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Borsa - Cassazione Civile: valido l’ordine di acquisto in borsa per telefono

L’ordine di negoziazione in borsa impartito dal cliente alla banca che lo ha ricevuto telefonicamente è valido anche in assenza di attestazione scritta e può essere provato in sede processuale attraverso presunzioni non sindacabili in sede di legittimità. È quanto ha deciso la Prima Sezione Civile della Cassazione, con sentenza depositata lo scorso quindici gennaio.

Nel caso di specie i ricorrenti avevano chiesto di accertare la responsabilità dell’istituto di credito con il quale avevano sottoscritto il c.d. contratto quadro per la negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta ordini aventi ad oggetto valori mobiliari, per le perdite subite dal portafoglio titoli in questione per inadempimento agli obblighi di informazione e per esecuzione di numerosissimi ordini di acquisto e vendita, a detta dei ricorrenti, mai conferiti.

A seguito del rigetto della domanda da parte del Tribunale di Genova, la Corte d’appello, in merito alla prova del conferimento degli ordini avvenuti per telefono, osservava che la mancata registrazione, da parte dell’intermediario, su supporto magnetico o di altro tipo, come previsto dal Regolamento Consob n. 11522 del 1998, non impediva il ricorso ad altri mezzi di prova, quali la testimonianza e le presunzioni, anche ove non fossero soddisfatte le condizioni previste dall’articolo 2725 del Codice Civile. I giudici non ritenevano, infatti, che la citata disciplina regolamentare avesse introdotto uno specifico requisito ad probationem del mandato in questione.

Alla base della decisione era infatti la presunzione che il ricorrente, definito soggetto tecnicamente qualificato in virtù della professione svolta, avesse impartito tutti gli ordini, e non solo alcuni, come dal medesimo preteso, relativi alle numerosissime operazioni documentate negli estratti conto regolarmente trasmessi, dal cui esame avrebbe dovuto immediatamente emergere il preteso straripamento di poteri commesso dalla banca in relazione a un così rilevante numero di operazioni.

Avverso la sentenza d’appello i ricorrenti agivano in Cassazione sostenendo l’obbligo da parte della banca di rilasciare un’annotazione scritta di ogni ordine ricevuto telefonicamente e di registrare gli ordini impartiti. Inoltre ponevano il quesito se fosse legittimo che la prova di detti ordini potesse essere data per mezzo di testimonianze e presunzioni.

Innanzitutto la Suprema Corte ha stabilito che l’attestazione prevista dal regolamento Consob sopra citato ha efficacia “solo per l’ipotesi, qui non ricorrente, di ordini rilasciati presso la sede legale della banca o le proprie dipendenze.”.

In secondo luogo ha ricordato che la prescrizione di forma è prevista dal Testo Unico della Finanza solo per la stipulazione del c.d. contratto-quadro relativo ai servizi di negoziazione e non per gli ordini conferiti dal cliente in attuazione di questo. Tale prescrizione, nella misura in cui si limita ad indicare agli intermediari una condotta da tenere in determinati casi, si pone come “uno strumento atto a garantire agli intermediari, mediante l’oggettivo ed immediato riscontro della volontà manifestata dal cliente, l’esonero da ogni responsabilità in ordine all’operazione da compiere”.

Pertanto nel caso di specie l’ordine telefonico impartito alla banca è valido anche in assenza di registrazione scritta.

La Cassazione ha stabilito, inoltre, che: “deve dunque escludersi che con tali disposizioni regolamentari si sia introdotto un mezzo esclusivo di prova dell’ordine conferito dal cliente” e di conseguenza non sia necessaria, in tale fattispecie, la sussistenza dei requisiti per la prova dettati dall’articolo 2725 del Codice Civile.

Infine “la valutazione circa l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e la valutazione circa la loro rispondenza ai requisiti di legge spetta – secondo la Corte – al giudice di merito – che peraltro nella specie l’ha fondata su molteplici elementi, non chiaramente enunciati nel motivo – ed è quindi insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione, la cui denuncia non risulta neppure dalla illustrazione del motivo, in effetti incentrata piuttosto sulla non utile prospettazione di una valutazione diversa da quella esposta nella sentenza impugnata”.

La Cassazione rigetta, quindi, il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese di giudizio in favore della controparte.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 15 gennaio 2016, n. 612)

L’ordine di negoziazione in borsa impartito dal cliente alla banca che lo ha ricevuto telefonicamente è valido anche in assenza di attestazione scritta e può essere provato in sede processuale attraverso presunzioni non sindacabili in sede di legittimità. È quanto ha deciso la Prima Sezione Civile della Cassazione, con sentenza depositata lo scorso quindici gennaio.

Nel caso di specie i ricorrenti avevano chiesto di accertare la responsabilità dell’istituto di credito con il quale avevano sottoscritto il c.d. contratto quadro per la negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta ordini aventi ad oggetto valori mobiliari, per le perdite subite dal portafoglio titoli in questione per inadempimento agli obblighi di informazione e per esecuzione di numerosissimi ordini di acquisto e vendita, a detta dei ricorrenti, mai conferiti.

A seguito del rigetto della domanda da parte del Tribunale di Genova, la Corte d’appello, in merito alla prova del conferimento degli ordini avvenuti per telefono, osservava che la mancata registrazione, da parte dell’intermediario, su supporto magnetico o di altro tipo, come previsto dal Regolamento Consob n. 11522 del 1998, non impediva il ricorso ad altri mezzi di prova, quali la testimonianza e le presunzioni, anche ove non fossero soddisfatte le condizioni previste dall’articolo 2725 del Codice Civile. I giudici non ritenevano, infatti, che la citata disciplina regolamentare avesse introdotto uno specifico requisito ad probationem del mandato in questione.

Alla base della decisione era infatti la presunzione che il ricorrente, definito soggetto tecnicamente qualificato in virtù della professione svolta, avesse impartito tutti gli ordini, e non solo alcuni, come dal medesimo preteso, relativi alle numerosissime operazioni documentate negli estratti conto regolarmente trasmessi, dal cui esame avrebbe dovuto immediatamente emergere il preteso straripamento di poteri commesso dalla banca in relazione a un così rilevante numero di operazioni.

Avverso la sentenza d’appello i ricorrenti agivano in Cassazione sostenendo l’obbligo da parte della banca di rilasciare un’annotazione scritta di ogni ordine ricevuto telefonicamente e di registrare gli ordini impartiti. Inoltre ponevano il quesito se fosse legittimo che la prova di detti ordini potesse essere data per mezzo di testimonianze e presunzioni.

Innanzitutto la Suprema Corte ha stabilito che l’attestazione prevista dal regolamento Consob sopra citato ha efficacia “solo per l’ipotesi, qui non ricorrente, di ordini rilasciati presso la sede legale della banca o le proprie dipendenze.”.

In secondo luogo ha ricordato che la prescrizione di forma è prevista dal Testo Unico della Finanza solo per la stipulazione del c.d. contratto-quadro relativo ai servizi di negoziazione e non per gli ordini conferiti dal cliente in attuazione di questo. Tale prescrizione, nella misura in cui si limita ad indicare agli intermediari una condotta da tenere in determinati casi, si pone come “uno strumento atto a garantire agli intermediari, mediante l’oggettivo ed immediato riscontro della volontà manifestata dal cliente, l’esonero da ogni responsabilità in ordine all’operazione da compiere”.

Pertanto nel caso di specie l’ordine telefonico impartito alla banca è valido anche in assenza di registrazione scritta.

La Cassazione ha stabilito, inoltre, che: “deve dunque escludersi che con tali disposizioni regolamentari si sia introdotto un mezzo esclusivo di prova dell’ordine conferito dal cliente” e di conseguenza non sia necessaria, in tale fattispecie, la sussistenza dei requisiti per la prova dettati dall’articolo 2725 del Codice Civile.

Infine “la valutazione circa l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e la valutazione circa la loro rispondenza ai requisiti di legge spetta – secondo la Corte – al giudice di merito – che peraltro nella specie l’ha fondata su molteplici elementi, non chiaramente enunciati nel motivo – ed è quindi insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione, la cui denuncia non risulta neppure dalla illustrazione del motivo, in effetti incentrata piuttosto sulla non utile prospettazione di una valutazione diversa da quella esposta nella sentenza impugnata”.

La Cassazione rigetta, quindi, il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese di giudizio in favore della controparte.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 15 gennaio 2016, n. 612)