x

x

Fallimento - Tribunale di Milano: il mancato pagamento dei debiti non conduce necessariamente alla sussistenza di uno stato d’insolvenza

Il Tribunale di Milano ha chiarito che, per quanto riguarda il giudizio di responsabilità degli amministratori, il mancato pagamento di debiti sociali non conduce, di per sé, ad uno stato d’insolvenza.

Questo perché la permanenza dei suddetti debiti per più esercizi può anche essere causata dall’inerzia dei creditori e dunque essere bilanciata da poste attive. Inoltre il Tribunale reputa la condotta illegale degli amministratori come idoneo presupposto al fine di disporre un’integrale compensazione delle spese processuali e ciò nonostante le azioni si siano risolte in un danno di natura non patrimoniale.

Il caso in questione riguardava l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del Fallimento della società alfa nei confronti degli amministratori e sindaci che si erano susseguiti nelle cariche dal 2001 al fallimento. Secondo l’articolo 2392 comma 1 del Codice Civile, infatti, “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori”.

La società era insolvente dal 2001 cosicché gli amministratori avrebbero dovuto portare il libro giornale in tribunale già nel 2002; ma al contrario venne creato un credito inesistente verso Delta per occultare la perdita di capitale. Inoltre la stessa assemblea dei soci deliberò un aumento di capitale interamente sottoscritto dalla società inglese Beta, che il curatore aveva successivamente definito priva di patrimonio effettivo.

Il Fallimento, durante tutta la controversia, si era sempre limitato ad affermare che lo stato d’insolvenza dovesse essere ricavato dal fatto dell’omesso pagamento dei debiti risalenti anche ad esercizi precedenti. Va infatti osservato come il mancato pagamento dei debiti, se preso in esame singolarmente, non conduca alla sussistenza dello stato d’insolvenza. Affinché ciò avvenga il Fallimento dovrebbe provare e dedurre gli elementi di contesto che potrebbero attribuire un significato univoco di dissesto irreversibile e questo perché l’esistenza dei debiti per più esercizi potrebbe derivare anche dai creditori oltreché essere bilanciata da poste attive.

Per quanto concerne la questione relativa all’aumento di capitale da parte della società Beta, il Fallimento aveva esposto che essa avesse un patrimonio netto negativo e lo stesso Tribunale definì l’aumento di capitale come fittizio reputando la condotta concernente il fittizio aumento di capitale come idoneo presupposto per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite. Tutto ciò in accordo con l’articolo 92 del Codice di Procedura Civile, a norma del quale: “il giudice […] può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che […] essa ha causato all’altra parte”.

Il Tribunale infine respinge tutte le domande del Fallimento, dichiara compensate le spese di lite e condanna il Fallimento al rimborso delle spese processuali sostenute dalle altri parti costituite.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito Giurisprudenza delle imprese.

(Tribunale di Milano - Sezione specializzata in materia d’impresa, Sentenza 9 novembre 2015, n. 12523)

Il Tribunale di Milano ha chiarito che, per quanto riguarda il giudizio di responsabilità degli amministratori, il mancato pagamento di debiti sociali non conduce, di per sé, ad uno stato d’insolvenza.

Questo perché la permanenza dei suddetti debiti per più esercizi può anche essere causata dall’inerzia dei creditori e dunque essere bilanciata da poste attive. Inoltre il Tribunale reputa la condotta illegale degli amministratori come idoneo presupposto al fine di disporre un’integrale compensazione delle spese processuali e ciò nonostante le azioni si siano risolte in un danno di natura non patrimoniale.

Il caso in questione riguardava l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del Fallimento della società alfa nei confronti degli amministratori e sindaci che si erano susseguiti nelle cariche dal 2001 al fallimento. Secondo l’articolo 2392 comma 1 del Codice Civile, infatti, “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori”.

La società era insolvente dal 2001 cosicché gli amministratori avrebbero dovuto portare il libro giornale in tribunale già nel 2002; ma al contrario venne creato un credito inesistente verso Delta per occultare la perdita di capitale. Inoltre la stessa assemblea dei soci deliberò un aumento di capitale interamente sottoscritto dalla società inglese Beta, che il curatore aveva successivamente definito priva di patrimonio effettivo.

Il Fallimento, durante tutta la controversia, si era sempre limitato ad affermare che lo stato d’insolvenza dovesse essere ricavato dal fatto dell’omesso pagamento dei debiti risalenti anche ad esercizi precedenti. Va infatti osservato come il mancato pagamento dei debiti, se preso in esame singolarmente, non conduca alla sussistenza dello stato d’insolvenza. Affinché ciò avvenga il Fallimento dovrebbe provare e dedurre gli elementi di contesto che potrebbero attribuire un significato univoco di dissesto irreversibile e questo perché l’esistenza dei debiti per più esercizi potrebbe derivare anche dai creditori oltreché essere bilanciata da poste attive.

Per quanto concerne la questione relativa all’aumento di capitale da parte della società Beta, il Fallimento aveva esposto che essa avesse un patrimonio netto negativo e lo stesso Tribunale definì l’aumento di capitale come fittizio reputando la condotta concernente il fittizio aumento di capitale come idoneo presupposto per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite. Tutto ciò in accordo con l’articolo 92 del Codice di Procedura Civile, a norma del quale: “il giudice […] può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che […] essa ha causato all’altra parte”.

Il Tribunale infine respinge tutte le domande del Fallimento, dichiara compensate le spese di lite e condanna il Fallimento al rimborso delle spese processuali sostenute dalle altri parti costituite.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito Giurisprudenza delle imprese.

(Tribunale di Milano - Sezione specializzata in materia d’impresa, Sentenza 9 novembre 2015, n. 12523)