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Licenziamento - Cassazione Civile: può essere licenziato il dipendente che ruba caramelle durante la sua attività lavorativa

Licenziamento - Cassazione Civile: può essere licenziato il dipendente che ruba caramelle durante la sua attività lavorativa
Licenziamento - Cassazione Civile: può essere licenziato il dipendente che ruba caramelle durante la sua attività lavorativa

La Corte di Cassazione ha stabilito che il dipendente di un supermercato trovato in possesso senza averne titolo di gomme e caramelle può essere licenziato, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari.

 

Il caso

Nel caso in esame, la Corte di Appello di Napoli, confermando la sentenza del Tribunale di Napoli, aveva respinto il ricorso proposto da un dipendente di un supermercato nei confronti della società in cui prestava servizio, volto all’accertamento della illegittimità del licenziamento.

In sintesi, la Corte territoriale aveva rilevato che il dipendente, scattato l’allarme antitaccheggio al momento del suo passaggio nella portineria del supermercato, era stato trovato in possesso di caramelle e confezioni di gomme del valore di euro 9.80. La merce era stata ritrovata non solo nel giacchetto lasciato incustodito dal lavoratore, ma anche nei suoi pantaloni, dimostrando così l’impossibilità di un piano volto ad incastrare il dipendente. La Corte territoriale aveva evidenziato che il lavoratore non era a conoscenza dell’esistenza di dispositivi antitaccheggio (adesivi) sui prodotti esposti negli scaffali, e ciò l’aveva indotto intenzionalmente a commettere il fatto descritto. Inoltre, secondo la Corte territoriale, la gravità della condotta e la proporzione della sanzione espulsiva non potevano ritenersi escluse dal valore esiguo dei beni sottratti.

Nonostante l’inesistenza di precedenti disciplinari a carico del lavoratore, la Corte di Appello di Napoli aveva ritenuto che ciò “non costituiva elemento sufficiente per escludere la lesione del vincolo fiduciario in ragione della oggettiva gravità del comportamento e dell’elemento soggettivo, compendiatosi nella negazione dei doveri fondamentali che incombono sul lavoratore e su qualsiasi cittadino”.

Avverso la sentenza della Corte territoriale, il dipendente aveva proposto ricorso per Cassazione basato su un unico motivo: ai sensi dell’articolo 360 del codice di procedura civile, il ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 del codice civile (recesso per giusta causa). Il lavoratore sosteneva che la Corte territoriale non aveva considerato il mancato accertamento dei fatti oggetto di contestazione disciplinare, oltre al valore esiguo dei beni sottratti e che prima del licenziamento non era stata irrogata alcuna sanzione nel confronti del dipendente.

Ha resistito con controricorso la società.

 

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile e infondato. Innanzitutto, per quanto riguarda il mancato accertamento della condotta oggetto di contestazione disciplinare e posta alla base del licenziamento, la Corte ha affermato che: “la doglianza è, infatti, estranea al perimetro del vizio dedotto e riconducibile, in sostanza, all’articolo 360 del codice di procedura civile, comma 1, n. 5, perché non è stato denunciato l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio ma è stata sollecitata, in realtà, una nuova lettura del materiale istruttorio, inammissibile in sede di legittimità”.

Con riferimento alla denuncia di violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 del codice civile, la Corte ha ritenuto infondato il motivo nella parte in cui “il ricorrente propone un diverso apprezzamento della gravità dei fatti e della concreta ricorrenza degli elementi che integrano il parametro normativo della giusta causa, apprezzamento che, ponendosi sul piano del giudizio di fatto, è demandato al giudice di merito ed è sindacabile in Cassazione solo a condizione che la contestazione contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale”.

La Suprema Corte ha quindi condiviso il giudizio valoriale di gravità della condotta contestata e di proporzionalità della sanzione espulsiva, formulato dalla Corte territoriale.

Quest’ultima, infatti, ha tenuto conto della mansione affidata dal lavoratore, il quale aveva un contatto diretto con la merce, e del carattere fraudolento della condotta, il quanto il dipendente era convinto che la sottrazione della merce non sarebbe mai stata scoperta dato che sulle confezioni sottratte non erano presenti tradizionali dispositivi antitaccheggio visibili. Pertanto, ha affermato la Corte territoriale, proprio il carattere fraudolento, doloso e premeditato, della condotta del lavoratore è stato ritenuto sintomatico della sua inaffidabilità e idoneo ad incidere in maniera grave sull’elemento fiduciario, nonostante la mancanza di precedenti disciplinari.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento alla controricorrente delle spese del giudizio di legittimità.

(Corte di Cassazione - Quarta Sezione Lavoro, Sentenza del 12 ottobre 2017, n. 24014)