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Fallimento - Tribunale di Milano: l’avvocato è legittimato a chiedere l’insinuazione del credito professionale in via privilegiata nel passivo del fallimento

Il Tribunale ha stabilito che l’avvocato conserva il diritto all’insinuazione nello stato passivo del fallimento di una società cliente per crediti professionali non pagati, in via autonoma, anche se facente parte di uno studio associato, con il privilegio accordato alle retribuzioni dei professionisti.

Nel caso in esame, con domanda di insinuazione di cui all’articolo 93 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (“Legge Fallimentare”) rubricato “Domanda di ammissione al passivo”, un avvocato chiedeva di essere ammesso al passivo del fallimento di una società, vantando un credito derivante da attività professionale prestata in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in via previlegiata per una parte e in via chirografaria per la parte restante.

Esponeva che lo studio in cui era associato aveva svolto a favore della società attività di carattere giudiziale e produceva a dimostrazione del credito il conferimento dell’incarico, la propria partecipazione ad alcune udienze e gli atti di causa e la rinuncia al mandato.

Il Giudice Delegato dichiarava l’esecutività dello stato passivo del fallimento escludendo il credito, in quanto i documenti depositati non consentivano di ritenere provato che l’attività fosse stata svolta dal legale, il quale quindi non era titolare del credito dedotto. Quest’ultimo proponeva opposizione con ricorso di cui all’articolo 98 della Legge fallimentare, chiedendo l’ammissione al fallimento del credito che vantava nei confronti della società, precedentemente sua cliente.

Il Tribunale di Milano ha sottolineato come “i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all’associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d’opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale, a condizione che il rapporto di prestazione d’opera si instauri tra il singolo professionista e il cliente, poiché soltanto in tal caso si può ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un’attività lavorativa”.

Solo quando l’oggetto della prestazione non presuppone la personalità del rapporto tra cliente e professionista, allora l’associazione professionale ha la capacità di stare in giudizio, essendo un autonomo centro di imputazione di interessi. I giudici di merito hanno ritenuto la documentazione prodotta idonea a provare che i compensi delle prestazioni professionali erano riferiti direttamente e personalmente all’avvocato e non all’associazione professionale e che il rapporto instauratosi tra l’avvocato e il cliente era certamente personale e professionale. Sussiste, dunque, la legittimazione del ricorrente sebbene parte di uno studio associato.

Il mandato specificamente attribuito all’avvocato, la sua partecipazione alle udienze, la rinuncia al mandato sottoscritta personalmente dallo stesso indicano che il ricorrente aveva assunto personalmente il rischio professionale, che l’articolo 2232 del Codice Civile (“Esecuzione d’opera”) individua come condizione necessaria per la classificazione dell’attività svolta come prestazione d’opera intellettuale, le cui retribuzioni, a norma dell’articolo 2751-bis del Codice Civile, sono da considerarsi crediti privilegiati.

Il Tribunale ha, dunque, accolto il ricorso proposto dall’avvocato, ammettendo allo stato passivo del fallimento il credito da questo vantato in via privilegiata, in quanto prestazione d’opera intellettuale.

(Tribunale di Milano - Sezione Seconda Civile, Decreto 14 aprile 2015, n. 4600)

Il Tribunale ha stabilito che l’avvocato conserva il diritto all’insinuazione nello stato passivo del fallimento di una società cliente per crediti professionali non pagati, in via autonoma, anche se facente parte di uno studio associato, con il privilegio accordato alle retribuzioni dei professionisti.

Nel caso in esame, con domanda di insinuazione di cui all’articolo 93 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (“Legge Fallimentare”) rubricato “Domanda di ammissione al passivo”, un avvocato chiedeva di essere ammesso al passivo del fallimento di una società, vantando un credito derivante da attività professionale prestata in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in via previlegiata per una parte e in via chirografaria per la parte restante.

Esponeva che lo studio in cui era associato aveva svolto a favore della società attività di carattere giudiziale e produceva a dimostrazione del credito il conferimento dell’incarico, la propria partecipazione ad alcune udienze e gli atti di causa e la rinuncia al mandato.

Il Giudice Delegato dichiarava l’esecutività dello stato passivo del fallimento escludendo il credito, in quanto i documenti depositati non consentivano di ritenere provato che l’attività fosse stata svolta dal legale, il quale quindi non era titolare del credito dedotto. Quest’ultimo proponeva opposizione con ricorso di cui all’articolo 98 della Legge fallimentare, chiedendo l’ammissione al fallimento del credito che vantava nei confronti della società, precedentemente sua cliente.

Il Tribunale di Milano ha sottolineato come “i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all’associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d’opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale, a condizione che il rapporto di prestazione d’opera si instauri tra il singolo professionista e il cliente, poiché soltanto in tal caso si può ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un’attività lavorativa”.

Solo quando l’oggetto della prestazione non presuppone la personalità del rapporto tra cliente e professionista, allora l’associazione professionale ha la capacità di stare in giudizio, essendo un autonomo centro di imputazione di interessi. I giudici di merito hanno ritenuto la documentazione prodotta idonea a provare che i compensi delle prestazioni professionali erano riferiti direttamente e personalmente all’avvocato e non all’associazione professionale e che il rapporto instauratosi tra l’avvocato e il cliente era certamente personale e professionale. Sussiste, dunque, la legittimazione del ricorrente sebbene parte di uno studio associato.

Il mandato specificamente attribuito all’avvocato, la sua partecipazione alle udienze, la rinuncia al mandato sottoscritta personalmente dallo stesso indicano che il ricorrente aveva assunto personalmente il rischio professionale, che l’articolo 2232 del Codice Civile (“Esecuzione d’opera”) individua come condizione necessaria per la classificazione dell’attività svolta come prestazione d’opera intellettuale, le cui retribuzioni, a norma dell’articolo 2751-bis del Codice Civile, sono da considerarsi crediti privilegiati.

Il Tribunale ha, dunque, accolto il ricorso proposto dall’avvocato, ammettendo allo stato passivo del fallimento il credito da questo vantato in via privilegiata, in quanto prestazione d’opera intellettuale.

(Tribunale di Milano - Sezione Seconda Civile, Decreto 14 aprile 2015, n. 4600)