x

x

Calunnia - Cassazione Penale: ingigantire i fatti costituisce calunnia

Con la sentenza in esame, la Cassazione ha ritenuto che ingigantire i fatti, pur nel contesto di una narrazione complessivamente veridica, integra gli estremi del reato di calunnia, confermando così quanto stabilito dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, che, pur avendo concesso all’imputato le attenuanti generiche, lo aveva condannato a un anno e quattro mesi di reclusione.

L’imputato è stato ritenuto colpevole di calunnia perché, nel corso di una narrazione complessivamente veridica, aveva riferito all’autorità giudiziaria dei fatti volutamente falsi integranti autonomi e distinti profili di responsabilità penale in capo a due Carabinieri dai quali aveva subito dei maltrattamenti. Egli, pur avendo effettivamente subito dei soprusi dai due militari, aveva dichiarato di aver subito, tra gli altri danni, anche una avulsione dell’incisivo superiore destro, il che gli avrebbe comportato una alterazione irreversibile dei tratti somatici (caratteristiche, queste, proprie dello sfregio permanente del viso ex articolo 583, commi 2 e 4 del codice penale). In realtà, tale lesione gli era derivata da una colluttazione con alcuni cittadini extracomunitari dovuta alla compravendita di sostanze stupefacenti. L’imputato, dunque, aveva volutamente e falsamente accusato i due Carabinieri di avergli procurato delle lesioni ulteriori rispetto a quelle effettivamente subite, accusandoli dunque di un ulteriore ed autonomo profilo di responsabilità penale, pur essendo consapevole che l’avulsione dell’incisivo gli era stata causata da altri.

Con il ricorso il difensore dell’imputato aveva denunciato un vizio di violazione di legge penale ex articolo 368 del codice penale, con conseguente vizio di motivazione. Il difensore riteneva che la Corte di merito, pur avendo giustamente tenuto in considerazione le lesioni riportate dall’imputato a seguito dei maltrattamenti subiti dai due militari, non avrebbe opportunamente tenuto conto del fatto che la falsa aggravante da lui denunciata non avrebbe comunque mutato la condotta effettivamente tenuta dai due accusati, e di conseguenza neppure una modifica giuridica del fatto.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato.

Infatti l’imputato, pur in presenza di un racconto veritiero, aveva volutamente denunciato un’aggravante che lui sapeva essere falsa, e aveva volutamente e consapevolmente denunciato una condotta diversa da quella tenuta dai due accusati.

La Corte ha infatti sottolineato che, anche in base alla precedente giurisprudenza, “sussiste il reato di calunnia anche quando il fatto, oggetto della falsa incolpazione, sia diverso e più grave di quello effettivamente commesso dalla persona incolpata, condizione che si verifica allorché la diversità, incidendo sull’essenza del fatto, riguardi modalità essenziali della sua realizzazione, che ne modifichino l’aspetto strutturale e incidano sulla sua maggiore gravità, ovvero sulla sua identificazione”. Nel caso di specie l’imputato non si è limitato ad enfatizzare il suo racconto, ma ha volutamente inserito delle dichiarazioni mendaci.

La Corte ha ritenuto inaccettabili le pretese della difesa, poiché la divergenza del racconto dell’imputato riguardava delle modalità essenziali della condotta, diverse da quelle che si sono effettivamente verificate. Ha seguito il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 9 marzo 2016, n. 9874)

Con la sentenza in esame, la Cassazione ha ritenuto che ingigantire i fatti, pur nel contesto di una narrazione complessivamente veridica, integra gli estremi del reato di calunnia, confermando così quanto stabilito dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, che, pur avendo concesso all’imputato le attenuanti generiche, lo aveva condannato a un anno e quattro mesi di reclusione.

L’imputato è stato ritenuto colpevole di calunnia perché, nel corso di una narrazione complessivamente veridica, aveva riferito all’autorità giudiziaria dei fatti volutamente falsi integranti autonomi e distinti profili di responsabilità penale in capo a due Carabinieri dai quali aveva subito dei maltrattamenti. Egli, pur avendo effettivamente subito dei soprusi dai due militari, aveva dichiarato di aver subito, tra gli altri danni, anche una avulsione dell’incisivo superiore destro, il che gli avrebbe comportato una alterazione irreversibile dei tratti somatici (caratteristiche, queste, proprie dello sfregio permanente del viso ex articolo 583, commi 2 e 4 del codice penale). In realtà, tale lesione gli era derivata da una colluttazione con alcuni cittadini extracomunitari dovuta alla compravendita di sostanze stupefacenti. L’imputato, dunque, aveva volutamente e falsamente accusato i due Carabinieri di avergli procurato delle lesioni ulteriori rispetto a quelle effettivamente subite, accusandoli dunque di un ulteriore ed autonomo profilo di responsabilità penale, pur essendo consapevole che l’avulsione dell’incisivo gli era stata causata da altri.

Con il ricorso il difensore dell’imputato aveva denunciato un vizio di violazione di legge penale ex articolo 368 del codice penale, con conseguente vizio di motivazione. Il difensore riteneva che la Corte di merito, pur avendo giustamente tenuto in considerazione le lesioni riportate dall’imputato a seguito dei maltrattamenti subiti dai due militari, non avrebbe opportunamente tenuto conto del fatto che la falsa aggravante da lui denunciata non avrebbe comunque mutato la condotta effettivamente tenuta dai due accusati, e di conseguenza neppure una modifica giuridica del fatto.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato.

Infatti l’imputato, pur in presenza di un racconto veritiero, aveva volutamente denunciato un’aggravante che lui sapeva essere falsa, e aveva volutamente e consapevolmente denunciato una condotta diversa da quella tenuta dai due accusati.

La Corte ha infatti sottolineato che, anche in base alla precedente giurisprudenza, “sussiste il reato di calunnia anche quando il fatto, oggetto della falsa incolpazione, sia diverso e più grave di quello effettivamente commesso dalla persona incolpata, condizione che si verifica allorché la diversità, incidendo sull’essenza del fatto, riguardi modalità essenziali della sua realizzazione, che ne modifichino l’aspetto strutturale e incidano sulla sua maggiore gravità, ovvero sulla sua identificazione”. Nel caso di specie l’imputato non si è limitato ad enfatizzare il suo racconto, ma ha volutamente inserito delle dichiarazioni mendaci.

La Corte ha ritenuto inaccettabili le pretese della difesa, poiché la divergenza del racconto dell’imputato riguardava delle modalità essenziali della condotta, diverse da quelle che si sono effettivamente verificate. Ha seguito il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 9 marzo 2016, n. 9874)