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Oblio - Cassazione Civile: bilanciamento tra diritto di cronaca e illecito trattamento dei dati mediante aggiornamento e rettifica delle notizie pubblicate

La Corte di Cassazione, tornando a pronunciarsi sul delicato tema del bilanciamento tra cronaca giornalistica e diritto alla riservatezza, ha respinto il ricorso dell’editore di un portale di news online ritenendolo colpevole di illecito trattamento dei dati personali in violazione del diritto all’oblio della controparte.

La decisione si inserisce a pieno titolo nel nascente filone giurisprudenziale in materia di diritto alla cancellazione e alla rettifica di notizie e articoli reperibili online già affermatasi nel nostro Paese prima della sentenza Google Spain (Cass., 9/4/1998, n. 3679; Cass., 25/6/2004, n. 11864 e da ultimo Cass., 05/04/2012, n. 5525), ma che solo in seguito al rebranding in “right to be forgotten operato dalla Corte di Giustizia UE sembra avere acquisito quella mondanità giuridica e legittimità propria all’interno delle aule di tribunale.

Fondamento normativo cardine dell’odierno pensiero giuridico nostrano sul diritto all’oblio, al netto della disciplina prevista dall’entrata in vigore del Regolamento Privacy Europeo, deriva dal Codice in materia di protezione dei dati personali del 2003, i cui principi di pertinenza e non eccedenza già contemplavano coerentemente esigenze di aggiornamento e cancellazione di notizie online attraverso l’istituto dell’esercizio dei diritti da parte dell’interessato.

Il diritto all’oblio si è trovato ad essere più quotidiano del previsto, nonché oggetto di casi complessi quali quello in esame.

Nel caso di specie, la vicenda inizia nel 2013, quando il Tribunale di Chieti condannava l’editore di una testata giornalistica online al risarcimento del danno per violazione del diritto all’oblio di un ristoratore di Positano, a causa della permanenza sul proprio sito web di un articolo riguardante un’inchiesta giudiziaria penale ancora in corso che lo aveva coinvolto per un fatto passato.

In particolare, il ricorrente adducevano che il proprio diritto all’oblio consistesse nel non vedere esposta indeterminatamente sul web una notizia lesiva della propria reputazione personale e commerciale, posto che il trascorrere del tempo aveva fatto venire meno l’interesse pubblico alla diffusione dei dettagli della vicenda e fosse sufficiente a qualificare la richiesta di rimozione e de-indicizzazione del contenuto.

La Suprema Corte, interpellata dalla testata online in merito alla fondatezza di tale richiesta e alla concreta applicazione delle disposizioni del Codice Privacy, ha confermato in toto la decisione respingendo il ricorso nel merito.

In particolare, evidenziando come la fattispecie di illecito trattamento di dati personali fosse da ravvisarsi specificamente non nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell’articolo e nemmeno nella sua archiviazione informatica ma nel mantenimento di un diretto ed agevole accesso allo stesso sul web tramite il proprio portale anche dopo la richiesta di rimozione presentata dalla controparte, la decisione ha inoltre rilevato che: (i) era incontestabile la reperibilità del link all’articolo tramite una semplice ricerca per parole chiave online; (ii) tale immediata consultabilità, tenuto conto anche dell’ampia notorietà locale del portale di news, consentiva di ritenere la notizia così divulgata potesse avere soddisfatto gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca; e (iii) la capillarità della divulgazione dei dati trattati e la natura degli stessi, particolarmente sensibili attenendo a vicenda giudiziaria penale in corso di svolgimento, aveva indubbiamente causato nocumento grave ai ricorrenti e alla loro attività economica.

A questo proposito infatti, continuava la Corte, “ribadita la liceità [generale] del trattamento dei dati persoli attuato per finalità giornalistiche e conservative attraverso l’utilizzo di archivi informatizzati”, il diritto all’oblio quale “naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca” deve rispettare un reale interesse pubblico, quanto più rispondente possibile ad una attuale esigenza informativa, senza precludere agli interessati di una notizia la possibilità di esercitare i propri diritti in maniera rapida ed efficace.

La comprovata esistenza di un pregiudizio relativo al trattamento dei dati personali di cui al regime dell’articolo 2050 del Codice Civile ha pertanto portato la Suprema Corte a pronunciarsi a favore del rigetto del ricorso dell’editore, confermando l’accoglimento della pretesa risarcitoria del ristoratore.

In definitiva, le estrinsecazioni del diritto all’oblio risultano essere uno dei pochi strumenti in grado di limitare le conseguenze negative di eventuali trattamenti illeciti o eccedenti di dati personali da parte di aziende, enti pubblici e siti di informazione europei ed extra-europei.

(Cassazione Civile, Sezione Prima Civile, 24 giugno 2016, n. 13161)

La Corte di Cassazione, tornando a pronunciarsi sul delicato tema del bilanciamento tra cronaca giornalistica e diritto alla riservatezza, ha respinto il ricorso dell’editore di un portale di news online ritenendolo colpevole di illecito trattamento dei dati personali in violazione del diritto all’oblio della controparte.

La decisione si inserisce a pieno titolo nel nascente filone giurisprudenziale in materia di diritto alla cancellazione e alla rettifica di notizie e articoli reperibili online già affermatasi nel nostro Paese prima della sentenza Google Spain (Cass., 9/4/1998, n. 3679; Cass., 25/6/2004, n. 11864 e da ultimo Cass., 05/04/2012, n. 5525), ma che solo in seguito al rebranding in “right to be forgotten operato dalla Corte di Giustizia UE sembra avere acquisito quella mondanità giuridica e legittimità propria all’interno delle aule di tribunale.

Fondamento normativo cardine dell’odierno pensiero giuridico nostrano sul diritto all’oblio, al netto della disciplina prevista dall’entrata in vigore del Regolamento Privacy Europeo, deriva dal Codice in materia di protezione dei dati personali del 2003, i cui principi di pertinenza e non eccedenza già contemplavano coerentemente esigenze di aggiornamento e cancellazione di notizie online attraverso l’istituto dell’esercizio dei diritti da parte dell’interessato.

Il diritto all’oblio si è trovato ad essere più quotidiano del previsto, nonché oggetto di casi complessi quali quello in esame.

Nel caso di specie, la vicenda inizia nel 2013, quando il Tribunale di Chieti condannava l’editore di una testata giornalistica online al risarcimento del danno per violazione del diritto all’oblio di un ristoratore di Positano, a causa della permanenza sul proprio sito web di un articolo riguardante un’inchiesta giudiziaria penale ancora in corso che lo aveva coinvolto per un fatto passato.

In particolare, il ricorrente adducevano che il proprio diritto all’oblio consistesse nel non vedere esposta indeterminatamente sul web una notizia lesiva della propria reputazione personale e commerciale, posto che il trascorrere del tempo aveva fatto venire meno l’interesse pubblico alla diffusione dei dettagli della vicenda e fosse sufficiente a qualificare la richiesta di rimozione e de-indicizzazione del contenuto.

La Suprema Corte, interpellata dalla testata online in merito alla fondatezza di tale richiesta e alla concreta applicazione delle disposizioni del Codice Privacy, ha confermato in toto la decisione respingendo il ricorso nel merito.

In particolare, evidenziando come la fattispecie di illecito trattamento di dati personali fosse da ravvisarsi specificamente non nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell’articolo e nemmeno nella sua archiviazione informatica ma nel mantenimento di un diretto ed agevole accesso allo stesso sul web tramite il proprio portale anche dopo la richiesta di rimozione presentata dalla controparte, la decisione ha inoltre rilevato che: (i) era incontestabile la reperibilità del link all’articolo tramite una semplice ricerca per parole chiave online; (ii) tale immediata consultabilità, tenuto conto anche dell’ampia notorietà locale del portale di news, consentiva di ritenere la notizia così divulgata potesse avere soddisfatto gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca; e (iii) la capillarità della divulgazione dei dati trattati e la natura degli stessi, particolarmente sensibili attenendo a vicenda giudiziaria penale in corso di svolgimento, aveva indubbiamente causato nocumento grave ai ricorrenti e alla loro attività economica.

A questo proposito infatti, continuava la Corte, “ribadita la liceità [generale] del trattamento dei dati persoli attuato per finalità giornalistiche e conservative attraverso l’utilizzo di archivi informatizzati”, il diritto all’oblio quale “naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca” deve rispettare un reale interesse pubblico, quanto più rispondente possibile ad una attuale esigenza informativa, senza precludere agli interessati di una notizia la possibilità di esercitare i propri diritti in maniera rapida ed efficace.

La comprovata esistenza di un pregiudizio relativo al trattamento dei dati personali di cui al regime dell’articolo 2050 del Codice Civile ha pertanto portato la Suprema Corte a pronunciarsi a favore del rigetto del ricorso dell’editore, confermando l’accoglimento della pretesa risarcitoria del ristoratore.

In definitiva, le estrinsecazioni del diritto all’oblio risultano essere uno dei pochi strumenti in grado di limitare le conseguenze negative di eventuali trattamenti illeciti o eccedenti di dati personali da parte di aziende, enti pubblici e siti di informazione europei ed extra-europei.

(Cassazione Civile, Sezione Prima Civile, 24 giugno 2016, n. 13161)