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Truffa - Cassazione Penale: risponde per truffa il difensore che nonostante il gratuito patrocinio chieda gli onorari al proprio assistito

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento afferma che si configura il reato di truffa qualora il difensore ometta di informare il proprio assistito degli effetti derivanti dall’ammissione al gratuito patrocinio e qualora induca lo stesso a credere che avesse l’obbligo di corrispondere al difensore gli onorari professionali.

Nel caso di specie, la Corte si è pronunciata rispetto ad una controversia insorta tra difensore e propria assistita avente ad oggetto il comportamento fraudolento del difensore, condannato per truffa aggravata in primo grado dal Tribunale di Siracusa e successivamente dalla Corte di Appello di Catania che ha confermato la precedente sentenza.

All’imputato, nominato difensore con provvedimento della Commissione gratuito patrocinio, è stato contestato di non avere informato la propria assistita degli effetti derivanti dall’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, nonché di aver indotto in errore la stessa facendole credere, anche mediante numerose diffide fatte per iscritto, che a seguito del provvedimento della Commissione era sorto un rapporto di incarico professionale e che quindi sussisteva l’obbligo giuridico di corrispondere personalmente al difensore, durante il periodo di efficacia del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, gli onorari professionali.

Il difensore, in forza del suddetto comportamento fraudolento otteneva conseguentemente il pagamento di circa centomila euro quale corrispettivo per l’attività professionale giudiziale ed extragiudiziale prestata in vigenza dell’ammissione al gratuito patrocinio.

Tale somma versata dalla parte offesa costituisce per i giudici territoriali ingiusto profitto in quanto riscossa indebitamente dal difensore in violazione dell’articolo 85 D.P.R. n. 115 del 2002, in aggiunta alla somma già liquidata dall’Erario in qualità di corrispettivo al difensore, e  comportando dunque, un danno in capo all’assistita pari al pagamento delle somme consegnata al difensore.

Pertanto il comportamento fraudolento del difensore sarebbe costituito non soltanto dalla falsa rappresentazione dell’iniziale sussistenza di un obbligo personale di pagare gli onorari, tra l’altro allora inesistente, ma anche dall’omessa indicazione del significato della avvenuta liquidazione degli onorari in proprio favore in virtù del meccanismo del gratuito patrocinio.

Si aggiunga che il difensore ha inoltre “maliziosamente” taciuto alla parte offesa le conseguenze del mutamento delle di lei condizioni patrimoniali, mascherando la somma di denaro che l’Erario avrebbe preteso dalla sua assistita successivamente al provvedimento di revoca del gratuito patrocinio, come autonome e distinte spese di inventario cumulabili con l’onorario.

Contro la sentenza di condanna a suo carico, propone ricorso per Cassazione il difensore, sostenendo che, in realtà, la somma richiesta alla parte offesa attiene al pagamento degli onorari  relativi a procedimenti diversi da quelli oggetto del gratuito patrocinio.

La Corte di Cassazione, però, ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso e ha sottolineato, invece,  come le precedenti sentenze di merito abbiano correttamente dato atto della sussistenza del reato di truffa in tutte le sue componenti: induzione in errore, ingiusto profitto e danno.

Pertanto rigetta il ricorso e condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali e al pagamento in favore della parte offesa delle spese del grado che liquida in euro millecinquecento oltre accessori di legge.

(Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 19 febbraio - 16 maggio 2016, n. 20186)

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento afferma che si configura il reato di truffa qualora il difensore ometta di informare il proprio assistito degli effetti derivanti dall’ammissione al gratuito patrocinio e qualora induca lo stesso a credere che avesse l’obbligo di corrispondere al difensore gli onorari professionali.

Nel caso di specie, la Corte si è pronunciata rispetto ad una controversia insorta tra difensore e propria assistita avente ad oggetto il comportamento fraudolento del difensore, condannato per truffa aggravata in primo grado dal Tribunale di Siracusa e successivamente dalla Corte di Appello di Catania che ha confermato la precedente sentenza.

All’imputato, nominato difensore con provvedimento della Commissione gratuito patrocinio, è stato contestato di non avere informato la propria assistita degli effetti derivanti dall’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, nonché di aver indotto in errore la stessa facendole credere, anche mediante numerose diffide fatte per iscritto, che a seguito del provvedimento della Commissione era sorto un rapporto di incarico professionale e che quindi sussisteva l’obbligo giuridico di corrispondere personalmente al difensore, durante il periodo di efficacia del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, gli onorari professionali.

Il difensore, in forza del suddetto comportamento fraudolento otteneva conseguentemente il pagamento di circa centomila euro quale corrispettivo per l’attività professionale giudiziale ed extragiudiziale prestata in vigenza dell’ammissione al gratuito patrocinio.

Tale somma versata dalla parte offesa costituisce per i giudici territoriali ingiusto profitto in quanto riscossa indebitamente dal difensore in violazione dell’articolo 85 D.P.R. n. 115 del 2002, in aggiunta alla somma già liquidata dall’Erario in qualità di corrispettivo al difensore, e  comportando dunque, un danno in capo all’assistita pari al pagamento delle somme consegnata al difensore.

Pertanto il comportamento fraudolento del difensore sarebbe costituito non soltanto dalla falsa rappresentazione dell’iniziale sussistenza di un obbligo personale di pagare gli onorari, tra l’altro allora inesistente, ma anche dall’omessa indicazione del significato della avvenuta liquidazione degli onorari in proprio favore in virtù del meccanismo del gratuito patrocinio.

Si aggiunga che il difensore ha inoltre “maliziosamente” taciuto alla parte offesa le conseguenze del mutamento delle di lei condizioni patrimoniali, mascherando la somma di denaro che l’Erario avrebbe preteso dalla sua assistita successivamente al provvedimento di revoca del gratuito patrocinio, come autonome e distinte spese di inventario cumulabili con l’onorario.

Contro la sentenza di condanna a suo carico, propone ricorso per Cassazione il difensore, sostenendo che, in realtà, la somma richiesta alla parte offesa attiene al pagamento degli onorari  relativi a procedimenti diversi da quelli oggetto del gratuito patrocinio.

La Corte di Cassazione, però, ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso e ha sottolineato, invece,  come le precedenti sentenze di merito abbiano correttamente dato atto della sussistenza del reato di truffa in tutte le sue componenti: induzione in errore, ingiusto profitto e danno.

Pertanto rigetta il ricorso e condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali e al pagamento in favore della parte offesa delle spese del grado che liquida in euro millecinquecento oltre accessori di legge.

(Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 19 febbraio - 16 maggio 2016, n. 20186)