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Concorrenza - Corte di Giustizia UE: Toshiba condannata, colpevole di un “Gentlemen’s Agreement”

Abstract:

Toshiba è stata accusata di aver partecipato ad un accordo verbale (detto Gentlemen’s Agreement) tra i produttori di trasformatori europei e quelli giapponesi, allo scopo di imporre una separazione dei rispettivi mercati e un divieto di vendita incrociato tra le due aree geografiche. In base alla documentazione ottenuta dalla Commissione Europea, la condotta dell’azienda ha comportato, innanzitutto, la presunzione di illiceità dell’adesione perché avente ad oggetto attività anticoncorrenziale, in secondo luogo, l’impossibilità di applicare il criterio della “pubblica dissociazione” per non aver dimostrato che il suo intervento era privo di qualsiasi spirito contra legem.

 

La nota multinazionale Toshiba, operante nei settori dei prodotti digitali, elettronici e sistemi infrastrutturali è stata oggetto di una recente pronuncia della Corte di Giustizia che l’ha dichiarata colpevole per aver violato gli artt. 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue).

I fatti all’origine della controversia

Secondo la ricostruzione del Tribunale, prima, (causa T 519/09) e della Corte, poi, (causa C 373/14 P) nel periodo contestato - dal 1999 fino al 2003 - Toshiba ha operato, fino al Settembre 2002, tramite la controllata “Power System Co.”, per poi sostituirla nel medesimo ruolo con la “TM T&D”, un’impresa comune tra la Toshiba e la Mitsubishi Electric unitesi per la produzione dei trasformatori di potenza.

In quest’ultimo frangente avrebbe partecipato ad un accordo verbale (detto Gentlemen’s Agreement) tra i produttori di trasformatori europei e quelli giapponesi, allo scopo di imporre una separazione dei rispettivi mercati e un divieto di vendita incrociato tra le due aree geografiche. L’accordo, inoltre, prevedeva che ogni zona avrebbe dovuto eleggere un’impresa segretaria che, in comunicazione con l’altra, aveva il preciso compito di riassegnare le gare di appalto provenienti dal settore opposto.

Al termine del primo grado di giudizio il Tribunale dell’Unione europea riconosceva ufficialmente, nella condotta, una restrizione per oggetto vietata ex art. 81 (ora 101 Tfue) e condannava Toshiba, che decideva di presentare ricorso presso la Corte di Giustizia.

Le contestazioni di Toshiba e le risposte della Corte di Giustizia

Il primo motivo di doglianza atteneva proprio a tale valutazione, in quanto le autorità giudiziarie avrebbero esaminato soltanto i fatti in sé per sé, senza considerare l’effettivo peso economico che il Gentlemen’s Agreement avrebbe avuto sul mercato.

Ma in base all’art. 101 del Trattato: “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese […] che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno”. Ciò si traduce nella situazione per cui se la natura dell’operazione posta in essere (vale a dire il tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca) è già indicativa del carattere anticoncorrenziale, non è necessario procedere alla verifica sugli effetti.

Secondo i Giudici, si riscontrava persino un caso di concorrenza potenziale in quanto le barriere poste all’entrata del mercato non erano insormontabili, a dimostrazione di questo, Hitachi aveva, infatti, accettato una serie di progetti provenienti da clienti europei.

Il secondo punto contestato riguardava la natura della lettera che proprio Hitachi aveva scambiato con Toshiba e dalla quale la Commissione Europea, all’epoca delle indagini, aveva desunto la colpevolezza.

Nonostante la ricorrente cercasse di convincere la Corte che aveva “snaturato” le parole in essa contenute, i Giudici non hanno avuto dubbi sul loro reale significato. Il messaggio era chiaro: Hitachi accettava «le conclusioni [della Commissione] sull’esistenza e sulla portata del gentlemen’s agreement come presentate nella comunicazione degli addebiti».

In base alla documentazione ottenuta dalla Commissione Europea, Toshiba aveva partecipato alla riunione di Vienna ma aveva anche espresso dei dubbi sulla sua presenza a quella di Zurigo. Questo, però, non era sufficiente a scagionarla dalle accuse in quanto non aveva mai reso ufficiale, con alcun tipo di comunicazione, l’abbandono dell’accordo verbale.

Tutto ciò ha determinato, innanzitutto, la presunzione di illiceità dell’adesione perché avente ad oggetto attività anticoncorrenziale, in secondo luogo, l’azienda giapponese non si era mai manifestamente opposta agli accordi illeciti e per evocare, a sua discolpa, il criterio della “pubblica dissociazione” avrebbe dovuto anche dimostrare che il suo intervento era privo di qualsiasi spirito contra legem.

Il criterio suddetto, si ricorda, è una situazione di fatto “la cui sussistenza viene riscontrata […] caso per caso, tenendo conto di una serie di coincidenze e di indizi ad esso sottoposti e in esito ad una valutazione globale di tutte le prove e degli indizi pertinenti”. Elementi valutati, in concreto, da ben due gradi di giudizio, concordi nel ritenerli chiara espressione di atteggiamenti che alteravano il gioco della concorrenza nel mercato comunitario.

In virtù di quanto sopra esaminato ed esposto i Giudici della Corte, nella causa C 373/14 P, hanno respinto integralmente i motivi di Toshiba, ritenuti insufficienti a sostenere le proprie ragioni, condannandola per le azioni illecite compiute e a sostenere anche tutte le spese del giudizio intrapreso.

(Corte di Giustizia dell’Unione europea – Sezione Seconda, Sentenza del 20 gennaio 2016 nella Causa C-373/14 P: Toshiba Corporation contro Commissione europea. Impugnazione – Concorrenza – Intese – Articolo 101, paragrafo 1, TFUE – Mercato dei trasformatori di potenza – Accordo verbale di ripartizione dei mercati (“Gentlemen’s Agreement”) – Restrizione della concorrenza “per oggetto” – Barriere all’entrata – Presunzione di partecipazione ad un’intesa illecita – Ammende – Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende (2006) – Punto 18).

http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62014CJ0373&lang1=it&type=TXT&ancre=

Sentenza della Corte di Giustizia - causa C‑373/14 P: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=173626&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=731448

Abstract:

Toshiba è stata accusata di aver partecipato ad un accordo verbale (detto Gentlemen’s Agreement) tra i produttori di trasformatori europei e quelli giapponesi, allo scopo di imporre una separazione dei rispettivi mercati e un divieto di vendita incrociato tra le due aree geografiche. In base alla documentazione ottenuta dalla Commissione Europea, la condotta dell’azienda ha comportato, innanzitutto, la presunzione di illiceità dell’adesione perché avente ad oggetto attività anticoncorrenziale, in secondo luogo, l’impossibilità di applicare il criterio della “pubblica dissociazione” per non aver dimostrato che il suo intervento era privo di qualsiasi spirito contra legem.

 

La nota multinazionale Toshiba, operante nei settori dei prodotti digitali, elettronici e sistemi infrastrutturali è stata oggetto di una recente pronuncia della Corte di Giustizia che l’ha dichiarata colpevole per aver violato gli artt. 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue).

I fatti all’origine della controversia

Secondo la ricostruzione del Tribunale, prima, (causa T 519/09) e della Corte, poi, (causa C 373/14 P) nel periodo contestato - dal 1999 fino al 2003 - Toshiba ha operato, fino al Settembre 2002, tramite la controllata “Power System Co.”, per poi sostituirla nel medesimo ruolo con la “TM T&D”, un’impresa comune tra la Toshiba e la Mitsubishi Electric unitesi per la produzione dei trasformatori di potenza.

In quest’ultimo frangente avrebbe partecipato ad un accordo verbale (detto Gentlemen’s Agreement) tra i produttori di trasformatori europei e quelli giapponesi, allo scopo di imporre una separazione dei rispettivi mercati e un divieto di vendita incrociato tra le due aree geografiche. L’accordo, inoltre, prevedeva che ogni zona avrebbe dovuto eleggere un’impresa segretaria che, in comunicazione con l’altra, aveva il preciso compito di riassegnare le gare di appalto provenienti dal settore opposto.

Al termine del primo grado di giudizio il Tribunale dell’Unione europea riconosceva ufficialmente, nella condotta, una restrizione per oggetto vietata ex art. 81 (ora 101 Tfue) e condannava Toshiba, che decideva di presentare ricorso presso la Corte di Giustizia.

Le contestazioni di Toshiba e le risposte della Corte di Giustizia

Il primo motivo di doglianza atteneva proprio a tale valutazione, in quanto le autorità giudiziarie avrebbero esaminato soltanto i fatti in sé per sé, senza considerare l’effettivo peso economico che il Gentlemen’s Agreement avrebbe avuto sul mercato.

Ma in base all’art. 101 del Trattato: “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese […] che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno”. Ciò si traduce nella situazione per cui se la natura dell’operazione posta in essere (vale a dire il tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca) è già indicativa del carattere anticoncorrenziale, non è necessario procedere alla verifica sugli effetti.

Secondo i Giudici, si riscontrava persino un caso di concorrenza potenziale in quanto le barriere poste all’entrata del mercato non erano insormontabili, a dimostrazione di questo, Hitachi aveva, infatti, accettato una serie di progetti provenienti da clienti europei.

Il secondo punto contestato riguardava la natura della lettera che proprio Hitachi aveva scambiato con Toshiba e dalla quale la Commissione Europea, all’epoca delle indagini, aveva desunto la colpevolezza.

Nonostante la ricorrente cercasse di convincere la Corte che aveva “snaturato” le parole in essa contenute, i Giudici non hanno avuto dubbi sul loro reale significato. Il messaggio era chiaro: Hitachi accettava «le conclusioni [della Commissione] sull’esistenza e sulla portata del gentlemen’s agreement come presentate nella comunicazione degli addebiti».

In base alla documentazione ottenuta dalla Commissione Europea, Toshiba aveva partecipato alla riunione di Vienna ma aveva anche espresso dei dubbi sulla sua presenza a quella di Zurigo. Questo, però, non era sufficiente a scagionarla dalle accuse in quanto non aveva mai reso ufficiale, con alcun tipo di comunicazione, l’abbandono dell’accordo verbale.

Tutto ciò ha determinato, innanzitutto, la presunzione di illiceità dell’adesione perché avente ad oggetto attività anticoncorrenziale, in secondo luogo, l’azienda giapponese non si era mai manifestamente opposta agli accordi illeciti e per evocare, a sua discolpa, il criterio della “pubblica dissociazione” avrebbe dovuto anche dimostrare che il suo intervento era privo di qualsiasi spirito contra legem.

Il criterio suddetto, si ricorda, è una situazione di fatto “la cui sussistenza viene riscontrata […] caso per caso, tenendo conto di una serie di coincidenze e di indizi ad esso sottoposti e in esito ad una valutazione globale di tutte le prove e degli indizi pertinenti”. Elementi valutati, in concreto, da ben due gradi di giudizio, concordi nel ritenerli chiara espressione di atteggiamenti che alteravano il gioco della concorrenza nel mercato comunitario.

In virtù di quanto sopra esaminato ed esposto i Giudici della Corte, nella causa C 373/14 P, hanno respinto integralmente i motivi di Toshiba, ritenuti insufficienti a sostenere le proprie ragioni, condannandola per le azioni illecite compiute e a sostenere anche tutte le spese del giudizio intrapreso.

(Corte di Giustizia dell’Unione europea – Sezione Seconda, Sentenza del 20 gennaio 2016 nella Causa C-373/14 P: Toshiba Corporation contro Commissione europea. Impugnazione – Concorrenza – Intese – Articolo 101, paragrafo 1, TFUE – Mercato dei trasformatori di potenza – Accordo verbale di ripartizione dei mercati (“Gentlemen’s Agreement”) – Restrizione della concorrenza “per oggetto” – Barriere all’entrata – Presunzione di partecipazione ad un’intesa illecita – Ammende – Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende (2006) – Punto 18).

http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62014CJ0373&lang1=it&type=TXT&ancre=

Sentenza della Corte di Giustizia - causa C‑373/14 P: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=173626&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=731448