x

x

Infortunio - Cassazione Lavoro: è responsabilità contrattuale se cagionato da cose in custodia del datore di lavoro

Infortunio - Cassazione Lavoro: è responsabilità contrattuale se cagionato da cose in custodia del datore di lavoro
Infortunio - Cassazione Lavoro: è responsabilità contrattuale se cagionato da cose in custodia del datore di lavoro

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di sicurezza sul lavoro, qualora l’infortunio del lavoratore sia stato cagionato da cose nella custodia del datore di lavoro e sia accertato il nesso eziologico tra il danno e l’ambiente di lavoro, sussiste la responsabilità del datore di lavoro, salvo la prova del caso fortuito.

 

Il caso in esame

Un lavoratore aveva convenuto in giudizio la società datrice di lavoro al fine di accertare la responsabilità di quest’ultima per un infortunio occorsogli durante lo svolgimento delle operazioni di perforazione delle pareti di una galleria in costruzione, a causa della deflagrazione di una carica precedentemente inserita, rimasta nascosta e inesplosa.

Il Tribunale aveva rigettato le domande proposte dal lavoratore e la decisione era stata poi confermata dalla Corte d’Appello territorialmente competente.

Quest’ultima aveva ritenuto che l’evento dannoso non fosse causalmente riconducibile ad un comportamento colposo del personale preposto al controllo del sito o del datore di lavoro, non essendovi sul sito segnali di pericolo per la esistenza di cariche rimaste inesplose. Aveva, inoltre, ritenuto inammissibile la prospettazione circa la sussistenza di profili di responsabilità della parte datoriale nella custodia delle cose cagionanti l’evento dannoso, in quanto proposto per la prima volta in appello.

Avverso quest’ultima decisione, il lavoratore aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 2087 e 2051 del Codice Civile, sul presupposto che, a norma dell’articolo 2087, il rischio e i costi degli eventuali incidenti occorsi sul lavoro non dovessero gravare sui dipendenti ma, piuttosto, sul datore di lavoro, in virtù di un meccanismo di responsabilità presunta, simile a quello di cui all’articolo 2051, del quale l’articolo 2087 costituirebbe il referente normativo in materia di infortuni sul lavoro. La parte datoriale era pertanto da ritenersi responsabile in quanto avente la gestione del cantiere, nonché in quanto preposta alla sua custodia.

La decisione della Suprema Corte

Al fine di dare soluzione alle questioni prospettate nel ricorso, la Corte di Cassazione ha preliminarmente osservato che l’obbligo di sicurezza in favore del lavoratore posto a capo del datore di lavoro, “è previsto, in generale, con contenuto atipico e residuale, dall’art. 2087 c.c. ed, in particolare, con contenuto tipico, dalla dettagliata disciplina di settore concernente gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e le misure di prevenzione”.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamato nella presente decisione, la disposizione di cui all’articolo 2087 del Codice Civile si qualifica alla stregua di “norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, ed impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti con l’adozione – ed il mantenimento perfettamente funzionale – non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente”.

La responsabilità gravante sul datore di lavoro secondo l’articolo 2087 del Codice Civile è, per giurisprudenza costante, di carattere contrattuale, “atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell’art. 1374 c.c., dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale”, e non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità della parte datoriale è collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

Da ciò discende che “il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’art. 1218 c.c. circa l’inadempimento delle obbligazioni”, pertanto “il lavoratore il quale lamenti di aver subito un danno da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure, per evitare il danno”.

Inoltre, continua la Corte, “nell’ipotesi in cui il danno sia stato determinato da cose che il datore di lavoro aveva in custodia, è richiesta, per la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ., la sussistenza d’una relazione diretta fra la cosa e l’evento dannoso, ed il potere fisico, del soggetto sulla cosa, da cui discende il di lui obbligo di controllare in modo da impedire che la cosa causi danni”.

Pertanto, “ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., nell’ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia […] pur non configurandosi una responsabilità oggettiva del datore sussiste una presunzione di colpa a carico del datore che è nel contempo custode della cosa da cui il danno deriva, scaturente dalla concorrente applicabilità degli artt. 2051 e 2087 cod. civ., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell’avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche, ovvero dall’accertamento di un comportamento abnorme del lavoratore, e, ove non sia in discussione la colpa di quest’ultimo, nel caso fortuito che si invera, ex art. 2051 cod. civ. nella natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso”.

Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità, la Corte territoriale aveva omesso di applicare i citati principi di diritto e aveva errato nel ritenere inammissibile la prospettazione sui profili di responsabilità del datore di lavoro a norma dell’articolo 2051 del Codice Civile, in quanto non aveva applicato il principio iura novit curia.

La Corte di Cassazione, ritenendo fondati i motivi di doglianza, ha annullato la sentenza impugnata, enunciando il seguente principio di diritto:

Nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia – con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa – ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) e 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro) una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito”.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 12 marzo 2018, n. 5957)