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Droga - Cassazione Penale: limiti nell’applicazione dell’aggravante in caso di spaccio nei pressi dell’università

Droga - Cassazione Penale: limiti nell’applicazione dell’aggravante in caso di spaccio nei pressi dell’università
Droga - Cassazione Penale: limiti nell’applicazione dell’aggravante in caso di spaccio nei pressi dell’università

La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della sussistenza della fattispecie di cessione di sostanze stupefacenti aggravata dall’essere commessa in prossimità di scuole e comunità giovanili, pur ritenendo ricomprese tra queste ultime le aree universitarie, è necessario accertare la sussistenza del requisito della prossimità.

 

Il caso in esame

La sentenza della Corte di Cassazione trae origine dal ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale del luogo, con la quale quest’ultimo aveva escluso l’applicazione della circostanza aggravante prevista dall’articolo 80, comma 1, lett. g) del d.P.R. n. 309/1990 (“Le pene previste per i delitti di cui all’articolo 73 sono aumentate da un terzo alla metà: […] g) se l’offerta o la cessione è effettuata all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o gradocomunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti”) nei confronti di un soggetto fermato nell’atto di cedere un modesto quantitativo di sostanza stupefacente nei pressi dell’università.

Nella richiesta di convalida dell’arresto facoltativo in flagranza, il Pubblico Ministero aveva contestato il reato di cui all’articolo 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990 (rubricato “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope”) aggravato dalla circostanza di cui all’articolo 80 sopra citato perché la cessione era avvenuta in prossimità dell’area universitaria.

All’udienza di convalida, il Giudice per le indagini preliminari, esclusa la sussistenza di detta aggravante, non aveva convalidato l’arresto ritenendo che la misura non fosse giustificata né dalla gravità del fatto né dalla pericolosità del soggetto.

Avverso la suddetta decisione, il Pubblico Ministero aveva proposto ricorso per Cassazione, contestando l’impugnata ordinanza nella parte in cui il giudice aveva escluso che l’aggravante in questione potesse applicarsi con riferimento alle zone universitarie, sostenendo al contrario che le aree universitarie potessero comunque ricomprendersi, se non nella categoria di “scuole di ogni ordine e grado”, quantomeno in quella di “comunità giovanili”.

 

La decisione della Suprema Corte

Nell’analizzare l’ordinanza del Tribunale, la Cassazione ha ritenuto che del tutto condivisibilmente il giudicante avesse richiamato, nel caso di specie, i principi di tassatività e di legalità in materia penale, rilevando conseguentemente l’impossibilità di procedere ad una interpretazione di tipo analogico della norma in malam partem e la necessità di procedere ad una interpretazione strictu sensu, evitando applicazioni estensive, anche se ispirate all’ottenimento di un più efficace contrasto alla diffusione di droghe a tutela di situazioni di maggiore vulnerabilità per le persone”.

Al contrario, la Corte ha ritenuto non condivisibile il ragionamento del primo giudice nella parte in cui, in applicazione dei principi sopra esposti, aveva escluso la riconducibilità delle aree universitarie ai luoghi indicati dalla norma giuridica contestata.

Quest’ultimo aveva motivato tale scelta ritenendo che l’università non rientrasse nel concetto di: (i) scuole di ogni ordine o grado, per la completa estraneità dei due sistemi, come peraltro dimostrato dall’articolo 33 della Costituzione, che si riferisce sempre separatamente alla scuola e all’istruzione universitaria; (ii) comunità giovanili, interpretando le stesse come “contesti collettivi omogenei i cui componenti siano presenti in forma non occasionale in determinati luoghi”.

Diversamente dal giudice di Bologna, la Corte di legittimità ha osservato come “l’estrema genericità dell’espressione comunità giovanili potrebbe giustificare il riferimento anche all’università, così come sostenuto dal pubblico ministero ricorrente, senza per questo ricorrere al ragionamento analogico”.

Ciononostante, la Suprema Corte ha ritenuto non sussistente nel caso di specie l’aggravante contestata per mancanza del requisito della “prossimità. Requisito questo ritenuto dai giudici di legittimità imprescindibile per creare una relazione qualificata tra i luoghi richiamati dalla norma (scuole o comunità giovanili, caserme, ospedali) e i luoghi esterni, in ogni caso frequentati da categorie di soggetti (studenti, militari, pazienti) meritevoli di una tutela rafforzata, e per legittimare un aggravamento della risposta sanzionatoria nel caso di commissione di reati.

Con riferimento al caso di specie, l’imputazione faceva riferimento “genericamente alla cessione di cocaina commessa in via del Guasto, angolo Piazza Verdi, in prossimità dell’area universitaria […], nei pressi dell’ingresso dei Giardini del Guasto”.

Con notevole conoscenza topografica, i giudici di legittimità hanno ritenuto che il pubblico ministero avesse inteso il concetto di prossimità in senso troppo ampio “facendo riferimento, in maniera generale e aspecifica, alla zona universitaria, che nel centro di Bologna occupa interi quartieri, laddove, come si è detto, la nozione di prossimità va intesa rigorosamente come contiguità fisica e posizionamento topografico dell’agente dedito allo spaccio (o all’offerta) in un luogo che consente l’immediato accesso alle persone che lo frequentano”.

Pertanto, “il riferimento del tutto vago alla zona universitaria e la specificazione che il fatto è avvenuto all’ingresso dei giardini pubblici Del Guasto, non consentono di ritenere che nella fattispecie la cessione dello stupefacente da parte dell’imputato sia avvenuta “in prossimità” di una comunità giovanile, anche a voler intendere come tale una sede universitaria”.

Per le ragioni esposte, la Corte di Cassazione, seppur adottando una motivazione in parte differente da quella del primo giudice, ha rigettando il ricorso.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 1 giugno 2017, n. 27458)