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Calcio - Cassazione Penale: l’antigiuridicità del fallo e la scriminante dell’accettazione del rischio

La Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che la condotta del giocatore, che compie un fallo di gioco, non costituisce reato di lesioni personali colpose.

Nel caso di specie l’imputato, al novantatreesimo minuto di una partita di calcio, per interrompere l’azione avviata dal calciatore della squadra avversaria, sferrava con eccessiva violenza un calcio alla gamba di quest’ultimo, causandogli la frattura della tibia sinistra.

Il giudice di pace, così come confermato dal Tribunale, lo riteneva colpevole di aver cagionato delle lesioni personali colpose; tuttavia, in ultimo grado, la Cassazione ha ritenuto che il comportamento tenuto dal calciatore risulta meritevole di censura solo nell’ambito dell’ordinamento sportivo e, per quanto violento, “non sconfina dal perimetro coperto dalla scriminante atipica dell’accettazione del rischio”.

La Corte, infatti, ha aderito all’opinione più diffusa e convincente, secondo la quale per quanto riguarda gli eventi lesivi causati nel corso d’incontri sportivi e nel rispetto delle regole del gioco, opera la scriminante atipica dell’accettazione del rischio consentito e si deve escludere l’antigiuridicità e l’obbligo di risarcimento: “a) ove si tratti di atto posto in essere senza volontà lesiva e nel rispetto del regolamento e l’evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell’attività sportiva, che importa contatto fisico; b) ove, pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, debba constatarsi assenza della volontà di ledere l’avversario e il finalismo dell’azione correlato all’attività sportiva”.

La Corte inoltre ha sottolineato che la scriminante copre azioni dirette a ledere l’incolumità del competitore nelle discipline a violenza necessaria o indispensabile, tra le quali rientra anche il calcio, ma occorre anche il rispetto della regola della proporzionalità dell’ardore agonistico al rilievo della vicenda sportiva.

Secondo la Corte, il frangente di gioco particolarmente intenso in cui l’infortunio è maturato viene in rilievo per comprendere la proporzionalità dell’azione del giocatore e di conseguenza l’applicabilità della scriminante. L’atto era difatti manifestamente indirizzato ad interrompere l’azione di contropiede della squadra avversaria e non a cagionare un danno estraneo al finalismo dell’azione sportiva. Inoltre la violazione delle regole del gioco “costituisce evenienza preventivamente nota ed accettata dai competitori”, i quali, però, rimettono all’arbitro la decisione dell’antigiuridicità e non spetta al giudice interrogarsi sulla materia.

Accertato che la condotta del calciatore, per quanto mal calcolata, era proporzionale all’azione dell’avversario e diretta solamente a colpire il pallone, la Corte giustifica l’azione dell’appellante rilevando l’operare della scriminante, conclude statuendo l’insussistenza dell’antigiuridicità del fatto e annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 8 marzo 2016, n. 9559)

La Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che la condotta del giocatore, che compie un fallo di gioco, non costituisce reato di lesioni personali colpose.

Nel caso di specie l’imputato, al novantatreesimo minuto di una partita di calcio, per interrompere l’azione avviata dal calciatore della squadra avversaria, sferrava con eccessiva violenza un calcio alla gamba di quest’ultimo, causandogli la frattura della tibia sinistra.

Il giudice di pace, così come confermato dal Tribunale, lo riteneva colpevole di aver cagionato delle lesioni personali colpose; tuttavia, in ultimo grado, la Cassazione ha ritenuto che il comportamento tenuto dal calciatore risulta meritevole di censura solo nell’ambito dell’ordinamento sportivo e, per quanto violento, “non sconfina dal perimetro coperto dalla scriminante atipica dell’accettazione del rischio”.

La Corte, infatti, ha aderito all’opinione più diffusa e convincente, secondo la quale per quanto riguarda gli eventi lesivi causati nel corso d’incontri sportivi e nel rispetto delle regole del gioco, opera la scriminante atipica dell’accettazione del rischio consentito e si deve escludere l’antigiuridicità e l’obbligo di risarcimento: “a) ove si tratti di atto posto in essere senza volontà lesiva e nel rispetto del regolamento e l’evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell’attività sportiva, che importa contatto fisico; b) ove, pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, debba constatarsi assenza della volontà di ledere l’avversario e il finalismo dell’azione correlato all’attività sportiva”.

La Corte inoltre ha sottolineato che la scriminante copre azioni dirette a ledere l’incolumità del competitore nelle discipline a violenza necessaria o indispensabile, tra le quali rientra anche il calcio, ma occorre anche il rispetto della regola della proporzionalità dell’ardore agonistico al rilievo della vicenda sportiva.

Secondo la Corte, il frangente di gioco particolarmente intenso in cui l’infortunio è maturato viene in rilievo per comprendere la proporzionalità dell’azione del giocatore e di conseguenza l’applicabilità della scriminante. L’atto era difatti manifestamente indirizzato ad interrompere l’azione di contropiede della squadra avversaria e non a cagionare un danno estraneo al finalismo dell’azione sportiva. Inoltre la violazione delle regole del gioco “costituisce evenienza preventivamente nota ed accettata dai competitori”, i quali, però, rimettono all’arbitro la decisione dell’antigiuridicità e non spetta al giudice interrogarsi sulla materia.

Accertato che la condotta del calciatore, per quanto mal calcolata, era proporzionale all’azione dell’avversario e diretta solamente a colpire il pallone, la Corte giustifica l’azione dell’appellante rilevando l’operare della scriminante, conclude statuendo l’insussistenza dell’antigiuridicità del fatto e annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 8 marzo 2016, n. 9559)