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Tributi - Cassazione: rinuncia all’eredità nei confronti del fisco

La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con l’importante e recente sentenza n. 3611 depositata in cancelleria il 24/02/2016, ha stabilito il principio di diritto da far valere nei casi di rinuncia all’eredità nei confronti del Fisco.

Non può revocarsi in dubbio, infatti, che la questione di difetto di legittimazione passiva dei chiamati all’eredità per avvenuta rinuncia a tale eredità, in quanto vertente su di uno specifico fatto impeditivo di tale legittimazione, andasse sollevata nel giudizio di rinvio (costituente il giudizio di merito successivo alla pronuncia cessata), mediante produzione dell’atto di rinuncia all’eredità, essendosi l’evento, che aveva radicato detta legittimazione (morte dei contribuente, parte originaria del processo), verificato nelle more del giudizio di Cassazione e, quindi, dopo l’esaurimento del precedente giudizio di appello, svoltosi ancora nei confronti del de cuius.

Ebbene, qualora sia eccepita l’estraneità di una delle parti al rapporto giuridico dedotto in giudizio, la contestazione non attiene ad un difetto di legittimazione a contraddire, per la cui sussistenza è necessario e sufficiente che il difetto di titolarità, del rapporto venga semplicemente prospettato, bensì alla titolarità effettiva ed in concreto del rapporto controverso dal lato passivo. Con la conseguenza che, a differenza del difetto di “legitimatio ad causam”, il difetto di effettiva titolarità passiva del rapporto non è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e, quindi, anche in Cassazione, se la questione era deducibile nel giudizio di merito (cfr. Cass. 6894/1999, 10673/2002).

Ne consegue che costituisce onere degli eredi produrre, nel giudizio di merito nel quale la questione della loro legittimazione venga, in concreto, a porsi, l’eventuale atto di rinuncia all’eredità, a fronte del quale incomberà, poi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provarne la mancata inserzione nel registro delle successioni, di cui all’articolo 52 disp. prel. del c.c., ai fini dell’opponibilità di tale atto ai terzi (Cass. 2820/2005; 3346/2014).

Non può revocarsi in dubbio, infatti, che sulla parte istante incomba l’onere di provare la legittimazione passiva processuale dei soggetti ai quali la domanda o l’impugnazione sia stata notificata, e, dunque, la loro avvenuta assunzione della qualità di erede per accettazione espressa o tacita, non essendo sufficiente la mera chiamata all’eredità, atteso che la “legitimatio ad causam” non si trasmette dal “de cuius” al chiamato per effetto della sola apertura della successione (Cass. 17295/2014).

In particolare, in tema di obbligazioni tributarie, grava sull’Amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato, per potere esigere l’adempimento dell’obbligazione delsuo dante causa.

Tale onere non può essere assolto con la produzione della sola denuncia di successione, mentre è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli articoli 565 e ss. c.c. (Cass. 13738/2005), o di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di detta qualità.

Infine, si deve tener conto del seguente principio di diritto:

“in tema di obbligazioni tributarie, grava sull’Amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati, per potere esigere l’adempimento dell’obbligazione del loro dante causa; tale onere non può essere assolto con la produzione della sola denuncia di successione, mentre è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli articoli 565 e ss. c.c., o di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di detta qualità”.

(Corte di Cassazione, Quinta Sezione Tributaria, Sentenza 14 aprile 2015 - 24 febbraio 2016, n. 3611)

La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con l’importante e recente sentenza n. 3611 depositata in cancelleria il 24/02/2016, ha stabilito il principio di diritto da far valere nei casi di rinuncia all’eredità nei confronti del Fisco.

Non può revocarsi in dubbio, infatti, che la questione di difetto di legittimazione passiva dei chiamati all’eredità per avvenuta rinuncia a tale eredità, in quanto vertente su di uno specifico fatto impeditivo di tale legittimazione, andasse sollevata nel giudizio di rinvio (costituente il giudizio di merito successivo alla pronuncia cessata), mediante produzione dell’atto di rinuncia all’eredità, essendosi l’evento, che aveva radicato detta legittimazione (morte dei contribuente, parte originaria del processo), verificato nelle more del giudizio di Cassazione e, quindi, dopo l’esaurimento del precedente giudizio di appello, svoltosi ancora nei confronti del de cuius.

Ebbene, qualora sia eccepita l’estraneità di una delle parti al rapporto giuridico dedotto in giudizio, la contestazione non attiene ad un difetto di legittimazione a contraddire, per la cui sussistenza è necessario e sufficiente che il difetto di titolarità, del rapporto venga semplicemente prospettato, bensì alla titolarità effettiva ed in concreto del rapporto controverso dal lato passivo. Con la conseguenza che, a differenza del difetto di “legitimatio ad causam”, il difetto di effettiva titolarità passiva del rapporto non è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e, quindi, anche in Cassazione, se la questione era deducibile nel giudizio di merito (cfr. Cass. 6894/1999, 10673/2002).

Ne consegue che costituisce onere degli eredi produrre, nel giudizio di merito nel quale la questione della loro legittimazione venga, in concreto, a porsi, l’eventuale atto di rinuncia all’eredità, a fronte del quale incomberà, poi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provarne la mancata inserzione nel registro delle successioni, di cui all’articolo 52 disp. prel. del c.c., ai fini dell’opponibilità di tale atto ai terzi (Cass. 2820/2005; 3346/2014).

Non può revocarsi in dubbio, infatti, che sulla parte istante incomba l’onere di provare la legittimazione passiva processuale dei soggetti ai quali la domanda o l’impugnazione sia stata notificata, e, dunque, la loro avvenuta assunzione della qualità di erede per accettazione espressa o tacita, non essendo sufficiente la mera chiamata all’eredità, atteso che la “legitimatio ad causam” non si trasmette dal “de cuius” al chiamato per effetto della sola apertura della successione (Cass. 17295/2014).

In particolare, in tema di obbligazioni tributarie, grava sull’Amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato, per potere esigere l’adempimento dell’obbligazione delsuo dante causa.

Tale onere non può essere assolto con la produzione della sola denuncia di successione, mentre è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli articoli 565 e ss. c.c. (Cass. 13738/2005), o di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di detta qualità.

Infine, si deve tener conto del seguente principio di diritto:

“in tema di obbligazioni tributarie, grava sull’Amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati, per potere esigere l’adempimento dell’obbligazione del loro dante causa; tale onere non può essere assolto con la produzione della sola denuncia di successione, mentre è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli articoli 565 e ss. c.c., o di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di detta qualità”.

(Corte di Cassazione, Quinta Sezione Tributaria, Sentenza 14 aprile 2015 - 24 febbraio 2016, n. 3611)