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Divorzio - Cassazione Civile: il nuovo parametro per determinare l’ammontare dell’assegno divorzile

Divorzio - Cassazione Civile: il nuovo parametro per determinare l’ammontare dell’assegno divorzile
Divorzio - Cassazione Civile: il nuovo parametro per determinare l’ammontare dell’assegno divorzile

Il diritto all’assegno di divorzio dipende dal raggiungimento dell’”indipendenza economica” del richiedente: se è accertato che quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto.

Questo quanto statuito dalla Corte di Cassazione che, dopo ventisette anni, si discosta radicalmente dall’orientamento espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990 in materia di assegno divorzile.

 

Cenni all’assegno divorzile, i precedenti

Occorre premettere che l’assegno di divorzio è previsto dall’articolo 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, il quale recita che: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

In sostanza, tale previsione normativa prevede che il diritto all’assegno di divorzio è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno, o comunque dell’impossibilità dello stesso di “procurarseli per ragioni oggettive”.

Orbene, la determinazione dell’assegno di divorzio, e in particolare l’individuazione dei parametri ai quali rapportare l’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi adeguati, è, da sempre, stata oggetto di innumerevoli dispute dottrinali e giurisprudenziali.

Con la summenzionata sentenza del 1990, le Sezioni Unite risolsero tali controversie sancendo che il parametro di riferimento per la determinazione dei mezzi adeguati doveva essere individuato nel “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio”.

 

La ultime novità

Con la sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione si discosta totalmente da questo orientamento, al quale ormai tutti i giudici nazionali si conformavano da tempo.

Gli ermellini iniziano con una attenta lettura del già citato articolo 5 comma 6 della legge n.898 del 1970, dalla quale emerge che il giudizio per il riconoscimento e la determinazione dell’assegno divorzile si distingue in due distinte fasi: la prima è caratterizzata dall’eventuale riconoscimento del diritto all’assegno (fase dell’an debeatur); la seconda, scaturente dall’esito positivo della prima fase, avente ad oggetto la determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).

Tale articolo deve essere letto unitamente agli articoli 2 e 23 della Costituzione, atteso che il suo fondamento si basa sul dovere inderogabile di solidarietà economica. Tale dovere sorge in capo a entrambi i coniugi a tutela della persona economicamente più debole.

È per questi motivi che l’interpretazione del termine normativo “mezzi adeguati” è decisivo ai fini del riconoscimento o meno del diritto all’assegno di divorzio all’ex coniuge. Nel fare ciò, la Suprema Corte ha ritenuto non più attuale l’antica interpretazione dettata nel 1990 per molteplici motivi.

 

Il perché del nuovo orientamento

Innanzitutto, chiarisce la Corte, occorre ricordare che a differenza di quanto accade con la separazione, con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue completamente, sia sul piano personale, sia sul piano economico-patrimoniale. Alla luce di ciò, il parametro “tenore di vita” collide decisamente con la natura stessa dell’istituto di divorzio.

In secondo luogo, la Suprema Corte insiste nel sottolineare che il giudice del divorzio nel valutare l’esistenza del diritto all’assegno deve valutare l’ex coniuge richiedente esclusivamente come persona singola, e non come “parte” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, si ribadisce, anche sul piano economico – patrimoniale.

La circostanza relativa al preesistente rapporto patrimoniale, in caso, deve essere presa in considerazione unicamente nell’eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione del quantum debeatur (e cioè solo dopo l’esito positivo della fase dell’an debeatur).

L’utilizzo del parametro del tenore di vita, dunque, potrebbe portare ad una illegittima fusione delle due fasi del giudizio dell’assegno di divorzio.

 

Il cambiamento sociale

La Corte, inoltre, analizza anche il periodo in cui venne pubblicata la sentenza del 1990, sottolineando l’inevitabile cambiamento sociale avvenuto in questi ultimi anni.

Nel 1990, infatti, gli ermellini hanno dovuto coordinare due diverse esigenze vigenti in quel momento storico: da un lato la necessità di superare la tipica concezione patrimonialistica del matrimonio secondo cui il matrimonio veniva inteso come “sistemazione definitiva” e, dall’altro, l’esigenza di non sconvolgere e turbare un’ideologia sociale caratterizzata ancora da un matrimonio tradizionale.

Del resto, con gli ultimi interventi legislativi (dal D.L n. 132 del 12 settembre 2014, alla legge n. 76 del 20 maggio 2016) è chiaro che quest’ultima esigenza si è molto attenuata essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato di matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti, e in quanto tale dissolubile. Anche l’importanza che oggi viene data alla libertà dell’ex coniuge di costituire una nuova famiglia, sottolinea la rilevanza che un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che producano l’effetto di prolungare a tempo indeterminato il momento di definitiva cessazione degli effetti patrimoniali del divorzio, può tradursi in una violazione al diritto fondamentale dell’individuo a costituire una nuova famiglia.

Tutto ciò non contrasta assolutamente con il dettato del comma 9 dell’articolo 5 della legge 898 del 1970, secondo cui “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”, in quanto il parametro del tenore di vita viene richiamato non ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, ma ai fini dell’accertamento sull’attendibilità dei documenti inerenti le dichiarazioni dei redditi e dell’effettiva consistenza dei redditi stessi, e, quindi, al fine di poter effettuare, nella fase del quantum debeatur, un giudizio comparativo.

 

Il nuovo parametro: il raggiungimento dell’indipendenza economica

Alla luce di tutte queste premesse la Corte di Cassazione ritiene necessaria l’individuazione di un nuovo parametro che sia coerente con le precedenti considerazioni. Tale parametro viene, pertanto, individuato nel raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente l’assegno di divorzio.

Per giungere all’individuazione di questo parametro, la Corte compie un’analogia legis con l’articolo 337-spties primo comma del codice civile, il quale sancisce che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non dipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”. Secondo gli ermellini, infatti, la disciplina ivi prevista è analoga a quella dell’assegno di divorzio, “trattandosi in entrambi i casi, mutatis mutandis, di prestazioni economiche regolate nell’ambito del diritto di famiglia e dei relativi rapporti”.

In secondo luogo “il parametro della indipendenza economica, se condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente, a maggior razione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all’assegno di divorzio, in una situazione giudica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge”.

Infine tale analogia è chiara anche alla luce della comune ratio del citato articolo 337-spties primo comma, c.c. e dell’articolo 5, comma 6 della legge n. 898 del 1970, ossia il principio dell’autoresponsabilità economica.

A tal proposito viene richiamata la sentenza n. 18076/2014 della medesima Corte, la quale prevede che “La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perché contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona”.

Effettuato questo excursus la Suprema Corte ha, in definitiva, enunciato i seguenti innovativi principi di diritto in materia di assegno di divorzio:

Il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall’articolo 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell’ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:

A) deve verificare, nella fase dell’an debeatur - informata al principio dell’autoresponsabilità economica” di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”, ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio fatto valere dall’ex coniuge richiedente -, se la domanda di quest’ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge;

B) deve “tener conto”, nella fase del quantum debeatur - informata al principio della «solidarietà economica» dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro in quanto “persona” economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell’assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all’esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di entrambi [....]»), e “valutare” «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova (articolo 2697 cod. civ.)”.

(Corte Suprema di Cassazione - Sezione Prima Civile - Presidente Di Palma - Relatore Lamorgese, Sentenza 10 maggio 2017, n. 11504)

Il diritto all’assegno di divorzio dipende dal raggiungimento dell’”indipendenza economica” del richiedente: se è accertato che quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto.

Questo quanto statuito dalla Corte di Cassazione che, dopo ventisette anni, si discosta radicalmente dall’orientamento espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990 in materia di assegno divorzile.

 

Cenni all’assegno divorzile, i precedenti

Occorre premettere che l’assegno di divorzio è previsto dall’articolo 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, il quale recita che: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

In sostanza, tale previsione normativa prevede che il diritto all’assegno di divorzio è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno, o comunque dell’impossibilità dello stesso di “procurarseli per ragioni oggettive”.

Orbene, la determinazione dell’assegno di divorzio, e in particolare l’individuazione dei parametri ai quali rapportare l’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi adeguati, è, da sempre, stata oggetto di innumerevoli dispute dottrinali e giurisprudenziali.

Con la summenzionata sentenza del 1990, le Sezioni Unite risolsero tali controversie sancendo che il parametro di riferimento per la determinazione dei mezzi adeguati doveva essere individuato nel “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio”.

 

La ultime novità

Con la sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione si discosta totalmente da questo orientamento, al quale ormai tutti i giudici nazionali si conformavano da tempo.

Gli ermellini iniziano con una attenta lettura del già citato articolo 5 comma 6 della legge n.898 del 1970, dalla quale emerge che il giudizio per il riconoscimento e la determinazione dell’assegno divorzile si distingue in due distinte fasi: la prima è caratterizzata dall’eventuale riconoscimento del diritto all’assegno (fase dell’an debeatur); la seconda, scaturente dall’esito positivo della prima fase, avente ad oggetto la determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).

Tale articolo deve essere letto unitamente agli articoli 2 e 23 della Costituzione, atteso che il suo fondamento si basa sul dovere inderogabile di solidarietà economica. Tale dovere sorge in capo a entrambi i coniugi a tutela della persona economicamente più debole.

È per questi motivi che l’interpretazione del termine normativo “mezzi adeguati” è decisivo ai fini del riconoscimento o meno del diritto all’assegno di divorzio all’ex coniuge. Nel fare ciò, la Suprema Corte ha ritenuto non più attuale l’antica interpretazione dettata nel 1990 per molteplici motivi.

 

Il perché del nuovo orientamento

Innanzitutto, chiarisce la Corte, occorre ricordare che a differenza di quanto accade con la separazione, con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue completamente, sia sul piano personale, sia sul piano economico-patrimoniale. Alla luce di ciò, il parametro “tenore di vita” collide decisamente con la natura stessa dell’istituto di divorzio.

In secondo luogo, la Suprema Corte insiste nel sottolineare che il giudice del divorzio nel valutare l’esistenza del diritto all’assegno deve valutare l’ex coniuge richiedente esclusivamente come persona singola, e non come “parte” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, si ribadisce, anche sul piano economico – patrimoniale.

La circostanza relativa al preesistente rapporto patrimoniale, in caso, deve essere presa in considerazione unicamente nell’eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione del quantum debeatur (e cioè solo dopo l’esito positivo della fase dell’an debeatur).

L’utilizzo del parametro del tenore di vita, dunque, potrebbe portare ad una illegittima fusione delle due fasi del giudizio dell’assegno di divorzio.

 

Il cambiamento sociale

La Corte, inoltre, analizza anche il periodo in cui venne pubblicata la sentenza del 1990, sottolineando l’inevitabile cambiamento sociale avvenuto in questi ultimi anni.

Nel 1990, infatti, gli ermellini hanno dovuto coordinare due diverse esigenze vigenti in quel momento storico: da un lato la necessità di superare la tipica concezione patrimonialistica del matrimonio secondo cui il matrimonio veniva inteso come “sistemazione definitiva” e, dall’altro, l’esigenza di non sconvolgere e turbare un’ideologia sociale caratterizzata ancora da un matrimonio tradizionale.

Del resto, con gli ultimi interventi legislativi (dal D.L n. 132 del 12 settembre 2014, alla legge n. 76 del 20 maggio 2016) è chiaro che quest’ultima esigenza si è molto attenuata essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato di matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti, e in quanto tale dissolubile. Anche l’importanza che oggi viene data alla libertà dell’ex coniuge di costituire una nuova famiglia, sottolinea la rilevanza che un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che producano l’effetto di prolungare a tempo indeterminato il momento di definitiva cessazione degli effetti patrimoniali del divorzio, può tradursi in una violazione al diritto fondamentale dell’individuo a costituire una nuova famiglia.

Tutto ciò non contrasta assolutamente con il dettato del comma 9 dell’articolo 5 della legge 898 del 1970, secondo cui “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”, in quanto il parametro del tenore di vita viene richiamato non ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, ma ai fini dell’accertamento sull’attendibilità dei documenti inerenti le dichiarazioni dei redditi e dell’effettiva consistenza dei redditi stessi, e, quindi, al fine di poter effettuare, nella fase del quantum debeatur, un giudizio comparativo.

 

Il nuovo parametro: il raggiungimento dell’indipendenza economica

Alla luce di tutte queste premesse la Corte di Cassazione ritiene necessaria l’individuazione di un nuovo parametro che sia coerente con le precedenti considerazioni. Tale parametro viene, pertanto, individuato nel raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente l’assegno di divorzio.

Per giungere all’individuazione di questo parametro, la Corte compie un’analogia legis con l’articolo 337-spties primo comma del codice civile, il quale sancisce che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non dipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”. Secondo gli ermellini, infatti, la disciplina ivi prevista è analoga a quella dell’assegno di divorzio, “trattandosi in entrambi i casi, mutatis mutandis, di prestazioni economiche regolate nell’ambito del diritto di famiglia e dei relativi rapporti”.

In secondo luogo “il parametro della indipendenza economica, se condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente, a maggior razione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all’assegno di divorzio, in una situazione giudica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge”.

Infine tale analogia è chiara anche alla luce della comune ratio del citato articolo 337-spties primo comma, c.c. e dell’articolo 5, comma 6 della legge n. 898 del 1970, ossia il principio dell’autoresponsabilità economica.

A tal proposito viene richiamata la sentenza n. 18076/2014 della medesima Corte, la quale prevede che “La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perché contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona”.

Effettuato questo excursus la Suprema Corte ha, in definitiva, enunciato i seguenti innovativi principi di diritto in materia di assegno di divorzio:

Il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall’articolo 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell’ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:

A) deve verificare, nella fase dell’an debeatur - informata al principio dell’autoresponsabilità economica” di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”, ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio fatto valere dall’ex coniuge richiedente -, se la domanda di quest’ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge;

B) deve “tener conto”, nella fase del quantum debeatur - informata al principio della «solidarietà economica» dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro in quanto “persona” economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell’assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all’esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di entrambi [....]»), e “valutare” «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova (articolo 2697 cod. civ.)”.

(Corte Suprema di Cassazione - Sezione Prima Civile - Presidente Di Palma - Relatore Lamorgese, Sentenza 10 maggio 2017, n. 11504)