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L’aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche non è esclusa dall’assenza di un rapporto di lavoro

carrello elevatore, rischio infortunio
carrello elevatore, rischio infortunio

Le norme antinfortunistiche previste dalla legge sono poste a tutela non solo dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza.

Questa in sintesi la decisione della Cassazione (Sezione Quarta Penale, Sentenza 28 marzo 2019, n. 13583) secondo cui in tema di omicidio e lesioni personali colposi, l’aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche non è esclusa dall’insussistenza di un rapporto di lavoro, posto che il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia nei confronti di tutti i soggetti che si relazionano con la fonte di pericolo dallo stesso generata.

La pronuncia ha un importante impatto per gli imprenditori e per i consulenti.

 

L’uso del carrello elevatore

Il procedimento in oggetto trae origine all’infortunio mortale occorso al dipendente di una società di trasporto merci, il quale, dopo aver trasportato il materiale all’interno dello stabilimento di una società terza, si era posto alla guida di un carrello elevatore, di proprietà di altra società, per effettuarne uno spostamento, mansione alla quale non era tenuto. Dalla manovra derivava un grave incidente che cagionava la morte del lavoratore.

Dell’evento infausto era stato accusato il legale rappresentante della società proprietaria del carrello elevatore e deputata alla effettiva movimentazione delle merci all’interno dello stabilimento.

In particolare, a quest’ultimo era stato contestato, “a titolo di colpa specifica, di non avere adottato tutte le cautele necessarie affinché il carrello elevatore, nell’occorso utilizzato dalla vittima, […] venisse utilizzato da persone idonee e con specifica competenza e neppure vigilato affinché quel mezzo non fosse utilizzato da terzi estranei”, con violazione di ulteriori prescrizioni di legge (mancata installazione di apposita segnaletica per regolare il traffico e segnalare i pericoli ai conducenti dei mezzi e delle macchine operatrici), previste al fine di evitare condizioni di pericolo sul luogo di lavoro.

Il Tribunale di Salerno aveva riconosciuto l’imputato penalmente responsabile del reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme antinfortunistiche, con conseguente condanna al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili.

 

L’abbaglio della Corte d’Appello

Su impugnazione del prevenuto, la Corte d’Appello di Salerno aveva riformato la sentenza del primo giudice, ritenendo insussistente l’aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche, dichiarando conseguentemente l’estinzione del reato per prescrizione e revocando le statuizioni civili.

In particolare, la Corte territoriale aveva escluso la configurabilità di una posizione di garanzia in capo all’imputato nei confronti del lavoratore deceduto, essendo quest’ultimo soggetto “qualificato, ben consapevole dei suoi compiti, che avrebbe dovuto limitarsi al trasporto, e non anche allo scarico, delle merci”, nonché estraneo all’organizzazione aziendale facente capo al prevenuto.

Avverso la suddetta sentenza, proponevano ricorso per cassazione sia il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Salerno, sia le parti civili, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione per aver il giudice di merito escluso l’aggravante della violazione delle norme infortunistiche e così dichiarato il reato di omicidio colposo estinto per prescrizione.

 

Conta l’ambiente di lavoro non il rapporto di dipendenza

La Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi fondati.

In particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziato come, per costante orientamento giurisprudenziale, il datore di lavoro è ritenuto titolare di una posizione di garanzia inerente ai danni provocati non soltanto ai propri dipendenti, ma anche ai terzi che frequentano le strutture aziendali.

Pertanto, “la configurabilità della circostanza aggravante della violazione di norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, atteso che il rispetto di tali norme è imposto anche quando l’attività lavorativa venga prestata anche solo per amicizia, riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato, purché detta prestazione sia stata posta in essere in un ambiente che possa definirsi di "lavoro"”.

Da ciò discende che le norme antinfortunistiche previste dalla legge sono poste a tutela non solo dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza.

Ne consegue che, in caso di infortunio, sussiste l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro se è ravvisabile un legale causale tra la violazione delle norme antinfortunistiche e l’evento dannoso, “sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi”.

Per le ragioni di cui sopra, escludendo la causa estintiva rilevata dal giudicante, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Salerno per un nuovo esame circa la qualificazione della responsabilità del prevenuto (ipotesi base o aggravata), non essendo esclusa la circostanza aggravante dalla mera estraneità della vittima all’organizzazione aziendale diretta dal prevenuto.