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Disoccupazione - Corte di Giustizia UE: divieto di disparità di trattamento ingiustificate

Disoccupazione - Corte di Giustizia UE: divieto di disparità di trattamento ingiustificate
Disoccupazione - Corte di Giustizia UE: divieto di disparità di trattamento ingiustificate

Con la causa in commento, la Corte di Giustizia si esprime sulla determinazione delle prestazioni di previdenza sociale, in particolare sul divieto di creare differenze di trattamento tra lavoratori a tempo parziale verticale ed orizzontale, nonché tra uomini e donne.

 

I fatti

La Sig.ra Espadas Recio svolge in Spagna un’attività lavorativa continua a tempo parziale. Al momento della cessazione del rapporto di lavoro, chiede le vengano versate le prestazioni di disoccupazione che le spettano: lo SPEE (Servicio Público de Empleo Estatal) gliene accorda per un periodo pari a 120 giorni. Dal momento che la Sig.ra Recio ritiene di averne diritto per 720 giorni, presenta reclamo: quest’ultimo viene accolto, ma le vengono riconosciuti solo 420 giorni. Infatti, secondo lo SPEE, per calcolare l’ammontare del diritto in questione occorre considerare solo i giorni di lavoro effettivo negli ultimi 6 anni di contribuzione, e non i 6 anni nella loro integralità.

La Sig.ra Recio presenta allora ricorso davanti allo Juzgado de lo Social (Tribunale del lavoro) contro la decisione dello SPEE. Sostiene infatti non solo di aver versato i contributi per ogni giorno di ciascun mese lavorativo, arrivando così a totalizzare 720 giorni di prestazione dovuti, ma anche che il ragionamento dello SPEE può essere considerato una disparità di trattamento nei confronti di chi esercita un lavoro part-time di tipo verticale (diverso da quello orizzontale, perché mentre nel primo si concentrano le ore lavorative in alcuni giorni della settimana, nel secondo si lavora a orario ridotto tutti i giorni).

Il giudice riconosce che la normativa nazionale include nel conteggio solo i giorni lavorativi, e non il totale della contribuzione, e che questo in effetti risulta particolarmente sfavorevole nei confronti dei lavoratori a tempo parziale di tipo verticale. Inoltre, aggiunge che la norma incide maggiormente sulle donne rispetto agli uomini, essendo loro le più colpite secondo quanto riportato da dati e statistiche.

Di conseguenza, il Tribunale sottopone alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali.

 

Prima questione pregiudiziale

Innanzitutto si chiede alla Corte se la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale (Direttiva 97/81) possa applicarsi a una prestazione contributiva di disoccupazione quale quella prevista dall’articolo 210 della LGSS (Ley General de la Securidad Social) spagnola, cioè finanziata esclusivamente con i contributi del lavoratore e calcolata sulla base della contribuzione e dei soli periodi di lavoro dei 6 anni precedenti alla disoccupazione.

Detta clausola recita: «[p]er quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive». Partendo dal presupposto che rimane di competenza degli Stati membri decidere dei regimi legali di sicurezza sociale, si pone quindi un principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno. 

Secondo la Corte, allora si deve dichiarare la clausola 4 come non applicabile alla prestazione contributiva di disoccupazione in oggetto. Infatti, in questo caso i contributi che finanziano la prestazione sono versati in applicazione di una norma nazionale, e non del contratto di lavoro, e quindi non possono rientrare nella definizione di “condizioni di impiego”.

La seconda questione pregiudiziale sarebbe dipesa da una risposta affermativa alla prima, per cui non verrà presa in considerazione.

 

Terza questione pregiudiziale

Ci si concentra infine sulla conformità delle disposizioni nazionali in esame con l’articolo 4 della direttiva 79/7/CEE, il quale prevede l’attuazione del principio di parità di trattamento tra uomo e donna nell’ambito della sicurezza sociale.

Il giudice del rinvio, infatti, si chiede se sia lecito, in caso di lavoro part-time verticale, considerare solo i giorni di attività nel conteggio della prestazione di disoccupazione, tenendo anche conto che le conseguenze si ripercuotono soprattutto sui lavoratori di sesso femminile, che costituiscono la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale.

La Corte verifica la veridicità di quest’ultima affermazione, e di conseguenza la disparità di trattamento a sfavore delle donne. Inoltre, constata che nessun gruppo di lavoratori trae vantaggi particolari dalla disposizione in oggetto e che quindi non vi sono ragioni oggettive per creare differenze di concessione: perciò si può parlare di discriminazione indiretta.

Ecco perché ne dichiara la contrarietà con la Direttiva.

Infatti, si ritiene sia contrario alla normativa UE che un lavoratore part-time verticale riceva una prestazione di disoccupazione inferiore rispetto ad un lavoratore part-time orizzontale, nonostante entrambi abbiano versato contributi per ogni giorno dell’anno. Oltre a ciò, si evidenzia la maggior ripercussione sui lavoratori di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile.

 

Conclusione

In conclusione, la Corte dichiara la non applicabilità della clausola 4 della direttiva 97/81/CE a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella spagnola, e la contrarietà di quest’ultima all’articolo 4 della direttiva 79/7/CE.

(Corte di Giustizia - Quinta Sezione, Sentenza 9 Novembre 2017, n. C-98/15)