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Intercettazioni - Cassazione Penale: le videoriprese nei locali di un’azienda non sono assimilabili alle intercettazioni

Pienza 2016
Ph. Alessandro Saggio / Pienza 2016

La Corte di Cassazione ha affermato che le videoriprese disposte dal Pubblico Ministero ed eseguite all’interno del deposito di un’azienda municipalizzata costituiscono prove “atipiche” alle quali, quindi, non si applica la disciplina delle intercettazioni ambientali di cui all’articolo 266 comma 2 del Codice di procedura penale.

Nel caso in esame, il Tribunale distrettuale di Palermo ha respinto l’istanza di riesame proposta da un dipendente di una società partecipata dal Comune di Palermo avverso il provvedimento impositivo della misura cautelare degli arresti domiciliari emesso nei suoi confronti nell’aprile del 2015 dal g.i.p. del Tribunale di Palermo per il delitto di concorso in peculato continuato.

Il dipendente, ha affermato il Tribunale, si era impossessato a più riprese, nella sua veste di incaricato di un pubblico servizio, in concorso con terzi e con altri dipendenti della società municipalizzata, di beni appartenenti alla società.

I giudici del riesame hanno valutato inequivoci gli elementi probatori delineatisi nei confronti del dipendente autista polifunzionale della società comunale e responsabile di fatto delle colonnine di rifornimento dell’impianto di carburante per gli automezzi aziendali. Elementi desumibili dalle mirate operazioni di osservazione diretta predisposte dalla polizia giudiziaria unitamente a ripetuti servizi di videoripresa effettuati nell’area del deposito della società nonché di intercettazione fonica, che hanno permesso di individuare molteplici episodi criminosi di sottrazione di carburante commessi dal dipendente e da più coindagati.

Avverso la decisione del riesame cautelare ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del dipendente che ha dedotto i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione per avere il Tribunale ritenuto valida la misura cautelare basata sui brogliacci delle operazioni di osservazione, nonostante la mancata trasmissione da parte del p.m. delle videoriprese eseguite all’interno dell’azienda.

La decisione della Corte di legittimità muove, anzitutto, dalla premessa della piena utilizzabilità a fini cautelari dei brogliacci delle operazioni di polizia giudiziaria e delle informative sulla cui base il gip ha emesso la misura cautelare.

I decidenti, quindi, escludono che le videoriprese autorizzate dal p.m. in sede di indagini ed eseguite all’interno del deposito dell’azienda richiedessero l’applicazione della disciplina delle intercettazioni tra presenti e, in particolare, il provvedimento di autorizzazione da parte del Giudice per le Indagini Preliminari.

Per quanto riguarda la “qualificazione” dell’area aziendale dove sono state attivate le videoriprese, la Cassazione ha affermato la correttezza degli argomenti con i quali il Tribunale del riesame ha escluso che possa considerarsi come “domicilio” il luogo interno all’azienda municipalizzata dove sono state attivate le videoriprese. In linea ad altre pronunce la Cassazione ha affermato che: affinché un “ufficio” possa ritenersi coperto dalla garanzia del “domicilio” ai sensi dell’articolo 614 del codice penale occorre che sia “la sede di lavoro propria del singolo soggetto titolare di un autonomo potere di permanervi e di precludere l’ingresso ad altri contro la sua volontà” (Cassazione, Prima Sezione, 13 maggio 2010, n. 24161).

Pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato l’impugnazione ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 14 dicembre 2015, n. 49286)

La Corte di Cassazione ha affermato che le videoriprese disposte dal Pubblico Ministero ed eseguite all’interno del deposito di un’azienda municipalizzata costituiscono prove “atipiche” alle quali, quindi, non si applica la disciplina delle intercettazioni ambientali di cui all’articolo 266 comma 2 del Codice di procedura penale.

Nel caso in esame, il Tribunale distrettuale di Palermo ha respinto l’istanza di riesame proposta da un dipendente di una società partecipata dal Comune di Palermo avverso il provvedimento impositivo della misura cautelare degli arresti domiciliari emesso nei suoi confronti nell’aprile del 2015 dal g.i.p. del Tribunale di Palermo per il delitto di concorso in peculato continuato.

Il dipendente, ha affermato il Tribunale, si era impossessato a più riprese, nella sua veste di incaricato di un pubblico servizio, in concorso con terzi e con altri dipendenti della società municipalizzata, di beni appartenenti alla società.

I giudici del riesame hanno valutato inequivoci gli elementi probatori delineatisi nei confronti del dipendente autista polifunzionale della società comunale e responsabile di fatto delle colonnine di rifornimento dell’impianto di carburante per gli automezzi aziendali. Elementi desumibili dalle mirate operazioni di osservazione diretta predisposte dalla polizia giudiziaria unitamente a ripetuti servizi di videoripresa effettuati nell’area del deposito della società nonché di intercettazione fonica, che hanno permesso di individuare molteplici episodi criminosi di sottrazione di carburante commessi dal dipendente e da più coindagati.

Avverso la decisione del riesame cautelare ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del dipendente che ha dedotto i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione per avere il Tribunale ritenuto valida la misura cautelare basata sui brogliacci delle operazioni di osservazione, nonostante la mancata trasmissione da parte del p.m. delle videoriprese eseguite all’interno dell’azienda.

La decisione della Corte di legittimità muove, anzitutto, dalla premessa della piena utilizzabilità a fini cautelari dei brogliacci delle operazioni di polizia giudiziaria e delle informative sulla cui base il gip ha emesso la misura cautelare.

I decidenti, quindi, escludono che le videoriprese autorizzate dal p.m. in sede di indagini ed eseguite all’interno del deposito dell’azienda richiedessero l’applicazione della disciplina delle intercettazioni tra presenti e, in particolare, il provvedimento di autorizzazione da parte del Giudice per le Indagini Preliminari.

Per quanto riguarda la “qualificazione” dell’area aziendale dove sono state attivate le videoriprese, la Cassazione ha affermato la correttezza degli argomenti con i quali il Tribunale del riesame ha escluso che possa considerarsi come “domicilio” il luogo interno all’azienda municipalizzata dove sono state attivate le videoriprese. In linea ad altre pronunce la Cassazione ha affermato che: affinché un “ufficio” possa ritenersi coperto dalla garanzia del “domicilio” ai sensi dell’articolo 614 del codice penale occorre che sia “la sede di lavoro propria del singolo soggetto titolare di un autonomo potere di permanervi e di precludere l’ingresso ad altri contro la sua volontà” (Cassazione, Prima Sezione, 13 maggio 2010, n. 24161).

Pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato l’impugnazione ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 14 dicembre 2015, n. 49286)