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Visto - Corte di Giustizia UE: in caso di diniego di rilascio di un visto deve essere previsto il ricorso ad un giudice

Visto - Corte di Giustizia UE: in caso di diniego di rilascio di un visto deve essere previsto il ricorso ad un giudice
Visto - Corte di Giustizia UE: in caso di diniego di rilascio di un visto deve essere previsto il ricorso ad un giudice

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha risposto alla questione pregiudiziale presentata dalla Corte Suprema Amministrativa Polacca stabilendo che il Codice dei Visti dell’Unione Europea prevede il diritto ad un ricorso giurisdizionale conforme ai princìpi di equivalenza ed effettività laddove si voglia impugnare una decisione di diniego di rilascio di un visto.

 

Il fatto

Il cittadino Marocchino El Hassani aveva richiesto al Console della Repubblica Polacca in Rabat il rilascio di un visto per visitare la moglie ed il figlio minorenne, cittadini Polacchi ed ivi residenti. A seguito del diniego del rilascio, El Hassani avviava procedura di riesame dinanzi alla stessa autorità, conformemente all’articolo 76, para 1, lett a), legge sugli stranieri Polacca. Di nuovo, la stessa autorità negava il visto ritenendo sussistesse «il ragionevole dubbio sull’intenzione del richiedente di lasciare il territorio degli Stati-membri prima della scadenza del visto» (articolo 32, para 1, lett b), Reg. CE 810/2009, in prosieguo «codice dei visti»).

Ricorso giurisdizionale

A questo punto, El Hassani si rivolgeva al Tribunale Amministrativo del Voivodato di Varsavia, lamentando la violazione del diritto al rispetto della vita personale e familiare delle persone nonché del diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un giudice - entrambi garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE - ad opera della legislazione nazionale Polacca.

Quest’ultima infatti, secondo il ricorrente, non permette ad uno straniero come lui di rivolgersi ad un giudice amministrativo in caso sia un console ad aver emesso decisione definitiva di diniego di rilascio del visto (articolo 5 n. 4 della codice di procedura giurisdizionale amministrativa), benché egli sia familiare di un soggetto cittadino di uno Stato-membro.

A causa del rigetto del ricorso, il protagonista della vicenda decide finalmente di rivolgersi alla Corte Suprema Amministrativa Polacca, chiedendo di porre una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE relativamente alla corretta interpretazione dell’articolo 32, para 3, Codice dei Visti. Segnatamente, si chiede «se l’articolo 32, paragrafo 3, del [codice dei visti], tenuto conto del considerando 29 del codice dei visti e dell’articolo 47, primo comma, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che esso impone allo Stato membro l’obbligo di garantire un mezzo di impugnazione (ricorso) effettivo dinanzi a un organo giurisdizionale».

Questione pregiudiziale

Dal dato letterale dell’articolo 32, para 3, codice dei visti si evince che l’Unione ha lasciato ampio margine agli Stati-membri nel definire la natura e le modalità procedurali da seguire in caso di domande concernenti il rifiuto di rilasciare un visto. Secondo una giurisprudenza costante, tuttavia, tale libertà è legittima solo se rispetta cumulativamente le condizioni di equivalenza e di effettività.

Il primo principio richiede infatti che le norme interne valgano tanto per i ricorsi per violazione di norme interne quanto per quelli fondati sulla violazione di norme di diritto Europeo. Il secondo prevede invece che il ricorso non renda impossibile od eccessivamente difficile per la persona l’esercizio dei diritti UE (sentenza del 15 marzo 2017, Aquino, C-3/16, EU:C:2017:209, punto 48).

In aggiunta, occorre tenere in conto un altro elemento per la risposta al quesito, dato ancora dalla precedente giurisprudenza Europea: i principi di diritto dell’Unione Europea vengono utilizzati dal giudice nazionale per interpretare il proprio diritto solo per quelle fattispecie per cui la disciplina è data dal diritto dell’UE (v., in particolare, sentenza del 26 settembre 2013, Texdata Software, C-418/11, EU:C:2013:588, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

Nel caso di specie, il rifiuto di rilascio del visto è basato su uno dei motivi indicati all’articolo 32 del Codice dei visti e, pertanto, i principi stabiliti dalla Carta devono guidare l’interprete. In particolare, l’articolo 47 stabilisce il diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice per le persone i cui diritti stabiliti a livello di Unione Europea siano violati. Ma non basta: deve trattarsi di un giudice terzo rispetto all’organo che ha emesso la decisione oggetto del ricorso. Come ha giustamente osservato l’Avvocato Generale, tale articolo pone un vero e proprio obbligo per gli Stati-membri di predisporre, ad un certo stadio del procedimento, un ricorso avverso una decisione definitiva di diniego di visto dinanzi ad un’autorità giurisdizionale.

 

Decisione della Corte

La Corte di Giustizia, pertanto, dichiara che: “L’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso fa obbligo agli Stati membri di prevedere una procedura di ricorso contro le decisioni di diniego di visto, le cui modalità siano definite dall’ordinamento giuridico del singolo Stato-membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Tale procedura deve garantire, a un dato stadio del procedimento, un ricorso giurisdizionale”.

(Corte di Giustizia dell’Unione Europea - Prima Sezione, Sentenza 13 Dicembre 2017, n. 960)