio costituzionale sotteso alle disposizioni del codice di rito richiamate in chiave integratrice dall’art. 34D’altro canto, nel caso concreto lo stesso organo dell’accusa ha ritenuto applicabile la disciplina dell’art. 415-bis CPP comunicando all’ente l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, tuttavia, trascurando di convocare il rappresentante dell’ente per rendere l’interrogatorio. Si deve considerare, inoltre, che a norma dell’art. 39, comma 1, l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. La necessaria alterità, imposta dalla legge, della persona dell’imputato e del legale rappresentante dell’ente al quale sia contestata la responsabilità amministrativa, doveroso riscontro al possibile conflitto d’interessi espresso anche dalle incompatibilità a testimoniare previste dagli artt. 39, comma 2, e 44, comma 1, conferma la correttezza della conclusione appena raggiuntaL’eccezione, tempestivamente proposta sin dal primo grado di giudizio, avrebbe, dunque, imposto la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio dell’ente il cui legale rappresentante non era stato invitato a presentarsi a rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, CPP tanto più che, nel caso di specie, tale parte processuale, necessariamente distinta dall’imputato, non aveva già ricevuto, anche per atto equipollente, la contestazione degli addebiti (Sez. 4, 31641/2018).

L’art 39 dispone che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (comma 1) e che la costituzione nel procedimento deve avvenire mediante deposito nella cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente di una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità, tra l’altro, il nome e cognome del difensore e l’indicazione della procura (comma 2). Ne consegue che anche il conferimento della procura speciale ai predetti difensori, proveniente dai medesimi soggetti, deve ritenersi invalido. Ma deve rilevarsi che, a seguito di una di una tale situazione di incompatibilità, il legislatore non ha previsto la sanzione della nullità o di inutilizzabilità. Con la conseguenza che da essa deriverà, oltre la eventuale responsabilità disciplinare del difensore, l’obbligo del giudice di rilevarla e di nominare un difensore di ufficio alla società. E potrà derivare una nullità, anche se non espressamente prevista, come nella fattispecie analoga di un difensore di due imputati con posizioni tra loro incompatibili ai sensi dell’art. 106 CPP, solo se dovesse risultare un effettivo e concreto pregiudizio alla difesa della società. Da ultimo può rilevarsi che l’asserita nullità dovrebbe essere ritenuta sanata per il fatto che, non potendosi inquadrare nelle nullità assolute ex art. 179 CPP, ma solo in quelle relative ex artt. 180 e 181 CPP, essa non potrebbe esser eccepita da chi vi ha dato causa (Sez. 2, 23552/2014).

Non sussiste violazione dell’obbligo di comunicazione di cui agli artt. 57 e 39 se all’ente è stato dato regolare e tempestivo avviso della fissazione dell’udienza con provvedimento del GIP emesso ex art. 47, l’ente si è regolarmente costituito nel rispetto di quanto previsto dall’art. 39 ed in ogni caso una volta instaurato il procedimento innanzi al giudice l’ente si è difeso anche nel merito (Tribunale di Milano, Sez. 12, 3 maggio 2018).