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Whistleblowing - Cassazione Penale: la segnalazione è un vero e proprio atto di accusa e l’anonimato non è assoluto ma cede di fronte al diritto di difesa

Whistleblowing - Cassazione Penale: la segnalazione è un vero e proprio atto di accusa e l’anonimato non è assoluto ma cede di fronte al diritto di difesa
Whistleblowing - Cassazione Penale: la segnalazione è un vero e proprio atto di accusa e l’anonimato non è assoluto ma cede di fronte al diritto di difesa

La Corte di Cassazione, nella prima sentenza sul whistleblowing successiva all’entrata in vigore della legge 30 novembre 2017, n. 179, ha stabilito che la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante non è assoluta in quanto, nell’ambito di un procedimento penale, trovano applicazione le norme previste dal codice di rito in tema di segreto, mentre, in un eventuale procedimento disciplinare, sebbene l’anonimato sia garantito dalla novella legislativa, esso può cadere qualora la conoscenza dell’identità del segnalante sia assolutamente necessaria per la difesa dell’accusato.

 

Il caso in esame

Nell’ambito di un procedimento a carico di un dipendente pubblico indagato per una pluralità di episodi di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, truffa aggravata e falso ideologico in atti informatici, per aver – secondo l’accusa – effettuato visure telematiche o manuali e consultazioni di volumi dell’Ufficio presso cui era occupato, intascando personalmente denaro e consentendo agli utenti di non corrispondere i diritti dovuti, il Tribunale aveva sostituito la misura della custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari con quella degli arresti domiciliari, così confermando la sussistenza di un quadro di gravità indiziaria a carico del prevenuto.

Avverso la suddetta decisione, i difensori dell’indagato proponevano ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre doglianze, l’inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni in atti, per aver valorizzato, in funzione di integrazione dei gravi indizi di reato, elementi tratti da una denuncia anonima, in violazione di quanto previsto dall’articolo 203 del codice di procedura penale, nessun rilievo potendo avere la successiva identificazione del denunciante, altro dipendente pubblico che aveva inviato una comunicazione alla Direzione Centrale Audit e Sicurezza della Pubblica Amministrazione interessata attraverso il “canale del whistleblowing”, indicando quali accertamenti effettuare.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato l’eccezione di inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni in atti, ritenendo che, del tutto correttamente, il Tribunale del luogo avesse valutato l’esposto interno presentato dal collega del prevenuto, dal Giudice per le Indagini Preliminari considerato alla stregua di un anonimo, salvo di fatto rivelarne l’identità attraverso l’acquisizione della comunicazione inviata alla Direzione Centrale Audit e Sicurezza, confluita anche nella informativa di p.g..

Secondo i giudici di legittimità, il Tribunale del luogo aveva del tutto correttamente applicato il disposto di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165 che, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, stabiliva che l’anonimato del denunciante, salvo ovviamente il consenso dell’interessato alla divulgazione, operava unicamente in ambito disciplinare, essendo peraltro subordinato al fatto che la contestazione fosse fondata su “accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione”, dovendosi giungere alla rivelazione dell’identità del segnalante ove la sua conoscenza fosse assolutamente indispensabile per la difesa dell’accusato.

Nell’ambito di un procedimento penale, invece, ha precisato la Corte: “non vi è alcuno spazio per l’anonimato – rectius: per il riserbo sulle generalità – in tal caso essendo altresì significativa l’espressa salvezza delle ordinarie previsioni di legge operata dal comma 1 della succitata norma, per il caso che la denuncia integri gli estremi dei reati di calunnia o diffamazione, ovvero ancora sia fonte di responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2043 di quel codice”.

Quanto detto, trova oggi maggior riscontro nella nuova formulazione dell’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001, così come novellato dalla legge sul whistleblowing che espressamente precisa che: “nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperto dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale”.

Ciò in quanto, come precisato dalla Corte, la segnalazione non costituisce mero spunto investigativo, ma vero e proprio atto di accusa, con conseguente necessità di garantire il diritto di difesa dell’accusato e di apprestare le tutele a tal fine predisposte dall’ordinamento, sia in sede di procedimento che, ancor più, in sede di accertamento della penale responsabilità.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 27 febbraio 2018, n. 9047)