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È licenziabile il dipendente che critica l’azienda su Facebook

Nighthawks, Edward Hopper, 1942, Art Institute of Chicago Building
Nighthawks, Edward Hopper, 1942, Art Institute of Chicago Building

La Corte di Cassazione ha affermato che la diffusione di messaggi di disprezzo da parte del lavoratore nei confronti della proprietà aziendale tramite il social network Facebook integra gli estremi della giusta causa di licenziamento, in quanto idoneo a pregiudicare il vincolo fiduciario nel rapporto di lavoro.

 

Il caso

Una donna, licenziata dal proprio datore di lavoro per avere diffuso tramite Facebook un messaggio di disprezzo nei confronti dell’azienda, associando alla dichiarazione la denominazione della società per la quale prestava la propria attività lavorativa, impugnava presso la Corte di appello di Bologna la decisione del Tribunale di Forlì, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla stessa, volto all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatole per giusta causa dal datore di lavoro.

La predetta Corte di appello respingeva il gravame proposto, rilevando che la condotta diffamatoria tenuta dalla dipendente, attraverso la divulgazione sul social network di espressioni volgari e critiche nei confronti della proprietà aziendale, era tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro.

Inoltre, dalla documentazione prodotta in sede di appello dalla dipendente non emergeva che in capo alla stessa fossero ravvisabili condizioni di particolare aggravio o stress in merito alle condizioni di lavoro, escludendo così il nesso causale tra diffamazione e condizioni di lavoro vissute dalla lavoratrice.

Sul caso si è pronunciata la Cassazione in merito all’impugnazione della dipendente, la quale lamentava il licenziamento fosse sproporzionato, in quanto non si era tenuto conto che tale condotta era frutto di uno sfogo, oltre al fatto che la diffusione del messaggio era limitato a pochi interlocutori ammessi al proprio profilo Facebook, evidenziando l’inconsapevolezza di diffondere nel mondo reale il proprio messaggio. Inoltre, la lavoratrice rilevava che in ambito web le espressioni volgari come quelle da lei utilizzate dovevano considerarsi forme critiche d’uso ricorrente nel linguaggio dei social.

 

La decisione della Suprema Corte

Al fine di ritenere integra la giusta causa di licenziamento, ha affermato la Cassazione, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, posto che anche un comportamento di natura colposa, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto.

Inoltre, ha aggiunto la Corte, la diffusione di un messaggio di disprezzo attraverso Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, in quanto tale strumento ha la capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di persone, e, nel caso di specie, trattandosi di un messaggio offensivo e diffamatorio nei riguardi di soggetti facilmente individuabili, il contesto è stato correttamente valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a pregiudicare il vincolo fiduciario nel rapporto di lavoro.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Lavoro, Sentenza 27 aprile 2018, n. 10280)