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Marchio - Tribunale di Torino: esaurimento del marchio e vendita on line

Marchio - Tribunale di Torino: esaurimento del marchio e vendita on line
Marchio - Tribunale di Torino: esaurimento del marchio e vendita on line

Il commercio elettronico ha imposto un ripensamento delle politiche commerciali volte a determinare ed imporre canali e sistemi di vendita ai rivenditori e distributori. La giurisprudenza nazionale e l’Unione europea vanno nella direzione di consentire la maggiore apertura alle vendite on line. Una interessante pronuncia del Tribunale di Torino conferma questo orientamento.

Principio di esaurimento

L’articolo 5 del Codice della Proprietà Industriale (“CPI”) sancisce il principio generale di “esaurimento” del diritto di proprietà industriale.

Con riferimento al marchio, tale principio rappresenta un limite all’esclusiva riconosciuta al titolare: il diritto esclusivo si esaurisce infatti dopo che il bene contraddistinto dal marchio è stato messo in commercio dal titolare – o con il suo consenso (ad esempio, dal licenziatario) – nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo.

L’esclusiva è quindi limitata al primo atto di messa in commercio, mentre nessuna esclusiva può essere successivamente vantata dal titolare della privativa sulla circolazione del prodotto recante il marchio.

Deroga al principio di esaurimento

Il principio dell’esaurimento conosce tuttavia un’importante eccezione: il secondo comma dell’articolo 5 CPI reca, infatti, una norma di salvaguardia che, con riferimento al marchio, consente al titolare, anche quando abbia immesso il prodotto sul mercato e, pertanto, “esaurito” il diritto, di evitare che la privativa subisca una diminuzione di attrattiva e di valore.

Al fine di evitare che il titolare del marchio possa arbitrariamente comprimere la libera circolazione sul mercato comunitario, la deroga al principio dell’esaurimento del marchio è circoscritta al ricorrere di condizioni che rendono necessaria la salvaguardia dei diritti oggetto specifico della proprietà: devono sussistere “motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.

Ragioni per l’opposizione alla commercializzazione

Le legittime ragioni di opposizione alla commercializzazione possono pertanto riguardare, esclusivamente, le modalità con le quali avviene la commercializzazione, che non deve ledere il prestigio del marchio, la sua affidabilità o comportare un’alterazione del prodotto al quale è associato il segno o della sua confezione/etichettatura, fattori che potrebbero ridurre il valore economico e l’attrattiva del marchio e nuocere alla reputazione del marchio e/o del suo titolare “danneggiando l’immagine di serietà e di qualità collegata al prodotto e la fiducia che può ispirare al pubblico interessato” (Tribunale di Roma, Sezioni specializzate in proprietà industriale e intellettuale, 10 gennaio 2013, conforme a Tribunale di Torino, Sezioni specializzate in proprietà industriale e intellettuale, Ordinanza del 12 maggio 2008).

La pronuncia del Tribunale di Torino

Una recente pronuncia del Tribunale di Torino (ordinanza cautelare resa nel procedimento n.32038/2015 R.G.), nel rigettare un ricorso di inibitoria, ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tra i “motivi legittimi” che giustificano l’opposizione del titolare del marchio alla ulteriore commercializzazione di prodotti dal medesimo contrassegnati, dopo la loro prima immissione in commercio, ai sensi del secondo comma dell’articolo 5 CPI, non rientra “il mero fatto” che la rivendita avvenga con modalità, sistemi e condizioni diverse da quelle utilizzate dal titolare del marchio nel proprio sistema di distribuzione selettiva.

In particolare, il Tribunale di Torino ha escluso che costituisca di per sé motivo legittimo di interruzione della regolare commercializzazione di prodotti recanti un marchio, la vendita mediante un sistema di commercio elettronico, e che ciò avvenga a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati dai distributori autorizzati dal titolare del marchio. Nel caso specifico, la parte ricorrente non aveva peraltro allegato che il sito utilizzato dal concorrente avesse caratteristiche specifiche suscettibili di sminuire l’immagine del prodotto e, quindi, del marchio.

Il Tribunale di Torino ha infatti considerato che la vendita di prodotti su un sito internet (purché legittima e, quindi, relativa a prodotti autentici e recanti un marchio non contraffatto) non costituisce di per sé un metodo screditante e non comporta pregiudizio del marchio “essendo notorio che anche i prodotti di alta gamma (in svariati settori) adottano questo sistema di vendita”. Nel caso di specie, il medesimo canale di vendita era peraltro utilizzato anche dai rivenditori autorizzati del prodotto contraddistinto dal marchio.

In definitiva, il Tribunale di Torino, ha ritenuto che il titolare del diritto “non può pretendere di imporre, sia pure indirettamente, le condizioni di vendita oggetto di autonoma pattuizione contrattuale con i propri rivenditori” e ha ribadito che il principio dell’esaurimento del marchio ha proprio la finalità di evitare che il titolare del diritto di privativa possa influenzare l’andamento del mercato dei prodotti contraddistinti dal marchio di cui è titolare.

L’ordinanza è integralmente consultabile sulla Rivista Giurisprudenza delle imprese.

(Tribunale di Torino - Tribunale delle imprese - Dottoressa Maria Cristina Contini, Ordinanza 9 luglio 2016)

Il commercio elettronico ha imposto un ripensamento delle politiche commerciali volte a determinare ed imporre canali e sistemi di vendita ai rivenditori e distributori. La giurisprudenza nazionale e l’Unione europea vanno nella direzione di consentire la maggiore apertura alle vendite on line. Una interessante pronuncia del Tribunale di Torino conferma questo orientamento.

Principio di esaurimento

L’articolo 5 del Codice della Proprietà Industriale (“CPI”) sancisce il principio generale di “esaurimento” del diritto di proprietà industriale.

Con riferimento al marchio, tale principio rappresenta un limite all’esclusiva riconosciuta al titolare: il diritto esclusivo si esaurisce infatti dopo che il bene contraddistinto dal marchio è stato messo in commercio dal titolare – o con il suo consenso (ad esempio, dal licenziatario) – nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo.

L’esclusiva è quindi limitata al primo atto di messa in commercio, mentre nessuna esclusiva può essere successivamente vantata dal titolare della privativa sulla circolazione del prodotto recante il marchio.

Deroga al principio di esaurimento

Il principio dell’esaurimento conosce tuttavia un’importante eccezione: il secondo comma dell’articolo 5 CPI reca, infatti, una norma di salvaguardia che, con riferimento al marchio, consente al titolare, anche quando abbia immesso il prodotto sul mercato e, pertanto, “esaurito” il diritto, di evitare che la privativa subisca una diminuzione di attrattiva e di valore.

Al fine di evitare che il titolare del marchio possa arbitrariamente comprimere la libera circolazione sul mercato comunitario, la deroga al principio dell’esaurimento del marchio è circoscritta al ricorrere di condizioni che rendono necessaria la salvaguardia dei diritti oggetto specifico della proprietà: devono sussistere “motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.

Ragioni per l’opposizione alla commercializzazione

Le legittime ragioni di opposizione alla commercializzazione possono pertanto riguardare, esclusivamente, le modalità con le quali avviene la commercializzazione, che non deve ledere il prestigio del marchio, la sua affidabilità o comportare un’alterazione del prodotto al quale è associato il segno o della sua confezione/etichettatura, fattori che potrebbero ridurre il valore economico e l’attrattiva del marchio e nuocere alla reputazione del marchio e/o del suo titolare “danneggiando l’immagine di serietà e di qualità collegata al prodotto e la fiducia che può ispirare al pubblico interessato” (Tribunale di Roma, Sezioni specializzate in proprietà industriale e intellettuale, 10 gennaio 2013, conforme a Tribunale di Torino, Sezioni specializzate in proprietà industriale e intellettuale, Ordinanza del 12 maggio 2008).

La pronuncia del Tribunale di Torino

Una recente pronuncia del Tribunale di Torino (ordinanza cautelare resa nel procedimento n.32038/2015 R.G.), nel rigettare un ricorso di inibitoria, ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tra i “motivi legittimi” che giustificano l’opposizione del titolare del marchio alla ulteriore commercializzazione di prodotti dal medesimo contrassegnati, dopo la loro prima immissione in commercio, ai sensi del secondo comma dell’articolo 5 CPI, non rientra “il mero fatto” che la rivendita avvenga con modalità, sistemi e condizioni diverse da quelle utilizzate dal titolare del marchio nel proprio sistema di distribuzione selettiva.

In particolare, il Tribunale di Torino ha escluso che costituisca di per sé motivo legittimo di interruzione della regolare commercializzazione di prodotti recanti un marchio, la vendita mediante un sistema di commercio elettronico, e che ciò avvenga a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati dai distributori autorizzati dal titolare del marchio. Nel caso specifico, la parte ricorrente non aveva peraltro allegato che il sito utilizzato dal concorrente avesse caratteristiche specifiche suscettibili di sminuire l’immagine del prodotto e, quindi, del marchio.

Il Tribunale di Torino ha infatti considerato che la vendita di prodotti su un sito internet (purché legittima e, quindi, relativa a prodotti autentici e recanti un marchio non contraffatto) non costituisce di per sé un metodo screditante e non comporta pregiudizio del marchio “essendo notorio che anche i prodotti di alta gamma (in svariati settori) adottano questo sistema di vendita”. Nel caso di specie, il medesimo canale di vendita era peraltro utilizzato anche dai rivenditori autorizzati del prodotto contraddistinto dal marchio.

In definitiva, il Tribunale di Torino, ha ritenuto che il titolare del diritto “non può pretendere di imporre, sia pure indirettamente, le condizioni di vendita oggetto di autonoma pattuizione contrattuale con i propri rivenditori” e ha ribadito che il principio dell’esaurimento del marchio ha proprio la finalità di evitare che il titolare del diritto di privativa possa influenzare l’andamento del mercato dei prodotti contraddistinti dal marchio di cui è titolare.

L’ordinanza è integralmente consultabile sulla Rivista Giurisprudenza delle imprese.

(Tribunale di Torino - Tribunale delle imprese - Dottoressa Maria Cristina Contini, Ordinanza 9 luglio 2016)