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Molestie - Cassazione Penale: elemento soggettivo ai fini degli atti persecutori

La Cassazione ha ribadito che l’elemento soggettivo negli atti persecutori è sufficiente per la consapevolezza della idoneità causale delle condotte.

Nel caso in esame, la ricorrente in Cassazione, madre della vittima, aveva assunto una condotta ossessiva nei confronti della figlia, non adempiendo ad una precedente pronuncia che le aveva imposto il divieto di prendere contatti con la figlia.

La Corte d’Appello, in conformità alla pronuncia del Tribunale, aveva dichiarato la ricorrente colpevole di minaccia nei confronti della figlia minore, avendo generato nella vittima un fondato timore per la propria incolumità, tanto da costringerla a modificare le proprie abitudini di vita, non soltanto per la condotta assunta, ma per la quotidianità con cui tale atteggiamento si ripeteva.

Nel ricorso in Cassazione, con riferimento all’erronea motivazione dell’elemento psicologico, la madre lamentava l’impossibilità della valutazione del rapporto sussistente tra la sua condotta e gli effetti concreti nella vita della figlia. Contestava di conseguenza la possibilità di configurare l’elemento in chiave di dolo eventuale.

La Cassazione si è pronunciata in maniera conforme ai giudici di primo e secondo grado rilevando come l’assunzione di determinate condotte, che comportino molestie e minacce verso un soggetto, inevitabilmente porta con sé la consapevolezza di una determinata reazione di quest’ultimo, specialmente se, come nel caso in questione, la condotta è ripetuta in modo abituale.

In sostanza, secondo la Cassazione è sufficiente la mera consapevolezza dell’idoneità delle condotte alla produzione di uno degli eventi tipici. La valutazione deve essere compiuta in relazione ai riflessi concreti che ne scaturiscono sulla vittima, intaccando la serenità e l’equilibrio psichico, costringendola spesso a modificare le sue abitudini di vita.

Sulla base delle suddette motivazioni, la Cassazione ha dichiarato infondato il ricorso e condannato la madre-ricorrente alle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 22 ottobre 2015, n. 42566)

La Cassazione ha ribadito che l’elemento soggettivo negli atti persecutori è sufficiente per la consapevolezza della idoneità causale delle condotte.

Nel caso in esame, la ricorrente in Cassazione, madre della vittima, aveva assunto una condotta ossessiva nei confronti della figlia, non adempiendo ad una precedente pronuncia che le aveva imposto il divieto di prendere contatti con la figlia.

La Corte d’Appello, in conformità alla pronuncia del Tribunale, aveva dichiarato la ricorrente colpevole di minaccia nei confronti della figlia minore, avendo generato nella vittima un fondato timore per la propria incolumità, tanto da costringerla a modificare le proprie abitudini di vita, non soltanto per la condotta assunta, ma per la quotidianità con cui tale atteggiamento si ripeteva.

Nel ricorso in Cassazione, con riferimento all’erronea motivazione dell’elemento psicologico, la madre lamentava l’impossibilità della valutazione del rapporto sussistente tra la sua condotta e gli effetti concreti nella vita della figlia. Contestava di conseguenza la possibilità di configurare l’elemento in chiave di dolo eventuale.

La Cassazione si è pronunciata in maniera conforme ai giudici di primo e secondo grado rilevando come l’assunzione di determinate condotte, che comportino molestie e minacce verso un soggetto, inevitabilmente porta con sé la consapevolezza di una determinata reazione di quest’ultimo, specialmente se, come nel caso in questione, la condotta è ripetuta in modo abituale.

In sostanza, secondo la Cassazione è sufficiente la mera consapevolezza dell’idoneità delle condotte alla produzione di uno degli eventi tipici. La valutazione deve essere compiuta in relazione ai riflessi concreti che ne scaturiscono sulla vittima, intaccando la serenità e l’equilibrio psichico, costringendola spesso a modificare le sue abitudini di vita.

Sulla base delle suddette motivazioni, la Cassazione ha dichiarato infondato il ricorso e condannato la madre-ricorrente alle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 22 ottobre 2015, n. 42566)