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Contraffazione - Cassazione Penale: è sufficiente la riproduzione dell’immagine della Vespa per integrare il reato dell’articolo 474 Codice Penale

Contraffazione - Cassazione Penale: è sufficiente la riproduzione dell’immagine della Vespa per integrare il reato dell’articolo 474 Codice Penale
Contraffazione - Cassazione Penale: è sufficiente la riproduzione dell’immagine della Vespa per integrare il reato dell’articolo 474 Codice Penale

Il caso

Il destinatario di un provvedimento di sequestro ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma di rigetto della richiesta di riesame del provvedimento di sequestro di diversi beni (in particolare, portachiavi, souvenir, calamite, magliette, specchietti), trovati nella disponibilità dell’indagato, da intendersi come corpo del reato ex articolo 474 del Codice Penale, rubricato “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”.  

Questi oggetti recavano tutti l’immagine della “Vespa”, motivo per il quale appariva evidente all’accusa la contraffazione dei segni distintivi del noto scooter.

 

I motivi del ricorso

Il ricorrente lamenta l’inosservanza nonché l’erronea applicazione della legge penale, per difetto del presupposto del fumus commissi delicti relativamente al reato di cui all’articolo 474 del Codice Penale. In particolar modo, la tesi difensiva muove dalla considerazione che tale reato non potrebbe ritenersi integrato “al cospetto di mere imitazioni figurative di prodotti industriali, realizzate senza riprodurre marchi di sorta: in quel caso, potrebbe verificarsi, al più, una confusione tra prodotti, ma non già tra marchi (ove, sull’oggetto che costituisce imitazione di un originale, un marchio non vi sia tout court, né impresso né stampato)”.

Ancora, sul piano soggettivo il ricorrente sostiene che i giudici di prime cure avrebbero dato per scontato la conoscenza da parte di qualunque operatore commerciale la tutela del marchio “Vespa”.

Si aggiunga altresì che il ricorrente ritiene nullo sia il verbale di sequestro nonché il successivo decreto di convalida, dal momento che il giudice di merito “ha dato per scontato che nella fattispecie concreta l’immagine del prodotto assunto come contraffatto possa determinare confusione con quella del bene recante il marchio registrato, senza però procedere ad alcuna valutazione effettiva della descritta potenzialità, quanto meno esaminando i beni in sequestro e non limitandosi a riportarne la apodittica descrizione curata dalla polizia giudiziaria (in atti non se ne rinvengono neppure riproduzioni fotografiche)”.

In tal senso, la difesa segnala altresì che beni identici rispetto a quelli sequestrati erano stati restituiti da un altro collegio al fornitore del ricorrente, in quanto non idonei ad integrare il reato di cui all’articolo 474 del Codice Penale. Tuttavia, il Tribunale nel caso di specie ha affermato che, per la mancanza di riscontri fotografici, non può dirsi provata la reale identità tra i beni rinvenuti nella disponibilità del ricorrente e quelli dissequestrati al fornitore, violando in questo modo – secondo la difesa – il diritto del ricorrente di difendersi compiutamente: “l’inesistenza di foto  viene considerata non dirimente quando si tratta di esaminare le peculiarità oggettive del portachiavi o della maglietta, ma è invece decisiva laddove si tratta di valutare il dato (comunque pacifico) della non alterità di caratteristiche tra gli oggetti detenuti dal K. e quelli rimasti presso chi glieli aveva procurati”.

 

La decisione

La Cassazione, nel rigettare il ricorso, afferma che il Tribunale di Roma ha correttamente rievocato i precedenti in materia, laddove ha rilevato che: “anche la sola riproduzione di una figura può integrare il reato, laddove la stessa figura costituisca marchio o segno distintivo del prodotto (...) e sempre che detta raffigurazione sia idonea ad ingenerare in qualche modo confusione nei consumatori in ordine all’origine del bene dal produttore titolare del marchio registrato”.

In tal senso, non è da ritenersi indispensabile la riproduzione materiale, nonché l’impressione e la stampigliatura del marchio. Parimenti, i giudici di merito non dovevano necessariamente procedere all’esame diretto degli oggetti sequestrati, dal momento che il verbale dava atto di quali beni rappresentavano il modello registrato figurativo della Vespa, il quale è un motoveicolo di larga diffusione, tale per cui non può non essere noto anche a coloro che fanno commercio di questi beni. 

Per queste ragioni, il ricorso è rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 17 marzo 2017, n. 13078)

Il caso

Il destinatario di un provvedimento di sequestro ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma di rigetto della richiesta di riesame del provvedimento di sequestro di diversi beni (in particolare, portachiavi, souvenir, calamite, magliette, specchietti), trovati nella disponibilità dell’indagato, da intendersi come corpo del reato ex articolo 474 del Codice Penale, rubricato “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”.  

Questi oggetti recavano tutti l’immagine della “Vespa”, motivo per il quale appariva evidente all’accusa la contraffazione dei segni distintivi del noto scooter.

 

I motivi del ricorso

Il ricorrente lamenta l’inosservanza nonché l’erronea applicazione della legge penale, per difetto del presupposto del fumus commissi delicti relativamente al reato di cui all’articolo 474 del Codice Penale. In particolar modo, la tesi difensiva muove dalla considerazione che tale reato non potrebbe ritenersi integrato “al cospetto di mere imitazioni figurative di prodotti industriali, realizzate senza riprodurre marchi di sorta: in quel caso, potrebbe verificarsi, al più, una confusione tra prodotti, ma non già tra marchi (ove, sull’oggetto che costituisce imitazione di un originale, un marchio non vi sia tout court, né impresso né stampato)”.

Ancora, sul piano soggettivo il ricorrente sostiene che i giudici di prime cure avrebbero dato per scontato la conoscenza da parte di qualunque operatore commerciale la tutela del marchio “Vespa”.

Si aggiunga altresì che il ricorrente ritiene nullo sia il verbale di sequestro nonché il successivo decreto di convalida, dal momento che il giudice di merito “ha dato per scontato che nella fattispecie concreta l’immagine del prodotto assunto come contraffatto possa determinare confusione con quella del bene recante il marchio registrato, senza però procedere ad alcuna valutazione effettiva della descritta potenzialità, quanto meno esaminando i beni in sequestro e non limitandosi a riportarne la apodittica descrizione curata dalla polizia giudiziaria (in atti non se ne rinvengono neppure riproduzioni fotografiche)”.

In tal senso, la difesa segnala altresì che beni identici rispetto a quelli sequestrati erano stati restituiti da un altro collegio al fornitore del ricorrente, in quanto non idonei ad integrare il reato di cui all’articolo 474 del Codice Penale. Tuttavia, il Tribunale nel caso di specie ha affermato che, per la mancanza di riscontri fotografici, non può dirsi provata la reale identità tra i beni rinvenuti nella disponibilità del ricorrente e quelli dissequestrati al fornitore, violando in questo modo – secondo la difesa – il diritto del ricorrente di difendersi compiutamente: “l’inesistenza di foto  viene considerata non dirimente quando si tratta di esaminare le peculiarità oggettive del portachiavi o della maglietta, ma è invece decisiva laddove si tratta di valutare il dato (comunque pacifico) della non alterità di caratteristiche tra gli oggetti detenuti dal K. e quelli rimasti presso chi glieli aveva procurati”.

 

La decisione

La Cassazione, nel rigettare il ricorso, afferma che il Tribunale di Roma ha correttamente rievocato i precedenti in materia, laddove ha rilevato che: “anche la sola riproduzione di una figura può integrare il reato, laddove la stessa figura costituisca marchio o segno distintivo del prodotto (...) e sempre che detta raffigurazione sia idonea ad ingenerare in qualche modo confusione nei consumatori in ordine all’origine del bene dal produttore titolare del marchio registrato”.

In tal senso, non è da ritenersi indispensabile la riproduzione materiale, nonché l’impressione e la stampigliatura del marchio. Parimenti, i giudici di merito non dovevano necessariamente procedere all’esame diretto degli oggetti sequestrati, dal momento che il verbale dava atto di quali beni rappresentavano il modello registrato figurativo della Vespa, il quale è un motoveicolo di larga diffusione, tale per cui non può non essere noto anche a coloro che fanno commercio di questi beni. 

Per queste ragioni, il ricorso è rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 17 marzo 2017, n. 13078)