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Risarcimento - Cassazione SU Civili: la pretesa risarcitoria per pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate in causa in relazione alla natura della contravvenzione di cui all’articolo 684 del codice penale. Nello specifico, tale norma disciplina la fattispecie delittuosa della pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, punendo con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da cinquantuno euro a duecentocinquantotto euro chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione.

La previsione incriminatrice in parola tutela il segreto processuale e rinvia al codice di procedura penale per l’identificazione dei documenti o atti per i quali vige il divieto: in particolare, rinvia all’articolo 114 del codice di procedura penale, che menziona soltanto gli atti, e all’articolo 234 comma 1, che menziona scritti e documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.

Fino ad oggi l’unica pronuncia di legittimità che si è occupata della natura del reato in questione è stata la numero 42269 del 2004. Secondo i Giudici che l’hanno emessa, la previsione di cui all’articolo 684 deve ritenersi a carattere plurioffensivo, essendo preordinata a garanzia non solo dell’interesse dello Stato al retto funzionamento dell’attività giudiziaria, ma anche alle posizioni delle parti processuali e, comunque, della reputazione delle stesse.

Il caso di specie da cui è scaturita la sentenza che qui si sta commentando, ha visto coinvolti da un lato la Mediaset, e dall’altro Il Gruppo Editoriale L’Espresso. La controversia nasce nel 2005, quando un giornalista della Repubblica pubblica un articolo relativo ad una presunta frode fiscale posta in essere dai vertici di Mediaset. Quest’ultima, immediatamente, cita in giudizio la società editrice del giornale dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della illecita e diffamatoria pubblicazione, a norma dell’articolo 684 del codice penale.

Mediaset, reclama che quella pubblicazione è illecita in quanto riporta documenti di un procedimento penale, ancora non giunto al termine dell’udienza preliminare. L’articolo 114 del codice di procedura penale, infatti, dispone il divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento penale fino al termine dell’udienza preliminare e, se si procede a dibattimento, fino alla pronuncia in grado di appello. Tali argomentazioni non sono accolte dal Giudice di prime cure che rigetta la domanda risarcitoria della società attrice, la quale propone gravame dinanzi alla Corte di Appello di Roma. Quest’ultimo Giudicante ha confermato la sentenza di primo grado, sottolineando che la pubblicazione pretesamente arbitraria si esaurisce nella riproduzione “letterale di due frasi, marginali e minime, pacifiche per il pubblico dei lettori”.

A questo punto, Mediaset ricorre in Cassazione, lamentando la falsa applicazione da parte dei precedenti Giudici degli articoli 684 del codice penale e 114 del codice di procedura penale.

Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte, che hanno posto fine al dibattito dottrinale circa la natura del reato di cui all’articolo 684. Gli Ermellini hanno stabilito che la fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all’articolo 684 del codice penale integra un reato monoffensivo, posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio.

Ne consegue che la sola violazione della norma incriminatrice de qua non attribuisce alcuna autonoma pretesa risarcitoria alla parte coinvolta nel processo. Sulla base di questo principio il ricorso della Mediaset è stato respinto.

(Cassazione Civile, Sezioni Unite, 25/02/2016, n. 3727)

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate in causa in relazione alla natura della contravvenzione di cui all’articolo 684 del codice penale. Nello specifico, tale norma disciplina la fattispecie delittuosa della pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, punendo con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da cinquantuno euro a duecentocinquantotto euro chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione.

La previsione incriminatrice in parola tutela il segreto processuale e rinvia al codice di procedura penale per l’identificazione dei documenti o atti per i quali vige il divieto: in particolare, rinvia all’articolo 114 del codice di procedura penale, che menziona soltanto gli atti, e all’articolo 234 comma 1, che menziona scritti e documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.

Fino ad oggi l’unica pronuncia di legittimità che si è occupata della natura del reato in questione è stata la numero 42269 del 2004. Secondo i Giudici che l’hanno emessa, la previsione di cui all’articolo 684 deve ritenersi a carattere plurioffensivo, essendo preordinata a garanzia non solo dell’interesse dello Stato al retto funzionamento dell’attività giudiziaria, ma anche alle posizioni delle parti processuali e, comunque, della reputazione delle stesse.

Il caso di specie da cui è scaturita la sentenza che qui si sta commentando, ha visto coinvolti da un lato la Mediaset, e dall’altro Il Gruppo Editoriale L’Espresso. La controversia nasce nel 2005, quando un giornalista della Repubblica pubblica un articolo relativo ad una presunta frode fiscale posta in essere dai vertici di Mediaset. Quest’ultima, immediatamente, cita in giudizio la società editrice del giornale dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della illecita e diffamatoria pubblicazione, a norma dell’articolo 684 del codice penale.

Mediaset, reclama che quella pubblicazione è illecita in quanto riporta documenti di un procedimento penale, ancora non giunto al termine dell’udienza preliminare. L’articolo 114 del codice di procedura penale, infatti, dispone il divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento penale fino al termine dell’udienza preliminare e, se si procede a dibattimento, fino alla pronuncia in grado di appello. Tali argomentazioni non sono accolte dal Giudice di prime cure che rigetta la domanda risarcitoria della società attrice, la quale propone gravame dinanzi alla Corte di Appello di Roma. Quest’ultimo Giudicante ha confermato la sentenza di primo grado, sottolineando che la pubblicazione pretesamente arbitraria si esaurisce nella riproduzione “letterale di due frasi, marginali e minime, pacifiche per il pubblico dei lettori”.

A questo punto, Mediaset ricorre in Cassazione, lamentando la falsa applicazione da parte dei precedenti Giudici degli articoli 684 del codice penale e 114 del codice di procedura penale.

Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte, che hanno posto fine al dibattito dottrinale circa la natura del reato di cui all’articolo 684. Gli Ermellini hanno stabilito che la fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all’articolo 684 del codice penale integra un reato monoffensivo, posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio.

Ne consegue che la sola violazione della norma incriminatrice de qua non attribuisce alcuna autonoma pretesa risarcitoria alla parte coinvolta nel processo. Sulla base di questo principio il ricorso della Mediaset è stato respinto.

(Cassazione Civile, Sezioni Unite, 25/02/2016, n. 3727)