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Frode in processo penale e depistaggio - Cassazione Penale: ai fini della configurazione dell’illecito occorre la connessione funzionale tra la qualità di pubblico ufficiale e la condotta criminosa

Frode in processo penale e depistaggio - Cassazione Penale: ai fini della configurazione dell’illecito occorre la connessione funzionale tra la qualità di pubblico ufficiale e la condotta criminosa
Frode in processo penale e depistaggio - Cassazione Penale: ai fini della configurazione dell’illecito occorre la connessione funzionale tra la qualità di pubblico ufficiale e la condotta criminosa

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza 24557/2017, ha delineato i limiti applicativi della nuova fattispecie di cui all’articolo 375 del Codice Penale, definendo l’illecito in questione come reato proprio commesso dal pubblico ufficiale la cui qualifica deve essere funzionalmente collegata con la condotta criminosa posta in essere, in virtù di una convergenza di interessi tra la pubblica amministrazione e il dipendente chiamato a svolgerne le funzioni.

 

Il caso

Il Tribunale di Napoli, in data 16 novembre 2016, respingeva il riesame proposto dai due ricorrenti avverso il provvedimento del G.I.P. che aveva disposto, nei confronti di questi ultimi, rispettivamente gli arresti domiciliari e il divieto di dimora.

Avverso la decisione veniva successivamente proposto ricorso per Cassazione. La difesa deduceva, tra i vari motivi, la violazione di legge in relazione all’articolo 375 del Codice Penale (rubricato “frode in processo penale e depistaggio”), lamentando l’erronea qualificazione dei fatti addebitati nella fattispecie di reato appena indicata, sulla base della quale erano state disposte le suddette misure cautelari.

Nella specie, la condotta posta in essere da uno dei ricorrenti consisteva nell’aver istigato alcuni colleghi vigili urbani a rendere false dichiarazioni al Pubblico Ministero, in relazione ad un procedimento penale riguardante vicende di natura strettamente personale.

Secondo la tesi difensiva, la qualifica di pubblico ufficiale, essenziale ai fini del configurarsi del reato di cui all’articolo 375 del Codice Penale, deve considerarsi connessa all’effettivo esercizio delle funzioni, connessione che non verrebbe in rilievo nel caso di specie poiché le dichiarazioni mendaci, per cui i colleghi interessati erano poi stati iscritti nel registro degli indagati, non hanno contribuito a formare la volontà della pubblica amministrazione.

 

La decisione

Accogliendo la tesi della difesa, la Corte di Cassazione ha specificato i limiti applicativi della nuova fattispecie (introdotta con la legge 11 luglio 2016, n. 133), la quale presenta diverse analogie con altre ipotesi di reato previste dal codice penale (frode processuale, false dichiarazioni al Pubblico Ministero e falsa testimonianza).

Prima caratteristica rilevante della disciplina è la previsione, da parte del legislatore, del dolo specifico consistente nell’esclusiva finalità di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale, obiettivo logicamente legato ai compiti cui il soggetto è stato preposto nell’ambito della sua attività di pubblico ufficiale.

È dunque necessario, ai fini del configurarsi dell’illecito, che il comportamento inquinatorio venga posto in essere con tale specifico intento e non con il mero fine di favorire una persona. In quest’ultimo caso, infatti, lo sviamento delle indagini o del processo penale, non costituendo scopo principale dell’agire, non potrà che essere considerato una mera conseguenza, con l’eventuale configurarsi di fattispecie di reato diverse da quella in esame.

Secondo la Corte, inoltre, elementi caratterizzanti della nuova ipotesi di reato sono la preesistenza, rispetto al fatto, della qualità di pubblico ufficiale e la connessione funzionale tra la stessa e l’attività illecita posta in essere. La condotta criminosa, pertanto, deve essere proclive all’alterazione dei dati relativi ad un’indagine o ad un processo penale, con i quali il pubblico ufficiale sia venuto a contatto nell’esercizio delle sue funzioni e non per una mera attività privata.

A sostegno della tesi del nesso funzionale, vi è peraltro “il mancato ampliamento della novella normativa alle cause di non punibilità inerenti alla necessità di essere costretti a salvare sé stessi o altri dal pericolo ai sensi dell’art. 384 codice penale”, il che mette in evidenza “la necessità di un riconoscimento di preminenza del dovere di collaborazione che discende dal rapporto professionale”, nonché la maggiore valenza del vincolo funzionale con lo Stato rispetto agli interessi personali” in relazione alle finalità per cui il reato è commesso.

Le sopracitate caratteristiche, tuttavia, non risultano riscontrabili nel caso di specie, in quanto le false dichiarazioni sono state rese al mero fine di favorire il collega in un procedimento penale riguardante vicende strettamente personali dello stesso e, peraltro, in relazione a circostanze che il dichiarante aveva percepito in occasione del suo lavoro di vigile urbano, ma non a causa di tale attività.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione, revocando le misure cautelari in atto, ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Per visualizzare il testo della sentenza clicca qui.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, 17 maggio 2017, n. 24557)

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza 24557/2017, ha delineato i limiti applicativi della nuova fattispecie di cui all’articolo 375 del Codice Penale, definendo l’illecito in questione come reato proprio commesso dal pubblico ufficiale la cui qualifica deve essere funzionalmente collegata con la condotta criminosa posta in essere, in virtù di una convergenza di interessi tra la pubblica amministrazione e il dipendente chiamato a svolgerne le funzioni.

 

Il caso

Il Tribunale di Napoli, in data 16 novembre 2016, respingeva il riesame proposto dai due ricorrenti avverso il provvedimento del G.I.P. che aveva disposto, nei confronti di questi ultimi, rispettivamente gli arresti domiciliari e il divieto di dimora.

Avverso la decisione veniva successivamente proposto ricorso per Cassazione. La difesa deduceva, tra i vari motivi, la violazione di legge in relazione all’articolo 375 del Codice Penale (rubricato “frode in processo penale e depistaggio”), lamentando l’erronea qualificazione dei fatti addebitati nella fattispecie di reato appena indicata, sulla base della quale erano state disposte le suddette misure cautelari.

Nella specie, la condotta posta in essere da uno dei ricorrenti consisteva nell’aver istigato alcuni colleghi vigili urbani a rendere false dichiarazioni al Pubblico Ministero, in relazione ad un procedimento penale riguardante vicende di natura strettamente personale.

Secondo la tesi difensiva, la qualifica di pubblico ufficiale, essenziale ai fini del configurarsi del reato di cui all’articolo 375 del Codice Penale, deve considerarsi connessa all’effettivo esercizio delle funzioni, connessione che non verrebbe in rilievo nel caso di specie poiché le dichiarazioni mendaci, per cui i colleghi interessati erano poi stati iscritti nel registro degli indagati, non hanno contribuito a formare la volontà della pubblica amministrazione.

 

La decisione

Accogliendo la tesi della difesa, la Corte di Cassazione ha specificato i limiti applicativi della nuova fattispecie (introdotta con la legge 11 luglio 2016, n. 133), la quale presenta diverse analogie con altre ipotesi di reato previste dal codice penale (frode processuale, false dichiarazioni al Pubblico Ministero e falsa testimonianza).

Prima caratteristica rilevante della disciplina è la previsione, da parte del legislatore, del dolo specifico consistente nell’esclusiva finalità di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale, obiettivo logicamente legato ai compiti cui il soggetto è stato preposto nell’ambito della sua attività di pubblico ufficiale.

È dunque necessario, ai fini del configurarsi dell’illecito, che il comportamento inquinatorio venga posto in essere con tale specifico intento e non con il mero fine di favorire una persona. In quest’ultimo caso, infatti, lo sviamento delle indagini o del processo penale, non costituendo scopo principale dell’agire, non potrà che essere considerato una mera conseguenza, con l’eventuale configurarsi di fattispecie di reato diverse da quella in esame.

Secondo la Corte, inoltre, elementi caratterizzanti della nuova ipotesi di reato sono la preesistenza, rispetto al fatto, della qualità di pubblico ufficiale e la connessione funzionale tra la stessa e l’attività illecita posta in essere. La condotta criminosa, pertanto, deve essere proclive all’alterazione dei dati relativi ad un’indagine o ad un processo penale, con i quali il pubblico ufficiale sia venuto a contatto nell’esercizio delle sue funzioni e non per una mera attività privata.

A sostegno della tesi del nesso funzionale, vi è peraltro “il mancato ampliamento della novella normativa alle cause di non punibilità inerenti alla necessità di essere costretti a salvare sé stessi o altri dal pericolo ai sensi dell’art. 384 codice penale”, il che mette in evidenza “la necessità di un riconoscimento di preminenza del dovere di collaborazione che discende dal rapporto professionale”, nonché la maggiore valenza del vincolo funzionale con lo Stato rispetto agli interessi personali” in relazione alle finalità per cui il reato è commesso.

Le sopracitate caratteristiche, tuttavia, non risultano riscontrabili nel caso di specie, in quanto le false dichiarazioni sono state rese al mero fine di favorire il collega in un procedimento penale riguardante vicende strettamente personali dello stesso e, peraltro, in relazione a circostanze che il dichiarante aveva percepito in occasione del suo lavoro di vigile urbano, ma non a causa di tale attività.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione, revocando le misure cautelari in atto, ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Per visualizzare il testo della sentenza clicca qui.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, 17 maggio 2017, n. 24557)