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Droga - Cassazione penale: coltivare un’unica piantina di marijuana sul balcone della propria abitazione non costituisce reato

Droga - Cassazione penale: coltivare un’unica piantina di marijuana sul balcone della propria abitazione non costituisce reato
Droga - Cassazione penale: coltivare un’unica piantina di marijuana sul balcone della propria abitazione non costituisce reato

Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione si esprime in ordine al reato di coltivazione di sostanze stupefacenti e afferma che la coltivazione di un’unica piantina di marijuana, curata in vaso e posizionata sul balcone dell’abitazione non costituisce reato.

La piantina di canapa indiana

La vicenda riguarda la coltivazione di una sola piantina di canapa indiana detenuta in balcone con principio attivo di THC pari al 1,8%. 

Il Tribunale di Siracusa ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di coltivazione di stupefacenti in quanto ha ritenuto che la percentuale di principio attivo ricavabile dalla pianta consenta ragionevolmente di apprezzare un uso personale della sostanza.

Inoltre il Tribunale ha escluso il pericolo di una possibile diffusione o ampliamento della coltivazione in questione.

Avverso la suddetta pronuncia propone ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa contestando violazione di legge penale in relazione agli articoli 425-428 del Codice di procedura penale.

La pubblica accusa sostiene l’irrilevanza della quantità di principio attivo ai fini della consumazione del reato in quanto ritiene sufficiente per riscontrare l’offensività della condotta che la pianta oggetto di coltivazione sia conforme al tipo botanico vietato dalla legge e abbia l’attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.

L’esclusione di punibilità

La Corte di Cassazione, in seguito al ricorso, ha affermato la possibilità di escludere la punibilità  per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti solo qualora il giudice accerti in concreto l’inoffensività della condotta che deve essere tale da rendere irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e il conseguente pericolo di diffusione di essa.

La Corte, quindi, esclude che rilevi ai fini dell’offensività della condotta e della conseguente punibilità la sola percentuale di principio attivo ricavabile dalla singola pianta in quanto è necessario valutare se l’estensione  e il livello di strutturazione della coltivazione sia tale da costituire una potenziale fonte di incremento del mercato vietato.

Nella fattispecie in esame la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso concreto, non possano rilevarsi gli estremi integrativi della punibilità e dell’offensività della condotta di reato di coltivazione di sostanze stupefacenti in quanto dalla coltivazione di un’unica pianta di canapa indiana , curata in vaso e posizionata su un terrazzo di abitazione collocata in contesto urbano non può derivare l’aumento nella disponibilità della sostanza stupefacente e del pericolo di ulteriore diffusione della stessa.

Pertanto la Corte ritiene infondato il motivo di ricorso e rigetta e il ricorso.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 16 febbraio 2016, n. 40030)

Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione si esprime in ordine al reato di coltivazione di sostanze stupefacenti e afferma che la coltivazione di un’unica piantina di marijuana, curata in vaso e posizionata sul balcone dell’abitazione non costituisce reato.

La piantina di canapa indiana

La vicenda riguarda la coltivazione di una sola piantina di canapa indiana detenuta in balcone con principio attivo di THC pari al 1,8%. 

Il Tribunale di Siracusa ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di coltivazione di stupefacenti in quanto ha ritenuto che la percentuale di principio attivo ricavabile dalla pianta consenta ragionevolmente di apprezzare un uso personale della sostanza.

Inoltre il Tribunale ha escluso il pericolo di una possibile diffusione o ampliamento della coltivazione in questione.

Avverso la suddetta pronuncia propone ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa contestando violazione di legge penale in relazione agli articoli 425-428 del Codice di procedura penale.

La pubblica accusa sostiene l’irrilevanza della quantità di principio attivo ai fini della consumazione del reato in quanto ritiene sufficiente per riscontrare l’offensività della condotta che la pianta oggetto di coltivazione sia conforme al tipo botanico vietato dalla legge e abbia l’attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.

L’esclusione di punibilità

La Corte di Cassazione, in seguito al ricorso, ha affermato la possibilità di escludere la punibilità  per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti solo qualora il giudice accerti in concreto l’inoffensività della condotta che deve essere tale da rendere irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e il conseguente pericolo di diffusione di essa.

La Corte, quindi, esclude che rilevi ai fini dell’offensività della condotta e della conseguente punibilità la sola percentuale di principio attivo ricavabile dalla singola pianta in quanto è necessario valutare se l’estensione  e il livello di strutturazione della coltivazione sia tale da costituire una potenziale fonte di incremento del mercato vietato.

Nella fattispecie in esame la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso concreto, non possano rilevarsi gli estremi integrativi della punibilità e dell’offensività della condotta di reato di coltivazione di sostanze stupefacenti in quanto dalla coltivazione di un’unica pianta di canapa indiana , curata in vaso e posizionata su un terrazzo di abitazione collocata in contesto urbano non può derivare l’aumento nella disponibilità della sostanza stupefacente e del pericolo di ulteriore diffusione della stessa.

Pertanto la Corte ritiene infondato il motivo di ricorso e rigetta e il ricorso.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 16 febbraio 2016, n. 40030)