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Le ragioni dell’astensione dei penalisti italiani: l’evidenza dei fatti contro la propaganda e la disinformazione

Dalla prescrizione del reato all’esecuzione della pena
Giusto processo
Giusto processo

Indice:

1. Premessa: la battaglia dei penalisti per i diritti di libertà

2. L’astensione dei penalisti italiani. Il nuovo regime della prescrizione: un processo (quasi) senza fine

3. Il manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo

4. Conclusioni: conoscere per deliberare

 

1. Premessa: la battaglia dei penalisti per i diritti di libertà

Un’altra settimana di astensione degli Avvocati penalisti.

Un’altra occasione per riflettere sui principi del diritto penale liberale e del giusto processo, come auspicato dal Presidente della Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, Avv. Giandomenico Caiazza, anche all’ultimo Congresso Straordinario di Taormina.

La spettacolarizzazione della giustizia penale, da Mani Pulite in avanti, ha prodotto un dibattito lontano dalle questioni cruciali, spesso travisate, nella vulgata politica e giornalistica.

L’indiscussa potenza mediatica del messaggio delle Procure, da una parte, e un’attitudine propagandistica e populista sempre più presente nella politica italiana, ha fatto sì che prevalessero la versione legalitaria della Pubblica Accusa e, rispettivamente, momenti legislativi legati a specifici fatti di cronaca, anziché una visione sistemica. L’opinione pubblica, certamente influenzata da prospettazioni unilaterali o propagandistiche, è apparsa, in larga maggioranza, indifferente ai temi della giustizia penale.

L’Unione delle Camere Penali, da sempre e con evidente e rinnovato vigore, nelle Giunte presiedute dall’Avv. Beniamino Migliucci e, oggi, dall’Avv. Giandomenico Caiazza, nella piena consapevolezza di questa lacuna giuridico-culturale, è stata ed è costantemente impegnata a tenere vivo il dibattito nel Paese e a coinvolgere settori sempre più ampi dell’opinione pubblica.

L’astensione dei Penalisti non mira a rivendicazioni lobbistiche, ma ad ampliare la sfera dei diritti di tutti i cittadini coinvolti nel processo, siano essi imputati o vittime del reato.

 

2. L’astensione dei penalisti italiani. Il nuovo regime della prescrizione: un processo (quasi) senza fine

Un esempio eclatante della battaglia per i diritti di libertà è l’astensione indetta dal 21 al 25 ottobre, contro la normativa che ha introdotto il sostanziale blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia di assoluzione che di condanna  (“il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio e dell’irrevocabilità del decreto di condanna (articolo 159, secondo comma, c.p.).

La nuova disciplina è stata introdotta con la legge 9 gennaio 2019, n. 3 all’articolo 1, lettera d), e) e f) ed entrerà in vigore – in base all’articolo 1, comma 2 della legge stessa – il 1° gennaio 2020. Il rinvio era stato collegato alla necessità di introdurre una riforma del processo penale che ne garantisse la celerità. Inutile dire, che questo vasto programma non ha ancora visto la luce (cfr., www.penalecontemporaneo.it tra gli altri,  - cfr., altresì, Vittorio Manes,  Sulla riforma della prescrizione - Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 1, 1 marzo 2019, pag. 557).

In sintesi, dopo la pronuncia di primo grado, il processo può prolungarsi per un tempo indeterminato con evidente danno per l’imputato, che resterà sospeso nel limbo della colpevolezza/innocenza, e per la vittima del reato e le sue istanze risarcitorie.

La norma, introdotta nel più vasto ambito della citata l. n. 3/2019 (c.d. legge spazzacorrotti), esprime un furore ideologico che persevera nell’errore di voler combattere fenomeni endemici della società moderna, prediligendo una risposta giudiziaria di taglio evidentemente populistico e che, ancora una volta, rimuove i fatti (cfr. www.camerepenali.it/)

La proposta dei Penalisti, sul punto, è molto chiara: la ragionevole riduzione dei tempi della giustizia penale, attraverso la diminuzione dei processi da trattare in dibattimento, garantendo, in questa sede, una completa esplicazione del contraddittorio tra le parti, in ossequio ai principi di oralità, concentrazione e immediatezza del processo accusatorio.

A tal fine appare assolutamente necessario:

- un’espansione dell’operatività dei riti alternativi (giudizio abbreviato e il c.d. patteggiamento);

- una revisione dell’udienza preliminare, per potenziarne l’“effetto filtro”;

- una depenalizzazione ragionata ed incisiva, sì da limitare al massimo l’intervento penale.

In ogni caso, mai le criticità del sistema possono determinare una riduzione delle garanzie delle parti del processo, imputati o vittime del reato.

 

3. Il manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo

In tutta evidenza, quindi, la comunicazione dettagliata e fondata su dati reali è l’unica profilassi contro una disinformazione dilagante

La Giunta presieduta dall’Avv.  Giandomenico Caiazza ha avuto, altresì, il grande merito di inquadrare il dibattito sulla giustizia penale, in un pregevole Manifesto che ha definito un ruolo politico dell’Unione Camere Penali, a tutela della legalità, dei diritti di libertà e dei diritti umani.

È agevole rilevare che alcuni tra i principali temi del dibattito politico-giudiziario possano essere letti attraverso i Principi rassegnati nel Manifesto, di per sé idonei a confutare impostazioni comunicative, spesso, mistificanti.

a. Profili ordinamentali: la separazione delle carriere del giudice e del pubblico ministero

È noto che l’Unione Camere Penali Italiane ha promosso una riforma dell’Ordinamento Giudiziario, adesso al vaglio del Parlamento, tesa a definire un profilo di assoluta terzietà del Giudice rispetto alla Pubblica Accusa (cfr. Principio 25 del Manifesto).

All’interessata disinformazione di chi paventa la sottoposizione del Pubblico Ministero al Potere Esecutivo e quindi alla politica (ildubbio.news), è agevole obiettare che gli Avvocati penalisti ritengono essenziale l’autonomia della Magistratura dalla politica, al punto da averla sancita, espressamente, nella loro proposta di riforma.

b. Un diritto penale minimo: il suicidio assistito e il suicidio di Stato

Il 25 settembre la Corte Costituzionale, come emerge dal comunicato diramato, in attesa del deposito della sentenza, ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizionichi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Attendendo di leggere le motivazioni della Consulta, non sfugge che sia stata avvertita la necessità di ridefinire ambiti che non possono essere regolati da norme penali.

Difficile non riconoscere in questa argomentazione i principi del Manifesto che individuano la risposta penale come extrema ratio (Principio 9) e riconoscono come liberale il modello di diritto penale che legittima l’intervento punitivo solo quando è strettamente necessario e proporzionato alle esigenze di tutela (Principio 3).

Anche in questo caso, i Principi del Manifesto e l’autorevole pronuncia della Consulta, disvelano l’atroce propaganda di chi ha commentato la pronuncia della Corte regolatrice, parlando di suicidio di stato.

c. L’esecuzione della pena e la costituzione

Nei giorni scorsi, è stata confermata la decisione CEDU sull’ergastolo ostativo, che aveva ritenuto incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo l’articolo 4 bis della legge sull’Ordinamento penitenziario, secondo la quale gli ergastolani (mafiosi e terroristi) che non collaborano con la giustizia non possono chiedere al Giudice di sorveglianza misure alternative alla detenzione.

In questo senso, il Principio 7 del Manifesto recita: Il diritto penale liberale non ammette pene perpetue, trattamenti inumani o degradanti, presunzioni di pericolosità ostative della funzione risocializzante della pena.

La disinformazione sull’apertura delle carceri per i mafiosi, propagandata come automatica e depotenziante il contrasto alla criminalità organizzata (https://www.ilfattoquotidiano.it), è smentita da un’interpretazione in linea con i principi di diritto, convenzionali e costituzionali, che attribuiscono al Giudice, caso per caso, la valutazione della condotta del detenuto (ildubbio.news).

In linea con questo percorso interpretativo, il 23 ottobre, la Corte Costituzionale si è pronunciata sull’ergastolo ostativo, sia pure, esclusivamente, in relazione al tema dei permessi premio. In attesa del deposito delle motivazioni, si legge in una nota che la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.

 

4. Conclusioni: conoscere per deliberare

È evidente che soltanto l’adeguata informazione sui temi della giustizia penale, possa garantire una scelta consapevole del cittadino/ elettore e un’adeguata deliberazione del decisore politico.

In questo dibattito, per quanto sin qui esposto, l’Unione delle Camere Penali Italiane riveste un ruolo essenziale.