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Corte d’Appello: attenzione ad agire in giudizio con colpa grave, ne paghi i danni

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n.1592/2015, ha segnato un’importante passo nella configurazione della responsabilità derivante da lite temeraria analizzando in particolare il comportamento tenuto dal debitore verso il creditore.

Il caso in esame vedeva il creditore, socio unico di società, impugnare la sentenza del Tribunale di Milano che lo aveva visto soccombente nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi iniziato dalla società debitrice per carenza di legittimazione attiva, in quanto il titolo di credito azionato era stato emesso in nome della società di cui esso era socio unico e per nullità del titolo esecutivo.

Nel giudizio d’Appello si costituiva la società appellata avanzando le stesse motivazioni del primo grado nel merito e proponendo domanda di appello incidentale per condanna per lite temeraria, respinta dal giudice di primo grado.

Il giudice d’Appello confermate le posizioni del giudice di primo grado nel merito, ha accolto l’appello incidentale proposto dalla società appellata condannando l’appellante al risarcimento dei danni cagionati per lite temeraria alla società appellata, sia nel giudizio di primo che di secondo grado.

Secondo la Corte d’Appello: “deve in primo luogo osservarsi che non può dubitarsi del fatto che l’opponente in primo grado abbia resistito in giudizio con colpa grave come risulta dal fatto che lo stesso sia rimasto totalmente soccombente nell’ambito del giudizio medesimo, e ancor prima nell’ambito del procedimento per la sospensione del titolo esecutivo e che abbia perseguito l’intento non tanto di tutelare le proprie (come si è detto del tutto infondate) pretese creditorie, quanto al fine di danneggiare quanto più era possibile il suo avversario, e ciò nonostante che lo stesso suo difensore lo avesse avvertito della “certa soccombenza”.

Inoltre: “con riferimento poi alla prova del danno la società ha documentalmente provato di aver provveduto, al fine di evitare le conseguenze pregiudizievoli della preannunciata espropriazione, ad aprire un conto corrente sul quale aveva versato l’importo di euro 480.000,00, dando istruzioni alla stessa banca di considerare l’importo vincolato e indisponibile fino alla data dell’8 agosto 2009 (data risoluzione controversia) ed aveva invitato il socio a procedere al pignoramento delle somme depositate sul conto di cui sopra”.

Nonostante ciò, il socio ebbe invece a comunicare che “avrebbe provveduto al pignoramento mobiliare sui soggetti da lui stesso individuati” e di fatto procedette al pignoramento dei crediti vantati dalla società nei confronti di Banche e di 44 imprese legate da continuativi rapporti professionali con l’appellante.

In materia di prova del danno la Corte ha proseguito, ribaltando le statuizioni di primo grado, rilevando che “non vi è dubbio come la società abbia subito dal comportamento del socio un danno di particolare entità all’immagine ed alla fama commerciale, danno che, seppur impossibile da quantificare ed identificare in termini precisi, questa Corte ritiene di quantificare in Euro 80.000,00”.

Concludeva la Corte che: “Ad analoghe considerazioni deve pervenirsi anche con riferimento al presente grado di giudizio, relativamente al quale possono ripetersi le stesse considerazioni svolte più sopra con riferimento all’assoluta pretestuosità dell’appello proposto e alla certa consapevolezza della infondatezza della domanda e alla coscienza della infondatezza medesima (Cass. 24/03/1979 n. 1740; Cass. 9/09/2003 n.13071). Appare equo quindi prevedere la condanna dell’appellante ex art. 96 c.p.c al pagamento dell’importo in favore di controparte di euro 20.000,00.”

(Corte d’Appello di Milano-Terza Sezione Civile, sentenza 14 aprile 2015 n. 1592)

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n.1592/2015, ha segnato un’importante passo nella configurazione della responsabilità derivante da lite temeraria analizzando in particolare il comportamento tenuto dal debitore verso il creditore.

Il caso in esame vedeva il creditore, socio unico di società, impugnare la sentenza del Tribunale di Milano che lo aveva visto soccombente nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi iniziato dalla società debitrice per carenza di legittimazione attiva, in quanto il titolo di credito azionato era stato emesso in nome della società di cui esso era socio unico e per nullità del titolo esecutivo.

Nel giudizio d’Appello si costituiva la società appellata avanzando le stesse motivazioni del primo grado nel merito e proponendo domanda di appello incidentale per condanna per lite temeraria, respinta dal giudice di primo grado.

Il giudice d’Appello confermate le posizioni del giudice di primo grado nel merito, ha accolto l’appello incidentale proposto dalla società appellata condannando l’appellante al risarcimento dei danni cagionati per lite temeraria alla società appellata, sia nel giudizio di primo che di secondo grado.

Secondo la Corte d’Appello: “deve in primo luogo osservarsi che non può dubitarsi del fatto che l’opponente in primo grado abbia resistito in giudizio con colpa grave come risulta dal fatto che lo stesso sia rimasto totalmente soccombente nell’ambito del giudizio medesimo, e ancor prima nell’ambito del procedimento per la sospensione del titolo esecutivo e che abbia perseguito l’intento non tanto di tutelare le proprie (come si è detto del tutto infondate) pretese creditorie, quanto al fine di danneggiare quanto più era possibile il suo avversario, e ciò nonostante che lo stesso suo difensore lo avesse avvertito della “certa soccombenza”.

Inoltre: “con riferimento poi alla prova del danno la società ha documentalmente provato di aver provveduto, al fine di evitare le conseguenze pregiudizievoli della preannunciata espropriazione, ad aprire un conto corrente sul quale aveva versato l’importo di euro 480.000,00, dando istruzioni alla stessa banca di considerare l’importo vincolato e indisponibile fino alla data dell’8 agosto 2009 (data risoluzione controversia) ed aveva invitato il socio a procedere al pignoramento delle somme depositate sul conto di cui sopra”.

Nonostante ciò, il socio ebbe invece a comunicare che “avrebbe provveduto al pignoramento mobiliare sui soggetti da lui stesso individuati” e di fatto procedette al pignoramento dei crediti vantati dalla società nei confronti di Banche e di 44 imprese legate da continuativi rapporti professionali con l’appellante.

In materia di prova del danno la Corte ha proseguito, ribaltando le statuizioni di primo grado, rilevando che “non vi è dubbio come la società abbia subito dal comportamento del socio un danno di particolare entità all’immagine ed alla fama commerciale, danno che, seppur impossibile da quantificare ed identificare in termini precisi, questa Corte ritiene di quantificare in Euro 80.000,00”.

Concludeva la Corte che: “Ad analoghe considerazioni deve pervenirsi anche con riferimento al presente grado di giudizio, relativamente al quale possono ripetersi le stesse considerazioni svolte più sopra con riferimento all’assoluta pretestuosità dell’appello proposto e alla certa consapevolezza della infondatezza della domanda e alla coscienza della infondatezza medesima (Cass. 24/03/1979 n. 1740; Cass. 9/09/2003 n.13071). Appare equo quindi prevedere la condanna dell’appellante ex art. 96 c.p.c al pagamento dell’importo in favore di controparte di euro 20.000,00.”

(Corte d’Appello di Milano-Terza Sezione Civile, sentenza 14 aprile 2015 n. 1592)