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Licenziamento - Cassazione Lavoro: se manca l’analisi del grado di colpa, il licenziamento per giusta causa è in discussione

Fondamento delle relazioni umane, la fiducia rappresenta un elemento cruciale all’interno di un rapporto di lavoro, tanto che il venir meno del legame fiduciario fra le parti integra una delle fattispecie di giustificazione del licenziamento per giusta causa.

L’articolo 2119 Codice Civile definisce la giusta causa in quel comportamento così grave da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto, da consentire sia al datore che al lavoratore di interrompere immediatamente il rapporto di lavoro, senza che sia necessario attendere il decorso del periodo di preavviso.

Limitando la nostra attenzione al solo licenziamento per giusta causa (possono altresì esserci le dimissioni per giusta causa), notiamo che la sostanziale differenza con il giustificato motivo soggettivo è da rinvenire nella gravità della condotta: anche nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo è un comportamento del lavoratore a giustificare l’interruzione del rapporto di lavoro, ma la condotta non è così grave da interrompere immediatamente il rapporto. Ai sensi dell’articolo 3 della Legge 604 del 1966, infatti, il lavoratore che compia “un notevole inadempimento” può essere licenziato, ma ha diritto al preavviso.

Rimanendo al tema centrale della sentenza in esame, possiamo includere fra le condotte così gravi da integrare il recesso per giusta causa (articolo 2119 Codice Civile) la motivazione non veritiera che il dipendente utilizza per giustificare il suo ritardo nell’inizio dell’attività lavorativa? In altre parole, giustificare la propria assenza con una “menzogna” può essere una causa idonea a interrompere il rapporto di fiducia che c’è fra il lavoratore e il datore?

Secondo la Corte di Cassazione no: non basta la semplice “bugia” a pregiudicare irrimediabilmente il rapporto di fiducia fra il datore di lavoro e il lavoratore e, di conseguenza, a giustificare il licenziamento per giusta causa, ma deve essere anche valutato l’elemento intenzionale, il grado di colpa della condotta del lavoratore.

Come precisato con la sentenza in disamina, è, quindi, necessaria un’analisi compiuta della condotta del lavoratore e dell’idoneità della stessa a interrompere il rapporto fiduciario.

Nel caso di specie, il lavoratore aveva preso servizio in ritardo rispetto all’orario di lavoro concordato, giustificandosi con una motivazione non veritiera.


L’azienda aveva, quindi, contestato l’addebito per falsità di giustificazione (condotta, peraltro, reiterata dal lavoratore) e aveva licenziato per giusta causa il dipendente, ritenendo la condotta del lavoratore idonea a interrompere il rapporto fiduciario.


Quest’ultimo aveva impugnato il licenziamento, chiedendo che fosse dichiarato illegittimo e chiedendo la reintegra nel posto di lavoro.
Sia il giudice di Primo grado che la Corte di Appello di Napoli avevano respinto il ricorso: come emerso dall’istruttoria, le giustificazioni addotte erano false e, pertanto, idonee a interrompere la fiducia fra le parti. Da ultimo, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, rilevando che i giudici di merito non avevano approfondito l’elemento soggettivo e tanto meno le conseguenze della giustificazione in relazione alla posizione rivestita in azienda.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso: ha rilevato che entrambi i giudici di merito non avevano effettuato una compiuta analisi dell’apprezzamento del grado di colpa e dell’elemento intenzionale del lavoratore, nonché non avevano valutato il rilievo della falsa giustificazione del lavoratore in relazione alle mansioni affidategli in azienda.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal lavoratore e ha rinviato la causa alla Corte di Appello in diversa composizione per un riesame dei fatti che tenga conto dell’elemento intenzionale con cui il lavoratore ha presentato la sua falsa giustificazione.

(Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, Sentenza 14 aprile 2016, n. 7419)

Fondamento delle relazioni umane, la fiducia rappresenta un elemento cruciale all’interno di un rapporto di lavoro, tanto che il venir meno del legame fiduciario fra le parti integra una delle fattispecie di giustificazione del licenziamento per giusta causa.

L’articolo 2119 Codice Civile definisce la giusta causa in quel comportamento così grave da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto, da consentire sia al datore che al lavoratore di interrompere immediatamente il rapporto di lavoro, senza che sia necessario attendere il decorso del periodo di preavviso.

Limitando la nostra attenzione al solo licenziamento per giusta causa (possono altresì esserci le dimissioni per giusta causa), notiamo che la sostanziale differenza con il giustificato motivo soggettivo è da rinvenire nella gravità della condotta: anche nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo è un comportamento del lavoratore a giustificare l’interruzione del rapporto di lavoro, ma la condotta non è così grave da interrompere immediatamente il rapporto. Ai sensi dell’articolo 3 della Legge 604 del 1966, infatti, il lavoratore che compia “un notevole inadempimento” può essere licenziato, ma ha diritto al preavviso.

Rimanendo al tema centrale della sentenza in esame, possiamo includere fra le condotte così gravi da integrare il recesso per giusta causa (articolo 2119 Codice Civile) la motivazione non veritiera che il dipendente utilizza per giustificare il suo ritardo nell’inizio dell’attività lavorativa? In altre parole, giustificare la propria assenza con una “menzogna” può essere una causa idonea a interrompere il rapporto di fiducia che c’è fra il lavoratore e il datore?

Secondo la Corte di Cassazione no: non basta la semplice “bugia” a pregiudicare irrimediabilmente il rapporto di fiducia fra il datore di lavoro e il lavoratore e, di conseguenza, a giustificare il licenziamento per giusta causa, ma deve essere anche valutato l’elemento intenzionale, il grado di colpa della condotta del lavoratore.

Come precisato con la sentenza in disamina, è, quindi, necessaria un’analisi compiuta della condotta del lavoratore e dell’idoneità della stessa a interrompere il rapporto fiduciario.

Nel caso di specie, il lavoratore aveva preso servizio in ritardo rispetto all’orario di lavoro concordato, giustificandosi con una motivazione non veritiera.


L’azienda aveva, quindi, contestato l’addebito per falsità di giustificazione (condotta, peraltro, reiterata dal lavoratore) e aveva licenziato per giusta causa il dipendente, ritenendo la condotta del lavoratore idonea a interrompere il rapporto fiduciario.


Quest’ultimo aveva impugnato il licenziamento, chiedendo che fosse dichiarato illegittimo e chiedendo la reintegra nel posto di lavoro.
Sia il giudice di Primo grado che la Corte di Appello di Napoli avevano respinto il ricorso: come emerso dall’istruttoria, le giustificazioni addotte erano false e, pertanto, idonee a interrompere la fiducia fra le parti. Da ultimo, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, rilevando che i giudici di merito non avevano approfondito l’elemento soggettivo e tanto meno le conseguenze della giustificazione in relazione alla posizione rivestita in azienda.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso: ha rilevato che entrambi i giudici di merito non avevano effettuato una compiuta analisi dell’apprezzamento del grado di colpa e dell’elemento intenzionale del lavoratore, nonché non avevano valutato il rilievo della falsa giustificazione del lavoratore in relazione alle mansioni affidategli in azienda.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal lavoratore e ha rinviato la causa alla Corte di Appello in diversa composizione per un riesame dei fatti che tenga conto dell’elemento intenzionale con cui il lavoratore ha presentato la sua falsa giustificazione.

(Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, Sentenza 14 aprile 2016, n. 7419)