x

x

Cassazione: i costi troppo alti sono deducibili purché inerenti all’attività esercitata

La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della dichiarazione del reddito, sono deducibili tutti i costi inerenti all’attività economica svolta, anche se antieconomici.

Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate contestava al contribuente, esercente la professione medica, di aver portato in detrazione, ai fini della definizione delle imposte da versare, valori superiori a quelli reali e provvedeva a rettificare le dichiarazioni IVA, IRPEF e IRAP, in ragione del disconoscimento quali costi deducibili dei canoni di affitto versati dal contribuente al locatore dell’immobile presso cui svolgeva la propria attività.

Il privato impugnava il provvedimento dell’Agenzia innanzi alla Commissione Tributaria provinciale ottenendone l’annullamento.

Impugnata la sentenza dall’Agenzia, la Commissione regionale ha respinto l’appello in quanto, poiché l’unico limite alla deduzione dei costi è quello dell’inerenza, il costo è inerente se serve a produrre ricavi. L’Agenzia delle Entrate non ha utilizzato presunzioni gravi, precise e concordanti per ritenere quelle somme estranee all’attività esercitata, dunque devono essere ritenute inerenti all’attività e fiscalmente deducibili.

Avverso tale decisione, l’Agenzia ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo, tra i vari motivi del ricorso, che la Commissione ha violato disposizioni di legge, ritenendo che “ai fini del giudizio di inerenza di un costo rileva esclusivamente la sua riferibilità ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare reddito e non anche la sua eccessività o sproporzione rispetto al valore normale di mercato”. 

La Cassazione si richiama a quanto disposto dall’articolo 54, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (“Tuir”), che recita quanto segue: “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione”.

A giudizio della Corte, la Commissione regionale ha correttamente ritenuto che “una volta accertata l’inerenza del costo è abbastanza difficile poter dire, senza scivolare in una zona molto discrezionale, in quale misura esso è deducibile o meno, tranne che non vi sia una indicazione normativa specifica che ponga un tetto alle spese”, indicazione che allo stato attuale è assente.

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, non rilevando alcuna violazione o falsa applicazione di legge e ritenendo la motivazione della Commissione regionale non soggetta a censura, essendo la valutazione di merito sulle presunzioni utilizzate dall’ente pubblico riservata alla Commissione, che ha ritenuto gli argomenti dell’Agenzia inidonei a provare un comportamento elusivo del contribuente.

(Corte di Cassazione - Sezione Tributaria, Sentenza 18 febbraio 2015, n. 3198)

La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della dichiarazione del reddito, sono deducibili tutti i costi inerenti all’attività economica svolta, anche se antieconomici.

Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate contestava al contribuente, esercente la professione medica, di aver portato in detrazione, ai fini della definizione delle imposte da versare, valori superiori a quelli reali e provvedeva a rettificare le dichiarazioni IVA, IRPEF e IRAP, in ragione del disconoscimento quali costi deducibili dei canoni di affitto versati dal contribuente al locatore dell’immobile presso cui svolgeva la propria attività.

Il privato impugnava il provvedimento dell’Agenzia innanzi alla Commissione Tributaria provinciale ottenendone l’annullamento.

Impugnata la sentenza dall’Agenzia, la Commissione regionale ha respinto l’appello in quanto, poiché l’unico limite alla deduzione dei costi è quello dell’inerenza, il costo è inerente se serve a produrre ricavi. L’Agenzia delle Entrate non ha utilizzato presunzioni gravi, precise e concordanti per ritenere quelle somme estranee all’attività esercitata, dunque devono essere ritenute inerenti all’attività e fiscalmente deducibili.

Avverso tale decisione, l’Agenzia ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo, tra i vari motivi del ricorso, che la Commissione ha violato disposizioni di legge, ritenendo che “ai fini del giudizio di inerenza di un costo rileva esclusivamente la sua riferibilità ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare reddito e non anche la sua eccessività o sproporzione rispetto al valore normale di mercato”. 

La Cassazione si richiama a quanto disposto dall’articolo 54, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (“Tuir”), che recita quanto segue: “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione”.

A giudizio della Corte, la Commissione regionale ha correttamente ritenuto che “una volta accertata l’inerenza del costo è abbastanza difficile poter dire, senza scivolare in una zona molto discrezionale, in quale misura esso è deducibile o meno, tranne che non vi sia una indicazione normativa specifica che ponga un tetto alle spese”, indicazione che allo stato attuale è assente.

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, non rilevando alcuna violazione o falsa applicazione di legge e ritenendo la motivazione della Commissione regionale non soggetta a censura, essendo la valutazione di merito sulle presunzioni utilizzate dall’ente pubblico riservata alla Commissione, che ha ritenuto gli argomenti dell’Agenzia inidonei a provare un comportamento elusivo del contribuente.

(Corte di Cassazione - Sezione Tributaria, Sentenza 18 febbraio 2015, n. 3198)