x

x

Cassazione Lavoro: la tuta di lavoro è un dispositivo di protezione individuale?

La sentenza in commento pone un tassello importante nella disciplina degli obblighi del datore in materia di sicurezza sul lavoro.

 

Nel caso in esame, il dipendente di un ente comunale, addetto alla manutenzione e alla pulizia dei parchi e dei giardini pubblici, ricorreva in giudizio contro l’amministrazione locale datrice di lavoro, per non aver questa fornito gli abiti e le tute necessarie all’espletamento delle funzioni concordate.

 

Il lavoratore lamentava di dover essere costretto a provvedere in autonomia al reperimento degli abiti da lavoro in quanto il Comune non forniva, con adeguata frequenza, le tute da lavoro che, a causa del tipo di mansioni e dei frequenti lavaggi, risultavano fortemente logorate col passare del tempo. Le tute (confezionate in stoffa) venivano sostituite ogni due o tre anni, mentre il tempo di durata delle stesse era decisamente inferiore, tale da costringere il dipendente ad utilizzare propri capi per svolgere l’attività lavorativa. Chiedeva, dunque, il risarcimento del danno.

 

In primo grado, i giudici di merito hanno rigettato il ricorso, sentenza impugnata ma confermata in Appello.

 

Avverso la sentenza della Corte territoriale, la parte soccombente ha proposto ricorso in Cassazione, adducendo violazione degli articoli 32 della Costituzione e 2087 del Codice Civile, nonché di ulteriori disposizioni di legge, in particolare le norme indicate del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, recante disposizioni in materia di lavoro e specifici obblighi del datore nel fornire i dispositivi di protezione individuale, qualora necessari.

 

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, rigettando il ricorso del proponente.

 

Innanzitutto, i giudici di legittimità hanno operato una distinzione tra DPI (dispositivi di protezione individuali) così come definiti dalla legge e i generici indumenti conferiti ai lavoratori di un’azienda.

 

All’articolo 40 del decreto citato, il legislatore definisce i DPI  come “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”. Tali dispositivi devono essere obbligatoriamente forniti e, all’occorrenza, riparati e sostituiti dal datore di lavoro.

 

In particolare, al comma 2 lettera a) del suddetto articolo si escludono dal novero dei DPI “gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore”.

 

Secondo quanto affermato dai giudici della Suprema Corte, la Corte territoriale ha definito la funzione delle tute conferite al lavoratore come “di mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all’espletamento dell’attività lavorativa”, coerentemente a una delle definizioni che il legislatore fornisce al concetto di indumenti da lavoro (Circolare n. 34 del 29 marzo 1999).

 

La Corte di Cassazione, escludendo la natura di DPI delle tute fornite al dipendente, non ha potuto pronunciarsi sull’obbligo del datore di lavoro di fornire regolarmente tali indumenti in quanto il ricorrente non ha fornito prove sufficienti di una reale violazione del diritto, costituzionalmente garantito, della tutela della salute e dell’igiene sul luogo di lavoro e dell’obbligo di cui all’articolo 2087 del Codice Civile (Tutela delle condizioni di lavoro).

 

Inoltre, la domanda non concerneva la fornitura di DPI, ma riguardava direttamente il tipo di tute distribuite, aventi una funzione diversa da quella ritenuta dal ricorrente. Le tute fornite dal Comune si inquadravano nella categoria degli “indumenti di protezione degli abiti civili” e non “di protezione della salute”. La Corte, in ottemperanza al generale principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ha rigettato il ricorso, non potendosi pronunciare su questioni non dibattute nel merito.

 

In conclusione, i giudici di legittimità hanno affermato che gli indumenti forniti dal datore di lavoro al lavoratore hanno funzioni diverse. Se, in riferimento alle mansioni svolte e alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro, è necessario garantire la tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore, il cui rischio di lesione deve essere provato in giudizio, gli indumenti devono essere tali da soddisfare queste esigenze e prendono il nome di DPI: da ciò solo discendono, per espressa previsione legislativa, particolari obblighi in capo al datore (fornitura, riparazione, sostituzione).

 

Tale pronuncia conserva la sua validità anche alla luce della nuova normativa in materia di DPI, come prevista agli articoli 74 e seguenti del Decreto Legislativo n. 81/2008 (in materi di sicurezza sul lavoro). In particolare, all’articolo 77 del decreto citato, rubricato “Obblighi del datore di lavoro”, il comma 4 lettera a) prevede che: “[il datore di lavoro] mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante”.

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 5 marzo 2014, n. 5176)

La sentenza in commento pone un tassello importante nella disciplina degli obblighi del datore in materia di sicurezza sul lavoro.

 

Nel caso in esame, il dipendente di un ente comunale, addetto alla manutenzione e alla pulizia dei parchi e dei giardini pubblici, ricorreva in giudizio contro l’amministrazione locale datrice di lavoro, per non aver questa fornito gli abiti e le tute necessarie all’espletamento delle funzioni concordate.

 

Il lavoratore lamentava di dover essere costretto a provvedere in autonomia al reperimento degli abiti da lavoro in quanto il Comune non forniva, con adeguata frequenza, le tute da lavoro che, a causa del tipo di mansioni e dei frequenti lavaggi, risultavano fortemente logorate col passare del tempo. Le tute (confezionate in stoffa) venivano sostituite ogni due o tre anni, mentre il tempo di durata delle stesse era decisamente inferiore, tale da costringere il dipendente ad utilizzare propri capi per svolgere l’attività lavorativa. Chiedeva, dunque, il risarcimento del danno.

 

In primo grado, i giudici di merito hanno rigettato il ricorso, sentenza impugnata ma confermata in Appello.

 

Avverso la sentenza della Corte territoriale, la parte soccombente ha proposto ricorso in Cassazione, adducendo violazione degli articoli 32 della Costituzione e 2087 del Codice Civile, nonché di ulteriori disposizioni di legge, in particolare le norme indicate del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, recante disposizioni in materia di lavoro e specifici obblighi del datore nel fornire i dispositivi di protezione individuale, qualora necessari.

 

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, rigettando il ricorso del proponente.

 

Innanzitutto, i giudici di legittimità hanno operato una distinzione tra DPI (dispositivi di protezione individuali) così come definiti dalla legge e i generici indumenti conferiti ai lavoratori di un’azienda.

 

All’articolo 40 del decreto citato, il legislatore definisce i DPI  come “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”. Tali dispositivi devono essere obbligatoriamente forniti e, all’occorrenza, riparati e sostituiti dal datore di lavoro.

 

In particolare, al comma 2 lettera a) del suddetto articolo si escludono dal novero dei DPI “gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore”.

 

Secondo quanto affermato dai giudici della Suprema Corte, la Corte territoriale ha definito la funzione delle tute conferite al lavoratore come “di mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all’espletamento dell’attività lavorativa”, coerentemente a una delle definizioni che il legislatore fornisce al concetto di indumenti da lavoro (Circolare n. 34 del 29 marzo 1999).

 

La Corte di Cassazione, escludendo la natura di DPI delle tute fornite al dipendente, non ha potuto pronunciarsi sull’obbligo del datore di lavoro di fornire regolarmente tali indumenti in quanto il ricorrente non ha fornito prove sufficienti di una reale violazione del diritto, costituzionalmente garantito, della tutela della salute e dell’igiene sul luogo di lavoro e dell’obbligo di cui all’articolo 2087 del Codice Civile (Tutela delle condizioni di lavoro).

 

Inoltre, la domanda non concerneva la fornitura di DPI, ma riguardava direttamente il tipo di tute distribuite, aventi una funzione diversa da quella ritenuta dal ricorrente. Le tute fornite dal Comune si inquadravano nella categoria degli “indumenti di protezione degli abiti civili” e non “di protezione della salute”. La Corte, in ottemperanza al generale principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ha rigettato il ricorso, non potendosi pronunciare su questioni non dibattute nel merito.

 

In conclusione, i giudici di legittimità hanno affermato che gli indumenti forniti dal datore di lavoro al lavoratore hanno funzioni diverse. Se, in riferimento alle mansioni svolte e alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro, è necessario garantire la tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore, il cui rischio di lesione deve essere provato in giudizio, gli indumenti devono essere tali da soddisfare queste esigenze e prendono il nome di DPI: da ciò solo discendono, per espressa previsione legislativa, particolari obblighi in capo al datore (fornitura, riparazione, sostituzione).

 

Tale pronuncia conserva la sua validità anche alla luce della nuova normativa in materia di DPI, come prevista agli articoli 74 e seguenti del Decreto Legislativo n. 81/2008 (in materi di sicurezza sul lavoro). In particolare, all’articolo 77 del decreto citato, rubricato “Obblighi del datore di lavoro”, il comma 4 lettera a) prevede che: “[il datore di lavoro] mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante”.

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 5 marzo 2014, n. 5176)