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Prostituzione - Cassazione Penale: favorisce la prostituzione colui che idea e organizza l’attività di pubblicazione delle fotografie e dei messaggi di coloro che offrono prestazioni sessuali a pagamento

Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione si esprime sul ricorso presentato dall’imputato, condannato in secondo grado dalla Corte di appello di Salerno, che lo ha riconosciuto responsabile del reato di favoreggiamento della prostituzione.

L’accusa contestata al reo consiste nell’avere favorito la prostituzione di alcune donne di origine sudamericana, consigliando loro l’inserimento di inserzioni pubblicitarie su siti informatici specializzati, e suggerendo inoltre l’inserimento di messaggi graditi ai destinatari, nonché immagini fotografiche e altri elementi utili a renderle piacevoli ai destinatari.

Il ricorrente avverso tale sentenza ricorre per Cassazione.

La Suprema Corte chiarisce che non costituisce reato di favoreggiamento l’attività di chi si limita a raccogliere e successivamente pubblicare inserzioni pubblicitarie su un giornale o su di un sito web, di quelle persone che si offrono per incontri sessuali a pagamento, ‘‘poiché tale attività è solo la prestazione di un servizio e non anche l’intermediazione tra chi si prostituisce e il cliente’’. Nello stesso ambito, non costituisce reato nemmeno l’attività di chi, nella gestione di un sito internet, pubblichi inserzioni pubblicitarie, anche corredate da foto, a lui inviate da prostitute, senza che egli svolga alcuna attività di collaborazione organizzativa.

Pertanto, dall’orientamento giurisprudenziale, possiamo dunque definire un limite, in tema di pubblicizzazione dell’attività di prostituzione, tra la lecita attività di chi meramente informa il pubblico, tramite mezzi di informazione sociale, dell’esistenza di soggetti che offrono prestazioni sessuali a pagamento e la illecita attività di chi favorisce la prostituzione.

Il limite consiste nella realizzazione di un quid pluris rispetto alla semplice informazione, cioè nella ideazione e redazione del contenuto dell’inserzione, nell’organizzazione della gestione pubblicitaria dell’immagine di coloro che offrono le prestazioni sessuali a pagamento e pertanto in un’attività di supporto, di integrazione o corredo al semplice servizio informativo, il cui scopo è quello di incrementare l’appetibilità dei servizi resi da chi eserciti la prostituzione. Quindi nel momento in cui l’attività non è solamente informativa, ma viene consapevolmente indirizzata all’incremento del potenziale mercimonio delle prestazioni sessuali, diviene attività volta al favoreggiamento del mercato del sesso.

Per i motivi suddetti pertanto la corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 7 aprile 2015, n. 1986

Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione si esprime sul ricorso presentato dall’imputato, condannato in secondo grado dalla Corte di appello di Salerno, che lo ha riconosciuto responsabile del reato di favoreggiamento della prostituzione.

L’accusa contestata al reo consiste nell’avere favorito la prostituzione di alcune donne di origine sudamericana, consigliando loro l’inserimento di inserzioni pubblicitarie su siti informatici specializzati, e suggerendo inoltre l’inserimento di messaggi graditi ai destinatari, nonché immagini fotografiche e altri elementi utili a renderle piacevoli ai destinatari.

Il ricorrente avverso tale sentenza ricorre per Cassazione.

La Suprema Corte chiarisce che non costituisce reato di favoreggiamento l’attività di chi si limita a raccogliere e successivamente pubblicare inserzioni pubblicitarie su un giornale o su di un sito web, di quelle persone che si offrono per incontri sessuali a pagamento, ‘‘poiché tale attività è solo la prestazione di un servizio e non anche l’intermediazione tra chi si prostituisce e il cliente’’. Nello stesso ambito, non costituisce reato nemmeno l’attività di chi, nella gestione di un sito internet, pubblichi inserzioni pubblicitarie, anche corredate da foto, a lui inviate da prostitute, senza che egli svolga alcuna attività di collaborazione organizzativa.

Pertanto, dall’orientamento giurisprudenziale, possiamo dunque definire un limite, in tema di pubblicizzazione dell’attività di prostituzione, tra la lecita attività di chi meramente informa il pubblico, tramite mezzi di informazione sociale, dell’esistenza di soggetti che offrono prestazioni sessuali a pagamento e la illecita attività di chi favorisce la prostituzione.

Il limite consiste nella realizzazione di un quid pluris rispetto alla semplice informazione, cioè nella ideazione e redazione del contenuto dell’inserzione, nell’organizzazione della gestione pubblicitaria dell’immagine di coloro che offrono le prestazioni sessuali a pagamento e pertanto in un’attività di supporto, di integrazione o corredo al semplice servizio informativo, il cui scopo è quello di incrementare l’appetibilità dei servizi resi da chi eserciti la prostituzione. Quindi nel momento in cui l’attività non è solamente informativa, ma viene consapevolmente indirizzata all’incremento del potenziale mercimonio delle prestazioni sessuali, diviene attività volta al favoreggiamento del mercato del sesso.

Per i motivi suddetti pertanto la corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 7 aprile 2015, n. 1986