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Mobbing - Cassazione Lavoro: sussiste il diritto al risarcimento del danno in caso di sanzioni disciplinari illegittime anche se non integranti mobbing

Mobbing - Cassazione Lavoro: sussiste il diritto al risarcimento del danno in caso di sanzioni disciplinari illegittime anche se non integranti mobbing
Mobbing - Cassazione Lavoro: sussiste il diritto al risarcimento del danno in caso di sanzioni disciplinari illegittime anche se non integranti mobbing

La Corte di Cassazione ha stabilito che le sanzioni disciplinari illegittime, seppur non integranti una condotta di mobbing, possono essere considerate quali condotte vessatorie e mortificanti per il lavoratore e, come tali, sono ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro che può essere chiamato a risarcire il danno cagionato.

 

Il caso in esame

Un lavoratore aveva convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro, al fine di ottenere l’accertamento della illiceità della condotta contestata a quest’ultimo, consistente nell’irrogazione al primo di una pluralità di sanzioni disciplinari, ritenuta integrante la fattispecie del mobbing, con conseguente richiesta di risarcimento del danno.

Il Tribunale aveva ritenuto non configurabile alcuna condotta di mobbing in capo al datore di lavoro a danno della parte attorea, rigettando la richiesta risarcitoria, seppur accertando l’illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate.

Su impugnazione del lavoratore, la Corte di Appello territorialmente competente aveva confermato la decisione di primo grado.

Avverso quest’ultima decisione, il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la violazione dell’articolo 2087 del Codice Civile. In particolare, il ricorrente sosteneva che la Corte territoriale fosse incorsa in errore nell’aver ritenuto che l’applicazione di sanzioni disciplinari poi dichiarate nulle non costituisse fonte di responsabilità risarcitoria.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di legittimità ha ritenuto la doglianza fondata, rilevando come non fosse dirimente il richiamo, da parte del ricorrente, alla specifica figura del mobbing, ritenuta insussistente, quanto “il verificarsi di inadempimenti o comunque di comportamenti non legittimi che assumono inevitabilmente rilevanza, nella misura in cui da essi siano scaturiti, con vincolo causale, pregiudizi in capo al lavoratore”.

A giudizio della Cassazione, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se le sanzioni disciplinari irrogate nei confronti del lavoratore e ritenute illegittime si ponessero in nesso causale con i pregiudizi di natura non patrimoniale (alla salute, alla vita di relazione, all’immagine professionale) addotti dal ricorrente.

Per la Corte di Cassazione, tale carenza risulta “in contrasto con una corretta valutazione dei fatti di causa ai sensi dell’art. 2087 c.c., norma la cui applicazione non è vincolata al determinarsi di una condotta vessatoria complessiva, ma è destinata ad operare anche rispetto a singoli comportamenti inadempienti o illegittimi che siano causa di pregiudizi alla salute e ad altre situazioni giuridiche del lavoratore”.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, enunciando il seguente principio di diritto:

nella ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi della configurabilità di una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati – esaminati singolarmente, ma sempre in sequenza causale – pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili”.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Ordinanza 20 giugno 2018, n. 16256)