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Arbitrato - Corte di Cassazione Civile: il potere di nomina degli arbitri in ambito societario deve essere devoluto ad un soggetto terzo alla società a pena di nullità della clausola stessa

Arbitrato - Corte di Cassazione Civile: il potere di nomina degli arbitri in ambito societario deve essere devoluto ad un soggetto terzo alla società a pena di nullità della clausola stessa
Arbitrato - Corte di Cassazione Civile: il potere di nomina degli arbitri in ambito societario deve essere devoluto ad un soggetto terzo alla società a pena di nullità della clausola stessa

La Corte di Cassazione ha stabilito che è illegittima e quindi nulla la clausola compromissoria in ambito societario che non indichi espressamente che il potere di nomina di tutti gli arbitri sia deferito ad un soggetto terzo rispetto alla società, imponendo alle società che non si fossero ancora aggiornate alla normativa di rinnovare tale clausola a pena di nullità della stessa.

La sentenza si segnala per il “revirement” relativo al sistema del doppio binario in riferimento alle società costituite prima della normativa stabilita all’articolo 34 del Decreto Legislativo n.5 del 2003, relativo alle clausole compromissorie in ambito societario (“Articolo”).

La vicenda

La controversia sottesa alla pronuncia in esame vede come parte attrice una società che richiede, in qualità di usufruttuario, la quota di un socio di un’altra società di persone mediante decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano, e, in qualità di convenuta, la società di persone di cui tale socio fa parte.

La convenuta ha basato la sua difesa sull’indeferibilità della lite al Tribunale ordinario, in quanto non è intaccato il rapporto fra la società e il socio proprietario della quota, risultando così improponibile il decreto ingiuntivo, essendo disciplinati i rapporti fra questi ultimi da una clausola compromissoria contenuta nello statuto.

Il Tribunale di Milano dichiarava la propria incompetenza rilevando che: “indipendentemente dalla validità della costituzione di usufrutto avente ad oggetto la quota di un socio di una società di persone e posta in essere senza il consenso degli altri soci la controversia ricade nell’ambito di operatività della clausola compromissoria”, in quanto “la domanda trova fondamento in un diritto derivante dal rapporto tra la società ed il socio non assumendo alcun rilievo la circostanza che esso sia stato fatto valere da un soggetto che lo ha acquistato con una separata convenzione poiché quest’ultima non altera la natura del rapporto” quindi, “l’usufruttuario facendo valere un diritto del socio verso la società resta assoggettato alle regole dettate dal contratto sociale ivi compresa la clausola compromissoria” .

L’attore, avverso tale sentenza promuoveva un regolamento di competenza per due motivi.

In primo luogo per aver omesso di rilevare d’ufficio la nullità della clausola compromissoria, in contrasto con la normativa stabilita dall’Articolo.

Secondariamente sostenendo che l’usufrutto sulle quote di una società di persone non comporta la qualità di socio da parte dell’usufruttuario e quindi l’assoggettamento all’arbitrato previsto in statuto dalla società.

La decisione

La Suprema Corte ha ritenuto che il primo motivo di ricorso fosse valido, statuendo che il Tribunale di Milano avrebbe dovuto ravvisare la nullità della clausola compromissoria.

Infatti, lo statuto della società convenuta disponeva che l’arbitro fosse scelto di comune accordo fra le parti, (soci e soci, o soci e società), attribuendo quindi alle stesse parti il potere di nomina degli arbitri.

Dunque, “tale disciplina si pone in palese contrasto con la normativa art. 34 secondo comma d.lgs. 2003 n° 5” che prevede che “il potere di designazione degli arbitri deve essere conferito a, pena di nullità, ad un soggetto estraneo alla società e nel caso in cui questo ultimo non provveda, può essere esercitato dal presidente del tribunale del luogo in cui la società ha sede legale” di qui, “non può infatti accettarsi la tesi del doppio binario secondo cui l’arbitrato previsto dalle predette clausole si convertirebbe da arbitrato endosocietario in arbitrato di diritto comune.

Infine, la Cassazione si è pronunciata individuando come competente il Tribunale di Milano con riguardo al principio del luogo di adempimento della prestazione che, nel caso in esame, risultava essere la sede di parte attrice.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione, accertata l’illegittimità della clausola compromissoria, statuiva la nullità della medesima individuando come foro competente il Tribunale di Milano sezione specializzata per l’impresa, in quanto luogo di esecuzione della prestazione, anche per la liquidazione delle spese del regolamento di competenza.

Note sulla riforma Art 34 D.Lgs. 17 giugno 2003 n° 5

La presente riforma ha destato non poche problematiche interpretative sia in campo giurisprudenziale sia in quello dottrinale, in quanto non vi è ancora stata una pronuncia “nomofilattica” della Corte in materia.

L’ordinanza in esame sembra confermare una posizione che ha preso piede dal 2010: si veda Cassassazione n. 24867/2010 e n. 18892/2011 che vede nella nullità totale e quindi nell’interpretazione più letterale del testo la naturale attuazione di tale riforma.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Civile, Ordinanza 16 maggio 2016, n. 21422)

La Corte di Cassazione ha stabilito che è illegittima e quindi nulla la clausola compromissoria in ambito societario che non indichi espressamente che il potere di nomina di tutti gli arbitri sia deferito ad un soggetto terzo rispetto alla società, imponendo alle società che non si fossero ancora aggiornate alla normativa di rinnovare tale clausola a pena di nullità della stessa.

La sentenza si segnala per il “revirement” relativo al sistema del doppio binario in riferimento alle società costituite prima della normativa stabilita all’articolo 34 del Decreto Legislativo n.5 del 2003, relativo alle clausole compromissorie in ambito societario (“Articolo”).

La vicenda

La controversia sottesa alla pronuncia in esame vede come parte attrice una società che richiede, in qualità di usufruttuario, la quota di un socio di un’altra società di persone mediante decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano, e, in qualità di convenuta, la società di persone di cui tale socio fa parte.

La convenuta ha basato la sua difesa sull’indeferibilità della lite al Tribunale ordinario, in quanto non è intaccato il rapporto fra la società e il socio proprietario della quota, risultando così improponibile il decreto ingiuntivo, essendo disciplinati i rapporti fra questi ultimi da una clausola compromissoria contenuta nello statuto.

Il Tribunale di Milano dichiarava la propria incompetenza rilevando che: “indipendentemente dalla validità della costituzione di usufrutto avente ad oggetto la quota di un socio di una società di persone e posta in essere senza il consenso degli altri soci la controversia ricade nell’ambito di operatività della clausola compromissoria”, in quanto “la domanda trova fondamento in un diritto derivante dal rapporto tra la società ed il socio non assumendo alcun rilievo la circostanza che esso sia stato fatto valere da un soggetto che lo ha acquistato con una separata convenzione poiché quest’ultima non altera la natura del rapporto” quindi, “l’usufruttuario facendo valere un diritto del socio verso la società resta assoggettato alle regole dettate dal contratto sociale ivi compresa la clausola compromissoria” .

L’attore, avverso tale sentenza promuoveva un regolamento di competenza per due motivi.

In primo luogo per aver omesso di rilevare d’ufficio la nullità della clausola compromissoria, in contrasto con la normativa stabilita dall’Articolo.

Secondariamente sostenendo che l’usufrutto sulle quote di una società di persone non comporta la qualità di socio da parte dell’usufruttuario e quindi l’assoggettamento all’arbitrato previsto in statuto dalla società.

La decisione

La Suprema Corte ha ritenuto che il primo motivo di ricorso fosse valido, statuendo che il Tribunale di Milano avrebbe dovuto ravvisare la nullità della clausola compromissoria.

Infatti, lo statuto della società convenuta disponeva che l’arbitro fosse scelto di comune accordo fra le parti, (soci e soci, o soci e società), attribuendo quindi alle stesse parti il potere di nomina degli arbitri.

Dunque, “tale disciplina si pone in palese contrasto con la normativa art. 34 secondo comma d.lgs. 2003 n° 5” che prevede che “il potere di designazione degli arbitri deve essere conferito a, pena di nullità, ad un soggetto estraneo alla società e nel caso in cui questo ultimo non provveda, può essere esercitato dal presidente del tribunale del luogo in cui la società ha sede legale” di qui, “non può infatti accettarsi la tesi del doppio binario secondo cui l’arbitrato previsto dalle predette clausole si convertirebbe da arbitrato endosocietario in arbitrato di diritto comune.

Infine, la Cassazione si è pronunciata individuando come competente il Tribunale di Milano con riguardo al principio del luogo di adempimento della prestazione che, nel caso in esame, risultava essere la sede di parte attrice.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione, accertata l’illegittimità della clausola compromissoria, statuiva la nullità della medesima individuando come foro competente il Tribunale di Milano sezione specializzata per l’impresa, in quanto luogo di esecuzione della prestazione, anche per la liquidazione delle spese del regolamento di competenza.

Note sulla riforma Art 34 D.Lgs. 17 giugno 2003 n° 5

La presente riforma ha destato non poche problematiche interpretative sia in campo giurisprudenziale sia in quello dottrinale, in quanto non vi è ancora stata una pronuncia “nomofilattica” della Corte in materia.

L’ordinanza in esame sembra confermare una posizione che ha preso piede dal 2010: si veda Cassassazione n. 24867/2010 e n. 18892/2011 che vede nella nullità totale e quindi nell’interpretazione più letterale del testo la naturale attuazione di tale riforma.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Civile, Ordinanza 16 maggio 2016, n. 21422)