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231 - Cassazione Penale: l’assoluzione dell’autore del reato non comporta l’automatica decadenza della responsabilità della società

231 - Cassazione Penale: l’assoluzione dell’autore del reato non comporta l’automatica decadenza della responsabilità della società
231 - Cassazione Penale: l’assoluzione dell’autore del reato non comporta l’automatica decadenza della responsabilità della società

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, non sussiste alcun automatismo tra l’assoluzione della persona fisica imputata nel reato presupposto e l’esclusione della responsabilità dell’ente per la commissione dello stesso.

 

Il caso in esame

La pronuncia trae origine dal ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano, avverso la sentenza di appello che, in riforma della decisione del Tribunale di Milano, aveva assolto una società unipersonale da illecito amministrativo dipendente da reato.

La Corte territoriale aveva riformato la sentenza di primo grado, ritenendo non sussistente alcuna responsabilità in capo ad un pubblico ufficiale, accusato di corruzione per aver modificato, dietro corrispettivo, la destinazione d’uso di due aree di proprietà della società da terreni agricoli a terreni edificabili. L’assoluzione del pubblico ufficiale aveva determinato, per riflesso, la decadenza dell’accusa di illecito amministrativo nei confronti dell’ente.

Nel proprio ricorso, il Procuratore Generale lamentava l’errore in cui era incorso il giudice di merito, non solo per aver ritenuto non sussistente alcun profilo di responsabilità penale in capo al pubblico ufficiale che aveva partecipato all’approvazione del piano regolatore, ma anche per aver fatto seguire a tale assoluzione l’automatica decadenza della responsabilità della società, quando l’originaria contestazione aveva previsto molteplici condotte corruttive poste in essere a vantaggio dell’ente e con il concorso, oltre che del pubblico ufficiale assolto, di una pluralità di altri soggetti, giudicati separatamente o non specificamente individuati.

 

La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione ha ritenuto fondate le censure prospettate dal Procuratore Generale nel proprio ricorso, in quanto le condotte corruttive per le quali il Tribunale aveva condannato la società non erano state realizzate esclusivamente con il concorso del pubblico ufficiale poi assolto in appello, ma anche con quello di altri pubblici ufficiali, giudicati separatamente a seguito del ricorso a riti alternativi o non specificamente individuati nel corso delle indagini.

Più in generale, la Suprema Corte ha ritenuto del tutto illegittimo ogni automatismo tra l’assoluzione della persona fisica autrice del reato presupposto e l’esonero da responsabilità della società.

Ciò in quanto, come specificato dai giudici di legittimità, “il reato che viene realizzato dai soggetti apicali dell’ente, ovvero dai suoi dipendenti, è solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità dell’ente, che costituisce una fattispecie complessa, in cui il reato rappresenta il presupposto fondamentale, accanto alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla conseguente sussistenza dell’interesse o del vantaggio che l’ente deve aver conseguito dalla condotta delittuosa posta in essere dal soggetto apicale o subordinato”.

In ragione della natura composita della responsabilità da reato della società, “nel processo nei confronti dell’ente la commissione del delitto presupposto dovrà essere verificata dal giudice di merito alla stregua dell’integrale contestazione dell’illecito dipendente da reato formulata nei confronti dell’ente e, pertanto, indipendentemente dalle legittime scelte processuali degli imputati che possano aver precluso la celebrazione del simultaneus processus nei confronti dei responsabili del reato e dell’ente per l’illecito ad esso collegato”. La separazione delle posizioni di alcuni imputati per effetto della scelta di riti alternativi risulta, pertanto, inidonea ad incidere sulla originaria contestazione formulata nei confronti dell’ente e sulla cognizione giudiziale.

Conseguentemente, a giudizio della Cassazione, la Corte territoriale “avrebbe dovuto scrutinare, nella integrità, la fondatezza della contestazione elevata nei confronti dell’ente e, segnatamente, verificare se fossero intervenute le ulteriori condotte corruttive, poste in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso”, in favore dei pubblici ufficiali giudicati separatamente o non identificati.

La Suprema Corte ha ritenuto irrilevanti, ai fini dell’esonero da responsabilità, le circostanze evocate dalla difesa della società e, segnatamente, che la stessa fosse una società unipersonale e che medio tempore fosse stata dichiarata fallita.

Ciò in quanto, per espressa disposizione di legge, la disciplina 231 si applica a qualsiasi soggetto di diritto non riconducibile alla persona fisica, ivi compreso, dunque, “la società unipersonale, in quanto soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote”.

Inoltre, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte di legittimità ha affermato che “il fallimento della società non determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d. lgs. n. 231 del 2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamento”.

Per queste ragioni, la Corte ha annullato la sentenza impugnata e rinviato gli atti ad una diversa sezione della Corte territoriale per un nuovo esame.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 25 ottobre 2017, n. 49056)