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Ambiente: da oggi nuove regole per la gestione delle terre e rocce da scavo

Ambiente: da oggi nuove regole per la gestione delle terre e rocce da scavo
Ambiente: da oggi nuove regole per la gestione delle terre e rocce da scavo

Entra in vigore oggi la nuova disciplina sulla gestione delle terre e rocce da scavo.

Si tratta dell’atteso Regolamento – emanato con il DPR 13 giugno 2017, n. 120 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 del 7 agosto 2017) – con cui il Governo ha attuato, con un ritardo di oltre due anni, l’articolo 8 del decreto-legge 133/2014 (noto come “decreto Sblocca Italia”).

Ciò al dichiarato scopo di riordinare e semplificare la disciplina relativa alle terre e

rocce da scavo; a tal fine, il Regolamento interviene:

  • sulle modalità di gestione delle terre e rocce da scavo qualificate come “sottoprodotti”, ai sensi dell’articolo 184-bis, d. lgs. 152/2006;
  • sulla disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate “rifiuti”;
  • sull’utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina in materia di rifiuti;
  • sulle modalità di gestione delle terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica.

Il primo obiettivo, vale a dire il riordino della disciplina sulle terre e rocce da scavo, è sicuramente raggiunto. Il nuovo Regolamento, infatti, racchiude in un unico testo una disciplina che, in precedenza, a causa di una stratificazione di diverse normative, era disseminata in vari provvedimenti. Esso dunque sostituisce (e abroga espressamente) il DM 161/2012, il comma 2-bis dell’articolo 184-bis del d. lgs. 152/2006 e gli articoli 41, comma 2 e 41-bis del decreto-legge 69/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge 98/2013).

Qualche dubbio sorge, invece, circa l’effettivo perseguimento del secondo obiettivo, ossia quello della semplificazione; anche la nuova disciplina, infatti, al pari della precedente, obbliga coloro i quali intendano gestire le terre e rocce da scavo come “sottoprodotti” (e dunque non come “rifiuti”) al rispetto di specifici procedimenti e adempimenti documentali che non sono invece previsti per la gestione delle altre tipologie di sottoprodotti (per i quali il riferimento resta ovviamente l’art. 184-bis, d. lgs. 152/2006).

Il nuovo Regolamento contiene comunque delle indubbie semplificazioni rispetto all’abrogato  DM 161/2012; in particolare, non prevede più alcuna formale approvazione preventiva del piano di utilizzo (o della modifica dello stesso) da parte dell’autorità competente.

La disciplina che entra in vigore oggi differenzia le regole da seguire per poter gestire le terre e rocce da scavo come “sottoprodotti” a seconda del tipo di cantiere in cui sono esse prodotte.

Un primo insieme di regole, incentrato sull’obbligo di predisporre il «piano di utilizzo» (documento che era già previsto dal DM 161/2012), riguarda il «cantiere di grandi dimensioni», ossia quello in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità superiori a seimila metri cubi, nel corso di attività o di opere soggette a valutazione di impatto ambientale (VIA) o ad autorizzazione integrata ambientale (AIA).

Un secondo gruppo di regole, secondo cui la sussistenza delle condizioni previste per poter gestire le terre e rocce da scavo come “sottoprodotti” viene attestata dal produttore tramite una semplice dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (denominata «dichiarazione di utilizzo»), concerne, invece:

  • da un lato, il «cantiere di piccole dimensioni», cioè quello in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità non superiori a seimila metri cubi, ivi compresi i cantieri in cui la produzione di terre e rocce da scavo avviene nel corso di attività o opere soggette a VIA o ad AIA;
  • dall’altro, il «cantiere di grandi dimensioni non sottoposto a VIA o AIA», vale e dire quello in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità superiori a seimila metri cubi, nel corso di attività o di opere non soggette a VIA o ad AIA.

Il Regolamento in esame prevede inoltre uno specifico regime transitorio, in forza del quale:

  • i piani e i progetti di utilizzo già approvati prima dell’entrata in vigore del Regolamento (cioè, fino a ieri) restano disciplinati dalla normativa previgente, che si applica anche a tutte le future modifiche e aggiornamenti dei suddetti piani e progetti;
  • i progetti per i quali a tutt’oggi (data di entrata in vigore del Regolamento) è in corso una procedura ai sensi della normativa previgente restano anch’essi disciplinati dalle relative disposizioni. Per tali progetti è però fatta salva la facoltà di passare alla nuova normativa; per fare ciò, sarà però necessario presentare, entro centottanta giorni a partire da oggi (dunque, entro il 18 febbraio 2018), un piano di utilizzo o una dichiarazione di utilizzo predisposti conformemente alla nuova disciplina.

Da notare, infine, che il nuovo Regolamento:

  • a differenza dell’abrogato DM 161/2012, non contempla più espressamente la controversa operazione di stabilizzazione a calce fra quelle rientranti nella «normale pratica industriale»;
  • sancisce per la prima volta a livello normativo che il test di cessione a cui devono essere sottoposte le matrici materiali di riporto va effettuato (secondo le metodiche di cui al DM 5 febbraio 1998) «al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione delle acque sotterranee, di cui alla Tabella 2, Allegato 5, al Titolo 5, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152» (ossia, facendo riferimento alle concentrazioni soglia di contaminazione fissate dalla normativa sulle bonifiche per le acque sotterranee). Il tema, su cui si registrano anche alcune pronunce giurisprudenziali, è discusso da anni e non può essere affrontato in questa sede; basti qui osservare che tale previsione appare criticabile sia nel merito, sia per il contesto normativo in cui è inserita;
  • introduce una innovativa procedura che può essere attivata quando nel sito in cui vengono prodotte le terre e rocce da scavo le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) fissate dalla normativa in materia di bonifiche siano superate a causa di fenomeni di origine naturale. In tal caso, il proponente, fatto salvo l’obbligo di segnalare il superamento del CSC, può presentare all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente un apposito «piano di indagine» per definire i valori di fondo naturale; sulla base delle risultanze di questo piano, che va preliminarmente condiviso con l’Agenzia ed eseguito a proprie spese dal proponente, l’Agenzia definisce i valori di fondo naturale, valori sui quali il proponente potrà dunque basarsi nel predisporre il piano di utilizzo o la dichiarazione di utilizzo. Naturalmente, in questi casi le terre e rocce da scavo possono essere utilizzate come sottoprodotti soltanto nell’ambito del sito di produzione o in un sito diverso a condizione che anch’esso presenti valori di fondo naturale con caratteristiche analoghe in termini di concentrazione per tutti i parametri oggetto di superamento nel sito di produzione;
  • non stabilisce nulla in merito alla cessazione della qualifica di rifiuto (“end of waste”) delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di sottoprodotto, benché anche questo tema fosse espressamente indicato nella rubrica dell’articolo 8 del “decreto Sblocca Italia”.

Per visualizzare il testo del DPR clicca qui.