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Impresa - Cassazione SU Civili: in caso di cessione d’azienda la revocatoria fallimentare si fa al cedente non al cessionario

Impresa - Cassazione SU Civili: in caso di cessione d’azienda la revocatoria fallimentare si fa al cedente non al cessionario
Impresa - Cassazione SU Civili: in caso di cessione d’azienda la revocatoria fallimentare si fa al cedente non al cessionario

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta in materia di azione revocatoria fallimentare, chiarendo la portata applicativa dell’articolo 2560, comma 2 del codice civile nei casi di trasferimento d’azienda.

Il caso

La pronuncia in esame trae origine dalla domanda con cui una società, in amministrazione straordinaria e dichiarata insolvente con sentenza del 1995, conveniva in giudizio altra società per ottenere la revoca di pagamenti e cessioni del credito effettuati nel periodo sospetto ai sensi dell’articolo 67 comma 1, n. 2 e comma 2 della Legge Fallimentare.  
La società convenuta, in via pregiudiziale, eccepiva la propria carenza di legittimazione in quanto, essendo la stessa cessionaria d’azienda da imprenditore individuale e non risultando il debito contestato nelle scritture contabili, doveva ritenersi applicabile l’articolo 2560, comma 2 del codice civile, in base al quale alienante ed acquirente d’azienda rispondono in solido dei soli debiti - inerenti l’esercizio dell’attività - risultanti dai libri contabili obbligatori; nel merito, chiedeva il rigetto della domanda.            

La Corte d’appello confermava la pronuncia di primo grado, accogliendo la domanda di revoca.

Avverso tale sentenza, la società convenuta proponeva ricorso per Cassazione, deducendo che la legittimazione passiva della domanda di ripetizione doveva essere riconosciuta in capo all’imprenditore individuale, nonché lamentando l’erronea collocazione del dies a quo del cd. periodo sospetto, dovendo quest’ultimo essere collocato non al momento della dichiarazione giudiziale di insolvenza, bensì al momento di apertura della procedura concorsuale. Assegnata alla Prima Sezione Civile, la causa veniva poi rimessa al Primo Presidente ai fini della eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Le motivazioni della decisione della Cassazione

Giunta al vaglio delle Sezioni Unite, la Corte si è preliminarmente occupata della interpretazione dell’articolo 2560 del codice civile. In particolare, i giudici di legittimità hanno rilevato che la ricostruzione operata dalla Corte territoriale non può essere seguita: ritenere che la legittimazione passiva, nei casi di revoca di pagamenti effettuati in favore di un imprenditore che abbia successivamente ceduto la propria azienda, vada riconosciuta alla società cessionaria porterebbe ad una incontrollata dilatazione dell’ambito applicativo dell’articolo 2560 comma 2 del codice civile, finendo per ricomprendere nella codificata solidarietà non più e soltanto debiti maturati ed annotati, ma anche obbligazioni non ancora venute ad esistenza.           
La Corte ha sottolineato che la possibilità che si realizzi un simile traslatio è circoscritta alle sole ipotesi in cui sia riscontrabile l’identità soggettiva sostanziale di titolari d’azienda, come a titolo esemplificativo accade nei casi di conferimento d’azienda di impresa individuale in una società unipersonale.         
Al di fuori di tali casi la formulazione dell’articolo 2560 del codice civile “non consente, infatti, di ritenere estensivamente inclusa nel trasferimento dell’azienda commerciale anche una situazione non già di debito, bensì di soggezione ad una successiva azione revocatoria promossa dal curatore del fallimento del solvens”.   
Ulteriormente, la Suprema Corte interviene in tema di dies a quo del periodo sospetto evidenziando che, in materia di procedure concorsuali di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria, la giurisprudenza si è oramai assestata nel fissare l’inizio del decorso del termine per l’azione di revocazione fallimentare alla dichiarazione di insolvenza della società. Una scelta, questa, non solo perfettamente in linea con il requisito psicologico della scientia decoctionis, che va necessariamente correlato al momento in cui l’insolvenza è giudizialmente accertata, ma altresì conforme a quanto statuito dall’articolo 49 del Decreto Legislativo n. 270 del 1999 in base al quale, al comma 2, si dispone che i termini previsti per l’esercizio delle azioni di dichiarazione di inefficacia e di revoca degli atti pregiudizievoli iniziano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza.

Conclusioni: la decisione della Cassazione

In conclusione, alla luce delle indicate argomentazioni la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dalla ricorrente, fornendo due importanti spunti interpretativi.   
In relazione alla portata applicativa dell’articolo 2560 del codice civile, la Corte ne ha evidenziato lo spiccato tenore protettivo, escludendo che possano includersi nella indicata disposizione anche semplici rischi di sopravvenienza passiva.          
In relazione al decorso del periodo sospetto, i giudici di legittimità, rinviando a precedenti e consolidati orientamenti giurisprudenziali (ex multis, Corte di Cassazione, Sezione I, 19 gennaio 2016, n. 803), hanno chiarito che ancorare tale termine ad un momento differente a quello di dichiarazione di insolvenza della società quale, ad esempio, al momento di apertura della procedura concorsuale come ipotizzato dalla ricorrente, potrebbe tradursi in un rischio per il buon esito dell’azione revocatoria dovuto al “ritardo nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, in una situazione non più di sospetta, ma di già accertata insolvenza”.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 28 febbraio 2017, n. 5054)

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta in materia di azione revocatoria fallimentare, chiarendo la portata applicativa dell’articolo 2560, comma 2 del codice civile nei casi di trasferimento d’azienda.

Il caso

La pronuncia in esame trae origine dalla domanda con cui una società, in amministrazione straordinaria e dichiarata insolvente con sentenza del 1995, conveniva in giudizio altra società per ottenere la revoca di pagamenti e cessioni del credito effettuati nel periodo sospetto ai sensi dell’articolo 67 comma 1, n. 2 e comma 2 della Legge Fallimentare.  
La società convenuta, in via pregiudiziale, eccepiva la propria carenza di legittimazione in quanto, essendo la stessa cessionaria d’azienda da imprenditore individuale e non risultando il debito contestato nelle scritture contabili, doveva ritenersi applicabile l’articolo 2560, comma 2 del codice civile, in base al quale alienante ed acquirente d’azienda rispondono in solido dei soli debiti - inerenti l’esercizio dell’attività - risultanti dai libri contabili obbligatori; nel merito, chiedeva il rigetto della domanda.            

La Corte d’appello confermava la pronuncia di primo grado, accogliendo la domanda di revoca.

Avverso tale sentenza, la società convenuta proponeva ricorso per Cassazione, deducendo che la legittimazione passiva della domanda di ripetizione doveva essere riconosciuta in capo all’imprenditore individuale, nonché lamentando l’erronea collocazione del dies a quo del cd. periodo sospetto, dovendo quest’ultimo essere collocato non al momento della dichiarazione giudiziale di insolvenza, bensì al momento di apertura della procedura concorsuale. Assegnata alla Prima Sezione Civile, la causa veniva poi rimessa al Primo Presidente ai fini della eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Le motivazioni della decisione della Cassazione

Giunta al vaglio delle Sezioni Unite, la Corte si è preliminarmente occupata della interpretazione dell’articolo 2560 del codice civile. In particolare, i giudici di legittimità hanno rilevato che la ricostruzione operata dalla Corte territoriale non può essere seguita: ritenere che la legittimazione passiva, nei casi di revoca di pagamenti effettuati in favore di un imprenditore che abbia successivamente ceduto la propria azienda, vada riconosciuta alla società cessionaria porterebbe ad una incontrollata dilatazione dell’ambito applicativo dell’articolo 2560 comma 2 del codice civile, finendo per ricomprendere nella codificata solidarietà non più e soltanto debiti maturati ed annotati, ma anche obbligazioni non ancora venute ad esistenza.           
La Corte ha sottolineato che la possibilità che si realizzi un simile traslatio è circoscritta alle sole ipotesi in cui sia riscontrabile l’identità soggettiva sostanziale di titolari d’azienda, come a titolo esemplificativo accade nei casi di conferimento d’azienda di impresa individuale in una società unipersonale.         
Al di fuori di tali casi la formulazione dell’articolo 2560 del codice civile “non consente, infatti, di ritenere estensivamente inclusa nel trasferimento dell’azienda commerciale anche una situazione non già di debito, bensì di soggezione ad una successiva azione revocatoria promossa dal curatore del fallimento del solvens”.   
Ulteriormente, la Suprema Corte interviene in tema di dies a quo del periodo sospetto evidenziando che, in materia di procedure concorsuali di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria, la giurisprudenza si è oramai assestata nel fissare l’inizio del decorso del termine per l’azione di revocazione fallimentare alla dichiarazione di insolvenza della società. Una scelta, questa, non solo perfettamente in linea con il requisito psicologico della scientia decoctionis, che va necessariamente correlato al momento in cui l’insolvenza è giudizialmente accertata, ma altresì conforme a quanto statuito dall’articolo 49 del Decreto Legislativo n. 270 del 1999 in base al quale, al comma 2, si dispone che i termini previsti per l’esercizio delle azioni di dichiarazione di inefficacia e di revoca degli atti pregiudizievoli iniziano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza.

Conclusioni: la decisione della Cassazione

In conclusione, alla luce delle indicate argomentazioni la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dalla ricorrente, fornendo due importanti spunti interpretativi.   
In relazione alla portata applicativa dell’articolo 2560 del codice civile, la Corte ne ha evidenziato lo spiccato tenore protettivo, escludendo che possano includersi nella indicata disposizione anche semplici rischi di sopravvenienza passiva.          
In relazione al decorso del periodo sospetto, i giudici di legittimità, rinviando a precedenti e consolidati orientamenti giurisprudenziali (ex multis, Corte di Cassazione, Sezione I, 19 gennaio 2016, n. 803), hanno chiarito che ancorare tale termine ad un momento differente a quello di dichiarazione di insolvenza della società quale, ad esempio, al momento di apertura della procedura concorsuale come ipotizzato dalla ricorrente, potrebbe tradursi in un rischio per il buon esito dell’azione revocatoria dovuto al “ritardo nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, in una situazione non più di sospetta, ma di già accertata insolvenza”.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 28 febbraio 2017, n. 5054)