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La notifica di un atto a mezzo PEC è sempre valida se ha raggiunto il suo scopo a prescindere dal tipo di file utilizzato

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1. Premessa

2. Perplessità sulle notifiche a mezzo PEC e chiarimenti della Suprema Corte

3. Osservazioni sul caso di specie

 

1. Premessa

Per ciò che attiene il tema della notificazione a mezzo PEC di un qualsiasi atto processuale o di imposizione tributaria, l’irritualità della notifica, per vizi attinenti il formato del file utilizzato, non ne determina la nullità se la consegna dell’atto ha comunque raggiunto il suo scopo legale, ovvero ha raggiunto il risultato della conoscenza.

È quanto si ricava dall’ordinanza n. 4505/2019 della Corte di Cassazione sez. 6 depositata il 14 febbraio 2019, che ha ribadito un principio in linea con quanto già delineato dal consolidato orientamento giurisprudenziale dalla Suprema Corte.

Con la citata Ordinanza, infatti, è stato chiarito il principio secondo cui “l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica - nella specie, in «estensione.doc», anziché «formato.pdf - ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale”.

 

2. Perplessità sulle notifiche a mezzo PEC e chiarimenti della Suprema Corte

Con l’avvio a partire dal 1 luglio 2019 del processo tributario telematico (PTT), che rende obbligatorio l’uso di servizi e strumenti informatici anche ai fini della notificazione degli atti processuali, non sono mancate tutte quelle eccezioni e problematiche attinenti il corretto utilizzo del formato digitale che viene usato per la notificazione degli atti via PEC.

Come noto, il nuovo processo tributario telematico si basa proprio sull’uso della posta elettronica certificata, necessaria per la comunicazione e notificazione di ogni atto processuale, consentendo, altresì, il deposito telematico dei ricorsi e degli atti del processo presso le Commissioni Tributarie.

Ebbene, va preliminarmente ricordato che la PEC viene definita dal d.p.r. 68/2005 come mezzo di trasmissione valido agli effetti di legge. Perciò, una volta che è stata riconosciuta ed ammessa la possibilità di notificare a mezzo PEC sia gli atti del processo sia tutti quegli atti della riscossione tributaria, si è da sempre sollevato il problema di quale formato digitale utilizzare affinché la notifica possa considerarsi valida. Ebbene, l’unico formato in grado di garantire il contenuto dell’atto che si va a notificare, assicurando così, l’integrità, l’autenticità e la provenienza del documento, è il formato PDF/A che, proprio perché protetto da firma digitale, costituisce il più noto formato p7m.

Alla luce di ciò, la dottrina maggioritaria ha ritenuto che qualora l’atto non si presenti in detta estensione, deve ritenersi nullo ed improduttivo di effetti giuridici. In questo senso si è andato consolidando un unanime orientamento giurisprudenziale espresso dalle Commissioni Tributarie di merito. Infatti, in tal senso si sono espresse molte decisioni sia delle CTP che delle CTR: Es. è nulla la cartella notificata via pec con l’allegato in estensione “.pdf” e non “p7m” che rappresenta l’equivalente del primo ma firmato digitalmente (Ctp Milano sentenza 1023/1/17 del 3 febbraio 2017) giacchè ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26 Dpr 602/73, articoli 20 e 71 Dlgs 82/05, Dpcm 22 febbraio 2013, il “pdf” non soddisfa da solo i requisiti di integrità dell’allegato. Ed ancora, è nulla la cartella di pagamento via Pec, in quanto il documento allegato in “pdf” non può essere considerato un valido documento informatico, bensì una semplice copia informatica e come tale priva di qualsivoglia valore probatorio (Ctp Savona sentenze n. 100/2017 e n. 101/201 del 10 febbraio 2017).

Ebbene, a seguito di tutte queste pronunce di merito, riguardanti l’invalidità della notifica via pec, sono intervenute una serie di pronunce della Suprema Corte, spesso discordanti.

A porre un freno a queste contrastanti pronunce, che per troppo tempo hanno fatto valere i vizi formali legati all’estensione dei file notificati a mezzo pec, è intervenuta da ultima l’ordinanza della Corte di Cassazione sez. 6 che, con la pronuncia n. 4505/2019, ha chiarito la problematica del formato dei file delle notifiche telematiche stabilendo il principio secondo cui “l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica – nella specie in estensione doc anziché formato pdf – ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale”.

 

3. Osservazioni sul caso di specie

La suprema Corte con il principio sopra espresso ha voluto dare rilievo alla funzione propria della notificazione per via telematica, con la conseguenza che il raggiungimento dello scopo della notifica, vale a dire la produzione del risultato della conoscenza dell’atto notificato a mezzo Pec, rende privo di qualsivoglia significato la presenza di meri vizi di natura procedimentale, come l’estensione.doc in luogo del formato pdf, e sempre che non vi sia una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione. In sostanza, per la Suprema Corte quando la notifica raggiunge il suo scopo, ovvero mettere il destinatario nella possibilità concreta di piena conoscenza dell’atto trasmesso e, conseguentemente,  di difendersi con pienezza presentando le proprie controdeduzioni, deve necessariamente trovare applicazione il generale principio di diritto sancito dall’articolo 156 codice di procedura civile secondo cui la nullità non può non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Ne consegue, quindi, che la notifica irrituale di un atto a mezzo pec non può comportarne la nullità ogniqualvolta la consegna dello stesso abbia comunque conseguito il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale – anche se utilizza un file in formato docx-.

Nel caso di specie, infatti, la questione oggetto dell’intervento degli Ermellini, nasce da una sollevata eccezione di irritualità della notifica di un file tramite pec. In particolare, sostiene parte ricorrente, “la PEC conterrebbe solo l’espressione “notificazione ex 1. n. 53/1994” e non già quella, ritenuta obbligatoria”, di “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”, nonché per il fatto che la notificazione sia stata trasmessa “in formato docx.p7m” e non in formato “pdf.p7m” oppure in “.pdf’ (come previsto dal combinato disposto degli artt. 19 bis del provvedimento DGSIA 16 aprile 2014 e 18 del d.m. n. 44 del 2011), per cui il file di detta relazione non poteva essere aperto e, comunque, se aperto, avrebbe potuto comportare un rischio per gli standard di sicurezza”.

A riguardo, la Corte ha ritenuto che la mancata indicazione nell’oggetto del messaggio di PEC della dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” costituisce una mera irregolarità, essendo comunque raggiunto lo scopo della notificazione, avendo il destinatario comunque ricevuto l’atto.

Si rammenta, a tal proposito, che il principio di salvaguardia degli effetti della notifica si desume dall’articolo 156, co. 3 codice di procedura civile., e risulta recepito nella stessa legge n. 53 del 1994, che all’articolo 11 prevede che la nullità delle notificazioni telematiche incorre, solamente, qualora siano violate le relative norme contenute negli articoli precedenti “e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica”.

Per questi motivi la Corte ha ritenuto, nel caso di specie, inammissibile l’eccezione con la quale si lamenta un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte. Per di più,  i Giudici di Cassazione hanno ritenuto opportuno sanzionare la condotta posta in essere dalla parte ricorrente giudicandola “gravemente colposa”, infatti, “...il ricorso per cassazione proposto malgrado la conoscenza o l’ignoranza gravemente colposa della sua insostenibilità è fonte di responsabilità dell’impugnante ex articolo 385, comma quarto, codice di procedura civile, applicabile nel testo vigente ratione temporis, introdotto dall’articolo 13 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente abrogato dall’articolo 46, comma 20, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Cassazione n. 4930/2015, Cassazione n. 20732/2016)”.

In conclusione, la pronuncia assume particolare rilevanza in quanto pone un freno a quella continua opera di annullamento da parte dei Giudici tributari di tutti quegli atti notificati per il tramite della posta elettronica certificata, che, contrariamente a quanto prescritto dalla normativa in materia, risultano notificato in un formato diverso.

Si ritiene, dunque, che tale decisione è in linea con quanto stabilito dal costante orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte secondo cui “il principio sancito in via generale dall’articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali – pertanto – la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuta a conoscenza del destinatario” (Cassazione 13857 del 2014).