x

x

Immagine - Cassazione Civile: l’utilizzo dell’immagine per scopi pubblicitari richiede sempre il consenso dell’interessato

In tema di sfruttamento commerciale dell’immagine, la divulgazione dell’immagine senza il consenso [della persona interessata] è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione, non anche, pertanto, ove sia rivolta a fini pubblicitari. Così si è espressa la prima sezione civile della Corte di Cassazione.

Nel caso in esame, la Suprema Corte era chiamata a statuire sul ricorso proposto da una signora  avverso la sentenza resa dal Tribunale di Bologna, avente ad oggetto l’utilizzo di immagini che la ritraevano per scopi pubblicitari da parte di una società, non corredato dal consenso della ricorrente. Il Tribunale di Bologna aveva ritenuto che l’uso delle immagini della ricorrente ad opera della società non fosse abusivo, data l’esistenza di un contratto stipulato con una società pubblicitaria austriaca. La quale ultima, a parere del giudice di primo grado, avrebbe avuto “la possibilità di cedere l’immagine anche a terzi”.

In seguito ad un primo ricorso in appello, dichiarato inammissibile, la ricorrente si era rivolta alla Corte di ultima istanza lamentando che non era stata considerata la revoca del consenso alla diffusione della propria immagine rivolta alla società austriaca con recesso dal relativo contratto (che non recava, tra l’altro, l’indicazione di un termine di scadenza).

Nell’affrontare la questione, la Corte ha innanzitutto osservato che, secondo la Legge n. 663/1941 sul diritto d’autore, la divulgazione dell’immagine necessita sempre del consenso dell’avente diritto qualora essa avvenga per scopi pubblicitari. In tal senso si è espressa anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui: “la nozione di ‘vita privata’ è una nozione ampia, non soggetta a una definizione esaustiva, che comprende l’integrità fisica e morale della persona e può, quindi, includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo, come il nome o elementi che si riferiscono al diritto all’immagine. Tale nozione ricomprende, dunque, tutte le informazioni personali che un individuo può legittimamente aspettarsi non vengano pubblicate senza il suo consenso. […] La pubblicazione di una o più foto, pertanto, in quanto invade la vita privata di una determinata persona, anche se si tratta di un soggetto pubblico, non può essere effettuata senza il consenso della persona medesima”.

Pertanto, continua la Corte, essendo il consenso di cui si tratta un negozio unilaterale che non ha ad oggetto il diritto – “personalissimo ed inalienabile” - all’immagine, ma l’esercizio di tale diritto, quest’ultimo, infatti, resta autonomo e distinto dalla pattuizione in cui è contenuto ed è sempre revocabile “quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita”.

I Giudici del Palazzaccio sottolineano, poi, che la resistente non è stata in grado di fornire la documentazione relativa ai contratti di cessione che avrebbero dimostrato l’avvenuto acquisto del diritto all’uso delle immagini in questione.

Fatte queste considerazioni, la Corte di Cassazione rileva  che “è del tutto evidente che l’atto autorizzativo alla diffusione dell’immagine della ricorrente, quand’anche - in via di mera ipotesi - fosse da considerarsi ancora valido ed efficace, non potrebbe comunque legittimare l’utilizzazione del ritratto e delle fotografie da parte della società, essendo quest’ultima terza rispetto a tale pattuizione.”

(Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, Sentenza 29 gennaio 2016, n. 1748)

In tema di sfruttamento commerciale dell’immagine, la divulgazione dell’immagine senza il consenso [della persona interessata] è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione, non anche, pertanto, ove sia rivolta a fini pubblicitari. Così si è espressa la prima sezione civile della Corte di Cassazione.

Nel caso in esame, la Suprema Corte era chiamata a statuire sul ricorso proposto da una signora  avverso la sentenza resa dal Tribunale di Bologna, avente ad oggetto l’utilizzo di immagini che la ritraevano per scopi pubblicitari da parte di una società, non corredato dal consenso della ricorrente. Il Tribunale di Bologna aveva ritenuto che l’uso delle immagini della ricorrente ad opera della società non fosse abusivo, data l’esistenza di un contratto stipulato con una società pubblicitaria austriaca. La quale ultima, a parere del giudice di primo grado, avrebbe avuto “la possibilità di cedere l’immagine anche a terzi”.

In seguito ad un primo ricorso in appello, dichiarato inammissibile, la ricorrente si era rivolta alla Corte di ultima istanza lamentando che non era stata considerata la revoca del consenso alla diffusione della propria immagine rivolta alla società austriaca con recesso dal relativo contratto (che non recava, tra l’altro, l’indicazione di un termine di scadenza).

Nell’affrontare la questione, la Corte ha innanzitutto osservato che, secondo la Legge n. 663/1941 sul diritto d’autore, la divulgazione dell’immagine necessita sempre del consenso dell’avente diritto qualora essa avvenga per scopi pubblicitari. In tal senso si è espressa anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui: “la nozione di ‘vita privata’ è una nozione ampia, non soggetta a una definizione esaustiva, che comprende l’integrità fisica e morale della persona e può, quindi, includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo, come il nome o elementi che si riferiscono al diritto all’immagine. Tale nozione ricomprende, dunque, tutte le informazioni personali che un individuo può legittimamente aspettarsi non vengano pubblicate senza il suo consenso. […] La pubblicazione di una o più foto, pertanto, in quanto invade la vita privata di una determinata persona, anche se si tratta di un soggetto pubblico, non può essere effettuata senza il consenso della persona medesima”.

Pertanto, continua la Corte, essendo il consenso di cui si tratta un negozio unilaterale che non ha ad oggetto il diritto – “personalissimo ed inalienabile” - all’immagine, ma l’esercizio di tale diritto, quest’ultimo, infatti, resta autonomo e distinto dalla pattuizione in cui è contenuto ed è sempre revocabile “quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita”.

I Giudici del Palazzaccio sottolineano, poi, che la resistente non è stata in grado di fornire la documentazione relativa ai contratti di cessione che avrebbero dimostrato l’avvenuto acquisto del diritto all’uso delle immagini in questione.

Fatte queste considerazioni, la Corte di Cassazione rileva  che “è del tutto evidente che l’atto autorizzativo alla diffusione dell’immagine della ricorrente, quand’anche - in via di mera ipotesi - fosse da considerarsi ancora valido ed efficace, non potrebbe comunque legittimare l’utilizzazione del ritratto e delle fotografie da parte della società, essendo quest’ultima terza rispetto a tale pattuizione.”

(Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, Sentenza 29 gennaio 2016, n. 1748)